Woolf, Virginia - Le onde

ayuthaya

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Parto con una premessa: sono sempre più convinta che Virginia Woolf sia come uno di quei luoghi (sempre più rari, al giorno d’oggi) non ancora stuprati dal turismo, quei luoghi a cui è difficile accedere (vuoi perché non sono così pubblicizzati, vuoi perché per raggiungerli occorre uno sforzo reale, fisico) e che per questo conservano ancora intatti la loro bellezza originaria, il loro incanto. Nel commentare questo romanzo, non ho lo scopo di convincere quanta più gente possibile a leggerlo o a riscoprire l’eccezionale valore di questa scrittrice... innanzitutto perché Virginia Woolf non è per tutti (e, credetemi, non lo dico con arroganza: è questione di empatia, non di “bravura”) e poi perché, se lo diventasse, perderebbe gran parte della sua bellezza e del suo fascino.

Non a caso paragono Virginia Woolf a un luogo... tale è per me. Non tanto una scrittrice, quanto un “ambiente” da esplorare, da vivere: vento che accarezza il viso, luce che avvolge, suoni, colori, il contatto con la terra... Virginia Woolf non va capita, va percepita. In modo istintuale, quasi “animalesco” (ho trovato questa espressione in un’altra recensione e l’ho trovata calzante).
E questo romanzo, il più sperimentale dell’autrice in quanto a lingua e struttura, è in assoluto l’apice di questo tipo di approccio, così impegnativo, così difficile... e per questo così appagante! Non esiste trama in questo libro: sei amici si alternano in un monologo tutto interiore. Alcuni passaggi sono pura lirica, non tutti sono facilmente comprensibili, ma non ha importanza. “Leggere significa anche questo: essere sommersi dall’onda di una lingua che ci travolge. Non dobbiamo sempre capire. V’è una conoscenza che si forma nell’incomprensione, nell’urto con le difficoltà”, scrive Nadia Fusini nella sua bellissima prefazione.

Il vero soggetto di questo libro sono il tempo e la voce. Il tempo non è kronos, il tempo che scorre indifferenziato, ma rythmos: in questo caso il moto ripetitivo, incessante e oscillatorio delle onde. Questo continuo andare e venire, dilatarsi e contrarsi, è il filo conduttore che attraversa a vari livelli tutta l’opera.
Vi è poi la voce, anzi, le voci. Ognuna definisce un carattere diverso, che impariamo a conoscere e riconoscere pagina dopo pagina: Rhoda, la “ninfa delle sorgenti”, che non ha una forma propria ma è come “la schiuma che precipita a riva”; Susan, la madreterra, che vive di amore e odio e di “felicità naturale”; Jenny, la cui “bellezza è fatta di carne, materia”; Louis, “scolpito nella roccia, statuario”, la cui vocazione è di “riportare tutti all’ordine”; Neville, “tagliente come le forbici, preciso”, che respinge “l’orrore dell’informe” e Bernard, colui che inventa storie: “la mia sola misura è la frase”. Vi è infine un settimo personaggio, Percival, il quale non è dotato di voce propria ma che vive attraverso la coscienza dei suoi amici: a lui è legato il tema fondamentale della vita e della morte.

A questo coro di voci è affidato il compito di esprimere, e contraddire, il concetto di individualità, e persino di identità, la quale non è data in modo unico e finito – una sostanza solida, della forma di un globo, che si possa rigirare tra le dita e offrire agli altri come si offre un frutto – bensì è materia plasmata dal contatto continuo con altri individui, in special modo coloro con cui si condivide parte della propria vita (così i sei amici, l’uno per l’altro).
Benchè tutti, in modo diverso, incarnino questa consapevolezza, una voce si eleva sulle altre e si fa veicolo principale del cuore di questo libro: si tratta di Bernard. In lui mi sembra di leggere Virginia stessa; lui, che (come Virginia) conosce il potere creativo e generativo della parola (“una bella frase mi sembra abbia una sua esistenza autonoma”), lui, più degli altri, è colui che non può fare a meno di entrare in contatto col mondo e con le altre coscienze. Lui, che vive di storie, sa che non potrebbe esistere se non in continua osmosi con la vita, fatta di cose reali, concrete – “la mente mi si riempie di qualsiasi cosa sia contenuta in una stanza, in uno scompartimento di treno, al modo in cui una penna si intinge di inchiostro”, “mi piace l’aspetto copioso, informe, caldo, non troppo intelligente, ma estremamente facile, e piuttosto grossolano, della realtà” – e con le altre persone – “per essere me stesso (noto) ho bisogno della luce che viene dagli occhi altrui, e perciò non sono affatto sicuro di chi sono veramente”, “non sono una persona sola, sono molte persone. Nè saprei distinguere la mia vita dalla loro.

