Ozpetek,Ferzan - Allacciate le cinture

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Vorrei parlar bene di un film che in queste ore viene massacrato dalla critica.
E che invece è interessante.
Tocca due temi non cosi' frequentati dal pubblico piu' grande:la morte e il dolore oncologico,la nostalgia per il vissuto (piu' frequentato come tema).
Dal primo si fugge e si preferisce ignorarlo.
Il secondo viene letto come pratica da romanzetto femm.di terza serie.
E invece...
Si,il film ha le sue pecche.Odioso davvero il protagonista maschile,poco convincente la trama assai classica degli opposti che si attraggono,ecc.
Ma il nocciolo duro è buono assai.
E' un film greco (in senso di grecità) sulla morte (che arriva).
Mica poco.
Troppo sentimentale.si dirà. Ma le persone comuni -quando gli tocca affrontare il problema(senza essere degli specialisti e dei professionisti dei reparti di medicina) - lo sono.
E vanno ,proprio cosi, a riannodare i fili dei ricordi.
Mica è cosi' un privilegio morire avendo unn tempo (cosi' lungo) per pensarci lucidamente su.
Si, un film che ho visto con piacere,interesse,perchè no,perchè no.
Si.

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La Aspesi

In controtendenza sui colleghi Natalia Aspesi su Repubblica - qui sotto
NOn condivido alcune cose che scrive, ma va bene lo stesso.Brava Aspesi.
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I cineamori si sbrigano spesso nella carnalità: c’è la signora che si tira su le gonne e giù le mutande e poi si mette a cavalcioni di un giovanotto; ci sono sconosciuti già senza mutande ai bordi di un lago che si infrattano tra i cespugli e fanno cose in primo piano; si aspetta con una certa barba (tra un anno pare!) il film delle tante sfumature, dove la frusta è l’utensile più domestico del legame di coppia. Sono trappole, magari sublimi, adatte soprattutto a spettatori dalla vita sonnolenta; ma capita anche che un regista come Ferzan Ozpetek scelga di raccontare non la casualità del sesso, non la sua veloce soddisfazione o le sue bizzarrie, ma quello spazio di lucente meraviglia che nasce quando per la prima volta due persone si guardano e si incantano uno dell’altro.
Allacciate le cinture è il titolo del suo nuovo film, perché quel primo sguardo è come una turbolenza in aereo, ti carica d’ansia, ma la devi affrontare allacciando la cintura del tuo coraggio. Kasia Smutniak (Elena) fa la cameriera in un bar, Francesco Arca (Antonio) il meccanico in un’officina. Si sono trovati per caso sotto una pensilina durante un acquazzone e si sono subito detestati, in quei battibecchi insensati che scoppiano tra estranei incattiviti. Si rivedono perché lui è un flirt di Carolina Crescentini (Silvia), amica di Elena. Anche adesso si sfuggono, ma gli occhi si cercano, si scrutano, si accendono: l’essere incompatibili li allontana e li avvicina, spaventati e curiosi. Lei è di una bellezza pacata e reticente, lui ha un corpo possente tutto tatuato, una faccia di rustica virilità, lei ha progetti ambiziosi e un fidanzato facoltoso e pure bello (Francesco Scianna), lui sente di non meritarla, per timidezza è omofobo e razzista: però quando le confessa il suo segreto, la sua fragilità di dislettico, lei lascia cadere ogni difesa, ogni dubbio. Lo segue e tra loro non ci sono più parole, solo attesa. Ma quando si rifugiano nell’ombra della sua officina, ci sono ancora solo sguardi, e un timido sfiorarsi il viso con le dita, in silenzio, e neppure la forza di intrecciarsi in un bacio.
L’emozione del grande amore che non osa la fisicità continua a incantare, nella letteratura inglese dell’Ottocento, nel cinema anni 40: e se per esempio è impossibile dimenticare Notorious di Hitchcock, è per gli sguardi luminosi di passione tra Ingrid Bergman e Cary Grant, che devono fingere di non conoscersi. Gli amori possono essere sbagliati, anche quando sembrano perfetti, perché spesso il tempo li sgretola senza ragione,li affloscia nella stanchezza, li spegne nel rancore. Ma è sbagliato un amore diverso, fuori dalle regole, come quelli che ha raccontato nei suoi film Ferzan Ozpetek? Un amore non tra persone dello stesso sesso (Le fate ignoranti) ma, come in Allacciate le cinture (o Un giorno perfetto) tra un uomo e una donna che non hanno nulla in comune, né il passato né il presente, separati da tutto, educazione, progetti, linguaggio, gusti, ma uniti dal mistero dei corpi.
Hanno allacciato le cinture della vita, si sono sposati, e 13 anni dopo hanno due figli; Elena, con l’amico del cuore Filippo Scicchitano (Fabio), è diventata la proprietaria di un bar alla moda, Antonio ha un bellissima amante, la parrucchiera Luisa Ranieri (Maricla). Gli innamorati di un tempo hanno smesso di guardarsi, si parlano di cose quotidiane voltandosi le spalle, nel grigiore di tanti matrimoni. Quando lei annuncia con noncuranza a tutta la famiglia, la mamma (Carla Signoris), la “zia” (Elena Sofia Ricci), in realtà compagna stravagante della mamma, l’amico Fabio, i bambini, Antonio, di essere ammalata, lui in silenzio la rifiuta, scappa come se lei ne avesse colpa. Questa turbolenza è più grave delle altre, eppure sarà il corpo smagrito, la testa calva, il volto dolente di Elena a riaccendere l’amore di entrambi, a riallacciare i loro corpi stanchi e spaventati.
Il cinema e il pubblico italiano accettano di commuoversi però toccando ferro, o addirittura dandosela a gambe, se tra i protagonisti del film c’è un tumore. Meglio quindi, anche per Ozpetek, premunirsi con un lieto fine carico di risate, semplicemente tornando indietro nel tempo. Attori bravi anche se talvolta farfuglianti: geniale la bruttina allegramente disperata di Paola Minaccioni, e imponente la fisicità di Francesco Arca, cui si addebita la colpa di essere stato tronista, ma molto disciplinato, tanto da ingrassare di venti chili per la seconda parte del film (mentre la Smutniak dimagriva di dieci). Faccia da storia del cinema italiano, tra Maurizio Arena e Gian Maria Volontè.