Per questa ragione, alla voce di Bernard, che più degli altri necessita del contatto col mondo per definire la propria identità, è attribuita la percezione del tempo quale lo abbiamo descritto prima: un continuo andare e venire, perdersi, annullarsi fino a raggiungere uno stato di contemplazione simile all’estasi (nella quale si perde coscienza di sè per sentirsi parte del tutto) per poi rientrare in se stessi, richiamati alla vita (e alla propria individualità) dalla percezione di un suono, di un’immagine, di un evento che ha il potere di richiamarci al mondo reale. Può essere il rumore della natura o il frastuono del traffico... non ha importanza: è la vita che riprende il sopravvento. Vorremmo poter isolare quel momento, fermare il tempo – “se quella nuvola celeste restasse così per sempre; se quest’attimo durasse per sempre” – ma non è possibile: “ecco come torno in me stesso. Perché non sono un mistico, c’è sempre qualcosa che mi afferra – la curiosità, l’invidia, l’ammirazione, l’interesse per i parrucchieri, sì, cose del genere mi riportano in superficie.

E’ la seduzione della vita, della “felicità naturale”, a cui Virginia, nonostante la sua natura così fragile, non ha mai saputo resistere (in questo mi ricorda tantissimo Robert Walser). Ed è per questo che la amo così tanto, è per questo che quando la leggo non posso fare a meno di entrare in perfetta sintonia con lei e di farmi trasportare in quel luogo, dipinto da lei, che è lei, in cui tutto è poesia.
 

Vangoggha

New member
Se il libro è coinvolgente quanto la tua recensione, allora è assolutamente imperdibile.
Complimenti, in ogni riga si capisce quanto ti sia piaciuto questo romanzo.
Grazie per avermi sicuramente innescato la curiosità di leggerlo. :D
 

Dory

Reef Member
Concordo, infatti mi hai messo tanta curiosità; insieme al titolo che, dato il soggetto, non può che attrarmi.
Inizio a leggerlo oggi stesso.
 

Jessamine

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Ayu, non sarà stato il tuo scopo convincere qualcuno a leggerlo, ma sappi che è difficile resistere ad un commento simile :wink:
Questo libro è schizzato direttamente in cima alla wishlist :mrgreen:
 

ayuthaya

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Wow... ragazze, che dire? mi fa tanto piacere...:oops: :) però sappiate che è davvero un libro difficile... non c'è trama, sono pensieri che si susseguono l'uno dopo l'altro. Però vale la pena... Virginia Woolf chiede tanto e in cambio, secondo me, dà tutto. Resta il fatto che questo è il suo libro più sperimentale, e come primo approccio all'autrice io forse consiglierei Gita al faro o ancora meglio La signora Dalloway. Anche Orlando (pure questo molto molto particolare) mi ha folgorata... spero che il mio entusiasmo per questa scrittrice sarà condiviso! :HIPP
 