Allacciate le cinture ; NATALIA ASPESI ; La Repubblica
 

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Dal corriere della sera -15 marzo

RECENSIONE DI NINO DOLFO;:

Tristissimo, ma si rimane con un sorriso kukident stampato sulla bocca. Finisce male? Non è detto, il destino è un ludopatico, non rinuncia all’ultimo lancio dei dadi. “Allacciate le cinture” di Ferzan Ozpetek è ambientato nella solita umana cittadella di personaggi che hanno scarsi addentellati con la realtà della cronaca. Un’ enclave utopica e almodovariana, che non va sottoposta a tac logico-fiscale, se no si sbriciola. Ozpetek ama il melò, che è il più fantastico dei generi, più ancora della science-fiction. Se l’improbabilità è una delle componenti della vita, perché dovrebbe essere esclusa dall’arte? Questo è un film sul “gioco dell’amore e del caso” (Marivaux), di “inattuale contemporaneità”, sulle aritmie del tempo, sui sismi del cuore, sulle vertigini del vuoto e dell’assenza, sulla morte. Mi ricorda quella novella persiana (ma la minestra è la stessa del mito greco): un oracolo ti dice che sei vai in un posto, morirai. Allora, tu che fai? Vai in quell’altro posto. E qui ti apre la porta una signora vestita di nero e con la falce in mano, che ti dice: salve, ti stavo giusto aspettando. Caso o fato? Quel che è certo è che, come ci ha già insegnato il regista turco-italico, il “giorno perfetto” è il più insidioso dei giorni.
Elena, alias Kasia Smutniak, non aveva necessità di fare quella analisi medica. Sceglie in libertà e si trova davanti al baratro di una malattia terribile, che stravolge la sua identità. La vita è mascalzona, per non dire di peggio. La gioventù è abitata dall’irrazionalità, la routine del matrimonio funziona da abbattitore termico, ma non è detto che i sentimenti si estinguano e rimangano ottusi al dolore (degli altri).
E questo è un film sui sentimenti, non solo una storia con dei sentimenti. Ozpetek tende a “smielare” ma sa raccontare con delicatezza sia il mistero dell’amore che le verità nascoste. Soprattutto la nostra fragilità, come nella bella sequenza simbolica iniziale (un piano sequenza, ohibò!, un orpello retorico ormai in disuso) in cui, sotto una bomba d’acqua, una pensilina accoglie un gruppo di viandanti in attesa che spiova o passi un autobus. Siamo noi, naufraghi sulla zattera di Gericault, al largo ed esposti alle intemperie del destino. Il gineceo delle interpreti femminili (la donna, oltre al possesso del brevetto biologico, incarna l’unica speranza del futuro) è ineccepibile. Risulta plausibile perfino Francesco Arca, il tronista macho e mofobo che ha una espressività piatta come il tagliere del macellaio. Ozpetek dirige come pochi gli attori. Leggo e ascolto molte carognate su questo film. Oddio, non è uno di quelli che porterei sull’arca di Noè, ma per me è sì. Mi è piaciuto il blend.
 
M

maredentro78

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Io ho sempre seguito Ferzan,amando molto "Cuore sacro"piuttosto che le "Fati ignoranti" questo ammetto che non funziona non decolla,intanto credo che dovrebbe lasciare Roma come setting in quanto è un quadro,Ferzan è un genio della foto e delle ambientazioni qui manca il suo tocco artistico e manca molto!!e gli attori?beh stavolta è caduto troppo in basso:dalla slavata Crescentini,alla fredda Smutniak, all'uomo vuoto che è il tronista.Si parla di un regista che ha fatto recitare Margherita Buy,Favino,giusto per fare 2 nomi,ma questi dove li ha scovati??tutti da sceneggiati tv e basta!Indimenticabili anche le colonne sonore dei suoi film,qui ho sentito 2 belle musiche....gli attori non reggono l'impatto emotivo del film,i temi trattati, nonostante la sua bravura nel gestirli,non bucano il video!:mrgreen:La trama con un buco temporale di 13 anni che di cui racconta il fulcro solo alla fine non ha senso,per fare l'effetto "Sliding Doors" poteva essere più originale!anche i dialoghi sono vuoti e non sempre i lunghi silenzi utili....
Spero che il prossimo sia migliore e che con l'età non si accontenti per gli interpreti dei suoi film....sarebbe triste!
 
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