Dory

Reef Member
Ho letto la prima ventina di pagine e c'è una cosa che mi ha stupito e una che mi ha lasciato perplessa.
La prima è che è la prima volta che leggo la Woolf ma non me l'aspettavo proprio una scrittura di questo tipo, mi aspettavo qualcosa di più tipo la Austen o Dickens, e invece il suo stile mi ricorda un po' la Tempesta di Sheakespeare e un po' la Sylvie di de Nerval, onirico e bucolico.
La seconda, sul quale forse ayuthaya mi puoi illuminare, è che tutto questo mondo di sogno mi si è sgretolato tra le mani quando ho letto la frase (detta da Susan) 'io sono una bambina'.
Non so spiegare esattamente perché, ma penso che queste creature, le voci narranti, si percepisce che sono, come dire, degli 'infanti', ma non avrei usato la parola 'bambini' perché li denota troppo smaccatamente come 'esseri umani', strappando l'alone di sogno, allegorico, che permea la storia e facendo perdere al tutto un po' di credibilità.
Almeno a me ha fatto proprio questo effetto, cioè, quando ho letto 'io sono una bambina' è come se mi fossi svegliata da un sogno e mi sono sentita delusa.
Ho controllato anche nella versione in inglese, dice proprio 'I am a child', quindi non è un errore di traduzione.
Comunque, a parte la mia pignoleria che a volte raggiunge vette di assurdità che mi spaventano (e bambini a parte :mrgreen:) il libro mi sta piacendo molto.
E grazie ayuthaya per avermi fatto scoprire questa meravigliosa scrittrice.
 

ayuthaya

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Allora... vediamo se riesco a risponderti. Premesso che devi essere dotata di una grande sensibilità per aver provato quello che dici solo per aver letto "sono una bambina" :)paura:), credo di aver capito ciò che intendi e, se è così, sei già entrata nel "vivo" della questione.
Il fatto è che se da una parte lo stile della Woolf (soprattutto in questo romanzo) è lirico, onirico, dall'altra in tutte le sue opere persiste un fortissimo radicamento nella "materia"... è esattamente questo che me la rende così irresistibile! verso la fine del mio commento ho cercato di esprimere proprio questo (ma non è facile), e cioè che c'è un continuo andare e venire, perdersi nello "spirito" e tornare alla "terra" e questo, secondo me, per la semplice ragione che Virginia Woolf era profondamente innamorata della vita (come forse lo può essere solo una persona tormentata, disadattata, irriducibile e irrisolta... - non per niente facevo riferimento a Walser -), e non del "concetto" di vivere, ma proprio della vita, del suo aspetto naturale, sensoriale.
Oltretutto (te ne accorgerai andando avanti) Susan è proprio il personaggio che incarna questo attaccamento alla materialità della terra, lei stessa si definisce "grezza" (ad esempio nel paragonarsi a Jenny), elementare... Comunque è proprio così: il libro non è un trascendere la realtà... vero che ho parlato di "monologo tutto interiore" ma è anche vero che questo monologo prende spunto da fatti concreti, e anzi spesso è la trasposizione in parole di vere e proprie sensazioni... Spero di averti un po' aiutato, buona prosecuzione!

PS e io che mentre scrivevo il commento pensavo "questo qui è certo che non lo legge nessuno..." :mrgreen: :HIPP
 

Dory

Reef Member
...trasposizione in parole di vere e proprie sensazioni...

Se ho capito bene quello che vuoi dire, questa frase dovrebbe esserne il nocciolo, e in questo caso, mi è tutto chiaro.
Non so se si tratta proprio di 'sensibilità', è che leggere la frase 'sono una bambina', mi ha portato automaticamente a pensare 'non è possibile che dei bambini parlino in questo modo!' :??

In una dimensione onirica, allegorica, di favola, può essere credibile che dei bambini parlino in quel modo, ma quella frase stona con questa dimensione e ti riporta in quella reale, dove di bambini che parlano in quel modo non ce ne sono e non ce possono essere. Però, se penso che quello che i bambini dicono nel libro, non sono in realtà le loro parole, ma le loro sensazioni, allora tutto torna. I bambini sono capaci di pensieri e sensazioni più complesse e sfaccettate degli adulti, ma chi li osserva spesso non riesce a rendersene conto, perché loro non hanno proprietà di linguaggio sufficienti per spiegarle. Dopo tutto, neppure la maggior parte delle persone adulte le ha, queste sono proprio dote e prerogativa dei grandi scrittori.
 

ayuthaya

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PS forse la questione è ancora più semplice... il tuo dubbio è proprio "anagrafico"? in questo senso penso che Susan si riferisse non alla sua età, ma al suo sentire... come ti dicevo, lei è la più "semplice" per certi versi... non ha detto già più volte che vive di amore e odio, proprio come fanno i bambini?
in ogni caso credo che nella prima parte del libro (poichè lo snodo temporale è piuttosto ampio) i sei ragazzi debbano avere fra i 16- 17 anni... (frequentano un collegio)
 

Dory

Reef Member
PS forse la questione è ancora più semplice... il tuo dubbio è proprio "anagrafico"? in questo senso penso che Susan si riferisse non alla sua età, ma al suo sentire... come ti dicevo, lei è la più "semplice" per certi versi... non ha detto già più volte che vive di amore e odio, proprio come fanno i bambini?
in ogni caso credo che nella prima parte del libro (poichè lo snodo temporale è piuttosto ampio) i sei ragazzi debbano avere fra i 16- 17 anni... (frequentano un collegio)

Ah, mah, allora forse è il caso che lo rilegga da capo, oppure è solo che devo andare più avanti. Fin dall'inizio, prima che leggessi quella frase, non so bene perché, ho immaginato che fossero piccoli, tipo 'piccoli folletti e fatine del bosco', non gli avrei mai dato 16 anni. :mrgreen:
Del resto, questo genere di creature fantastiche non hanno una vera e propria età, o sono giovani o sono vecchi. :wink:
 

ayuthaya

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Ah, mah, allora forse è il caso che lo rilegga da capo, oppure è solo che devo andare più avanti. Fin dall'inizio, prima che leggessi quella frase, non so bene perché, ho immaginato che fossero piccoli, tipo 'piccoli folletti e fatine del bosco'...

Domanda: ma se all'inizio ti sei meravigliata che Susan avesse dichiarato di essere una "bambina", perchè ora ti meravigli che siano ragazzi (che poi questo è quello che ho dedotto io...)?
Comunque al posto tuo non sarei così "rigida"... lasciati andare, credo che l'età anagrafica dei personaggi alla fine non sia così importante! secondo me dovresti fare due tipi di operazione "mantale": una è quella di considerarli comunque persone*, perchè come ti dicevo la componente "materica" è trasfigurata ma imprescindibile; l'altra è di entrare nell'ottica che, trattandosi di un libro sul tempo che scorre e sulle voci, i "fatti" e la successione temporale così come la intendiamo noi sono assolutamente secondari... Non a caso io all'inizio non mi sono racapezzata molto su alcune sequenze: prima sembra che stiano per lasciare il collegio, poi c'è la cerimonia di apertura, e poi di nuovo quella conclusiva... che sia proprio il movimento delle onde, avanti e indietro anche nel tempo? il fascino del dubbio in un romanzo in cui non tutto può essere spiegato (secondo me)... :)

* PS dopo averlo scritto ci ho pensato... è anche vero una cosa, e cioè che, sebbene ogni personaggio sia diverso dall'altro e abbastanza ben caratterizzato (a parte Neville, con cui ho fatto una faticaccia bestiale!!!! :mrgreen:), è anche vero che come è scritto nella prefazione (prima o poi leggila, è bellissima) alla Woolf in quest'opera non interessavano le personalità in quanto tali... Per cui sì, in un certo senso si può dire che non sono "persone" a tutti gli effetti, ma quasi entità in continuo movimento e divenire, i cui contorni (l'uno rispetto all'altro) a volte non sono così definiti. (Più ne parlo e più mi rendo conto che è davvero un libro complesso, sarò felicissima di parlarne ancora con te quando lo avrai finito!)
 
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Dory

Reef Member
Chiarisco un attimo il discorso 'anagrafico': per me non è importante definire un'età dei protagonisti.
Il mio disappunto era dovuto solo all'uso di un termine che li collocava precisamente nel modo umano, mentre avrei preferito che il fatto che fossero o meno umani fosse lasciato nel dubbio, oppure svelato in seguito. Ma questo è solo un mio gusto personale, dettato dalle prime impressioni. Può darsi che rileggendolo o comunque leggendolo tutto, la mia prospettiva cambi.
Per ora ho pensato di sospenderlo per finire 2666 (che è mentalmente abbastanza impegnativo) entro questa settimana, perché il primo aprile inizia la sfida letteraria.
Ma appena finisco Bolano lo riprendo e lo rileggo dall'inizio. :wink:
 

ayuthaya

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Chiarisco un attimo il discorso 'anagrafico': per me non è importante definire un'età dei protagonisti.
Il mio disappunto era dovuto solo all'uso di un termine che li collocava precisamente nel modo umano, mentre avrei preferito che il fatto che fossero o meno umani fosse lasciato nel dubbio, oppure svelato in seguito. Ma questo è solo un mio gusto personale, dettato dalle prime impressioni. Può darsi che rileggendolo o comunque leggendolo tutto, la mia prospettiva cambi.
Per ora ho pensato di sospenderlo per finire 2666 (che è mentalmente abbastanza impegnativo) entro questa settimana, perché il primo aprile inizia la sfida letteraria.
Ma appena finisco Bolano lo riprendo e lo rileggo dall'inizio. :wink:

ok, allora avevo capito bene all'inizio e (per quella che è la mia opinione) rimando a quello che avevo scritto in quel post! e ora basta sennò diventa un commento da minigruppo!!!! :mrgreen:
 

Jessamine

Well-known member
Mi rigiro in testa questa recensione da qualche giorno, senza avere ancora avuto il coraggio nemmeno di provare ad avvicinare le dita alla tastiera.
Io Virginia Woolf l'avevo letta solamente nel suo saggio "Una stanza tutta per sé", e m'era parso che potesse essere un'autrice con tanto da darmi. Ma mai avrei pensato che in un romanzo avrei trovato tutto questo.
Avevo anche pensato di iniziare da qualche altra cosa per conoscere la sua prosa, perché mi dicevo che forse cominciare dalla sua opera più sperimentale sarebbe stato difficile, mi dicevo che avrei fatto meglio a cercare di andare per gradi. Poi però sono inciampata quasi per caso in una recensione bellissima, così piena di entusiasmo ed ammirazione che non ho potuto fare meno di buttarmi, e cominciare proprio da qui. In questa recensione si dice che Virginia Woolf non è un'autrice da capire, ma piuttosto è da percepire, e su questo non posso che concordare. Certo, all'inizio, per una cinquantina di pagine circa ho cercato comunque di affiancare la comprensione alla percezione, strenuamente, e sì, ho apprezzato il testo spiazzante, ma con qualche difficoltà. Con un po' di affanno, come se non riuscissi a stare dietro a tutto. E allora ho provato semplicemente a lasciarmi andare, a lasciar perdere la compensione, le riflessioni, la "teoria", per abbracciare solamente la parte più irrazionale ed istintiva. E, sembra paradossale, lo so, ma solo così ho iniziato a comprendere di più. Non voglio dire di aver compreso tutto, non mi azzarderei nemmeno a dire di aver compreso molto, anzi, forse sono riuscita a cogliere soltanto una minima parte di tutto quello che Virginia ha incastonato in questa prosa così poetica. Ma, e questo sì, lo voglio dire, ho percepito tanto. Molto di tutto questo credo sia rimasto a livello inconscio, è stato un percepire molto istintivo, dato da sensazioni e fluire (ondeggiare, mi verrebbe da dire) di emozioni e stati d'animo.
Per questo mi è così difficile parlare di questo romanzo: tutto quello che più mi ha colpito, lo ha fatto ad uno stadio diverso da quello della percezione della trama o del piacere tratto da una prosa meravigliosa, o anche dalle riflessioni che si potrebbero fare prendendo spunto daalcuni temi trattati. Questo romanzo mi ha colpito a livello emozionale e personale. Mi è sembrato di avvertire in questo coro di voci un tentativo di sviscerare l'intimità: intimità dei protagonisti, dell'autrice e del lettore. E io, forse anche perché si tratta di un periodo particolare della mia vita, in cui sono particolarmente propensa ad esperienze del genere, ho lasciato che la lettura di questo romanzo di trasformasse in un'esperienza spiazzante, sconvolgente, estremamente personale e intima. E, per quanto questa lettura mi abbia lasciato tantissimo, non sarebbe questo il modo né soprattutto il luogo adatto per parlarne.
Resta comunque il fatto che questo romanzo mi sia piaciuto tantissimo, nonostante abbia richiesto molta attenzione e molte "energie". Io non credo di aver mai letto nulla si simile, dove una prosa che non può essere definita tale va a dipingere sei personaggi, sei animi diversi eppure estremamente simili, sei facce di una stessa medaglia. È un gioco di contorni e definizioni, i diversi caratteri emergono dal continuo confronto, come se il vuoto fra di loro non esistesse: sono personalità contigue, dai confini talmente combacianti da rendere quasi impossibile definire cosa sia l'identità personale e cosa la collettività. Leggere era immergersi in una dimensione completamente diversa, altra, che non credevo nemmeno possibile. E credo che questo sia uno di quei romanzi da leggere e rileggere, periodicamente, perché una così grande parte la fa la sensibilità del lettore, dunque ogni lettura potrebbe essere un'esperienza a sé stante.
Sono infine grata a Virginia Woolf per avermi finalmente offerto la prova di qualcosa di cui sono sempre stata assolutamente, fermamente convinta: la poesia non risiede nella verticalità dei versi.

Chiedo scusa per la confusione e l'inconcludenza di questo commento, ma ho preferito scriverlo di getto, seguendo solo il fluire dei pensieri e delle sensazioni che mi sono rimaste dentro.

P.S ovviamente la recensione di cui parlo è quella di Ayu, non l'ho citata facendo un riferimento diretto perché di solito copio-incollo le mie recensioni su Anobii, e se facessi diretto riferimento a quello che c'è scritto qui non si capirebbe nulla ;).
 

ayuthaya

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sarò concisa: ti ringrazio ancora una volta per i tuoi complimenti, ti faccio i miei perchè hai scritto un commento meraviglioso nel quale esprimi tutto ciò che hai provato (ancora più di me che avevo un po' la preoccupazione di non farmi capire bene...) e lo hai fatto in modo sincero, sentito ed efficace.
E, non da ultimo, sono davvero felice che questo libro ti sia arrivato in questo modo... non perchè te l'ho consigliato io, ma perchè è stupendo (almeno per me) vedere condivise delle sensazioni così intime e profonde con qualcuno che neanche conosco... questo è il potere e il valore della "grande" letteratura. Complimenti Jess, e grazie.
 

Grantenca

Well-known member
Dopo le prime pagine, dico la verità, avevo pensato di interrompere questa lettura, ma sono abbastanza tenace (non però fino all’autolesionismo !) e, aiutato dal brutto tempo della pasqua, ho continuato. Improvvisamente Susan ha incominciato ad esternare le sue sensazioni dell’ultimo giorno di scuola (o primo delle vacanze estive) e mi sono ritrovato completamente nelle sue riflessioni. Quel senso di felicità, quello stato di grazia, così mirabilmente descritto, l’ho provato anch’io. Dai quattordici ai diciotto anni ho provato quelle bellissime sensazioni. Era una motivazione fortissima che mi imponeva una calibrata diligenza scolastica al fine di non dover avere più niente a che fare con la scuola per tutto il periodo estivo. Non erano certo le attività, comunque ludiche, ma non dissimili da quelle di quasi tutti i miei coetanei del periodo, ma era il senso di libertà totale, priva di ogni costrizione, e che, probabilmente inconsciamente, sapevo che non avrei mai più provato, che determinava questo mio, esaltante e inutilmente rimpianto, stato d’animo. E adesso sembra che ci sia un ministro che vuol “regolamentare” con un alternanza vacanza-lavoro questo periodo! Decisione folle e scellerata!! (non hanno già abbastanza problemi per loro conto i giovani studenti moderni?)
Mi accorgo che sto completamente divagando…..ritornando al libro, dopo questo fatto ho continuato a leggerlo con più partecipazione, rileggendo spesso periodi che non mi erano chiari nel significato. Questi sei personaggi (tre maschi e tre femmine) che all’inizio faticavo a distinguere, parlano in prima persona degli stessi fatti (il primo giorno di vacanze, un incontro al ristorante, la morte prematura di un loro comune amico che era il migliore di tutti e che avevano probabilmente idealizzato (che ci sia qualche nesso sul fatto come qualcuno ha affermato che la morte prematura sceglie i migliori per preservarli dalla decadenza dovuta all’inesorabile trascorrere del tempo?) e di altre cose e quello che mi è risultato più chiaro è il fortissimo legame che li unisce, che va oltre al fatto dei rapporti interpersonali (alcuni sono stati anche amanti, qualcuno innamorato non corrisposto) che li fa sembrare quasi un “unicum” all’interno della società in cui vivono. Questo legame, che si protrae nel tempo, ritengo derivi dal fatto di aver passato la fondamentale età della formazione, in collegio, sempre insieme, tutti i giorni, e questo ne ha causato una reciproca profondissima intimità e conoscenza che nessun altro, esterno alla loro cerchia, potrà raggiungere. Le loro considerazioni, esternazioni, pensieri, su tutto quello che è intorno a loro e soprattutto dentro di loro generano un caleidoscopio infinito di immagini che non sempre sono riuscito a focalizzare, come una serie di affascinanti fuochi artificiali, uno diverso dall’altro quando non fai in tempo a guardarne uno che scoppia già l’altro. Il tutto intercalato, dopo ogni capitolo, dalla descrizione, in una bella e limpida giornata degli effetti dei raggi solari, dall’aurora al tramonto, sul mondo che ci circonda, sul mare, sulla campagna, sugli animali, sulle città; una cronaca minuziosa, precisa, affascinante, la giornata sembra quasi descritta minuto per minuto, che non ho mai trovato in nessun altro testo che ho letto. Non mi soffermo ad analizzare i singoli personaggi, fatto molto complesso ma che comunque fa parte della struttura di un libro che, a prima vista, sembra saltare da un argomento all’altro ma che invece mantiene una linea unitaria che alla fine si può, grossolanamente, sintetizzare in quello che è l’esistenza umana per l’autrice. Ciò si deduce, a mio avviso, molto chiaramente, dal magnifico monologo finale di Bernard, nel quale egli descrive chiaramente la durezza della battaglia quotidiana del vivere (il martedì segue il lunedì, il mercoledì segue il martedì ecc…) con un risultato non certamente esaltante per una persona che si trova nel tardo pomeriggio della sua esistenza, ma che proprio nelle righe finali evoca una battaglia con un nemico invincibile ma che vale la pena di combattere nel migliore dei modi. Non è comunque, a mio avviso, una lettura "distensiva" e ritengo sia adatta a lettori "iniziati". Questa non vuol essere una critica... anzi! Come la buona musica leggera può piacere a chiunque abbia un minimo di sensibilità, la buona musica "Jazz" può essere maggiormente apprezzata da chi abbia una buona base di conoscenze musicali, questo volevo dire. Con tutto ciò sono perfettamente consapevole di non aver colto molte cose, importantissime, del libro e che dovrei probabilmente rileggerlo, anche se so già che difficilmente lo farò. Ho altra carne al fuoco e il tempo non è poi ….molto. Non esprimo quindi né giudizi né voti; ad altri l’ardua sentenza.
 
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ariano geta

New member
É uno dei libri più poetici che abbia mai letto. Narra l'evoluzione di sei persone nel corso degli anni basandosi sulla loro interiorità, sui loro pensieri, sulle loro sensazioni. Non è una lettura facile, è molto ostica e anticonvenzionale, però quando si viene conquistati dalla prosa della scrittrice (e la Woolf scriveva talmente bene che è quasi impossibile non restare affascinati dalla sua prosa) è come leggere una lunghissima, meravigliosa poesia.
 

elisa

Motherator
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E' una di quelle letture in cui ti chiedi continuamente se la vittima sei tu che stai leggendo qualcosa di completamente sconnesso o la vittima è la scrittrice che disperamente resta ancorata alla realtà con un filo di voce che è la sua scrittura, disarticolata, destrutturata, completamente slegata dal desiderio di essere compresa, come terapia interiore, un bisogno di lasciarsi liberamente andare ai pensieri e al flusso dinamico che essi prendono in quello spazio tra l'onirico e il lisergico, un'esperienza pop tipica di anni a venire. E' una lettura che spesso stride e trasforma il lettore in un vaso da riempire, in un interlocutore paziente della scomposizione di una mente, di un'anima, di una vita. Scorretta fino ai limiti della autoterapia Woolf ti regala molte emozioni, molti dubbi e una tristezza infinita.
 

Minerva6

Monkey *MOD*
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