Mo Yan - Le rane

ayuthaya

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dalla quarta di copertina:

Tutti i bambini della regione di Gaomi sono venuti al mondo grazie alle cure e alla sapienza delle mani di Wan Xin, l'unica levatrice della zona. Il suo è un talento naturale che in breve tempo la trasforma nell'amata custode dei segreti della maternità. Ma quando, a metà degli anni Sessanta, il partito le chiede di mettersi al servizio del programma di controllo delle nascite, lei - per coerenza, per fedeltà, per debolezza - accetta e da eroica dea della fertilità si trasforma in boia inesorabile di nuove vite. Finché, in una drammatica notte di molti anni dopo, tornando a casa, si smarrisce in una zona paludosa: il gracidare delle rane le ricorda il pianto dei bambini mai nati, i corpi gelidi degli animali, come piccoli feti abortiti, la circondano, la ricoprono, spingendola a confrontarsi con le sue colpe e a ripensare la sua intera esistenza.

Non so spiegare quello che è successo... sono entrata un secondo alla Feltrinelli perchè lo faccio sempre quando passo di lì e vedo questo libro col 25% di sconto... Riconosco l'autore: è un po' che mi attira ma Sorgo rosso non mi ispira... leggo la trama che ho riportato qui sopra e resto folgorata: questo libro è su quello scaffale per me. Cina... bambini... maternità...Sono troppe le ragioni per cui so che sta aspettando proprio me! Tempo 10 secondi (un occhio al prezzo) e mi dirigo in cassa... credo che una cosa del genere non mi accadesse da anni. Ci ritroviamo prima o poi per il commento!
 
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ayuthaya

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(Per la trama rimando a quanto ho già riportato nel primo post)

È proprio vero che occorre guardare le cose dal di dentro per poterne comprendere l’ampiezza, la complessità, le contraddizioni.
L’argomento attorno al quale Mo Yan costruisce il suo romanzo è talmente delicato, difficile, drammatico che ritengo se non altro arduo il tentativo di ridurlo da un punto di vista letterario. Per questa sola ragione l'esistenza di questo libro ha in sè qualcosa di eroico, di epico.
E, in effetti, la prima parte del romanzo assomiglia moltissimo a un poema: se ci si riesce a destreggiare (e non è cosa facile!) fra la caterva di nomi cinesi che sembrano tutti uguali e ugualmente impronunciabili (Wang Jiao, Yuan Sai, Yan Lian, Yang Lin...), si otterrà in cambio di vivere un viaggio straordinario, autentico, struggente, attraverso un Paese e un’epoca unici: la Cina degli anni Settanta, quando vigeva la rigorosa, crudele, ma a suo modo "ragionevole" politica del controllo delle nascite.

Il modo in cui l’autore ci catapulta in questa realtà, così distante dalla nostra storia e dalla nostra cultura, è insuperabile: soltanto condividendo, anche solo nel modo virtuale della letteratura, la concretezza di questa tragedia, il dramma di tante famiglie che non accettano la logica ampia e lungimirante del partito e che sfidano tutto e tutti − anche la morte − pur di poter avere il secondo, a volte persino il terzo figlio, nella speranza che sia il tanto agognato "maschio"... solo così, dicevo, accostandoci per un breve tratto alle loro vite e provando a guardarli attraverso i loro stessi occhi, occhi di gente ignorante e superstiziosa, umile e forte, se ne può intuire l'immensa portata.
E a quel punto è molto più difficile distinguere i "buoni" dai "cattivi", così come ci viene spontaneo fare quando giudichiamo i grandi eventi da un libro di storia o peggio ancora dalle pagine di Wikipedia.

Ci sono ragioni "nobili" da una parte o dall'altra di questa assurda lotta pro e contro la vita? Io credo di no. In effetti, una delle cose che mi hanno colpito di più per tutta la prima metà del libro (quella cioè ambientata nel "passato") è stata l'assenza del valore della vita (e quindi anche della maternità) in quanto tale... Sì, è vero: Wan Xin, protagonista indiscussa del romanzo, "eroina" della vita prima e della morte poi, il cui potere è paragonato quasi a quello di una divinità (non si può non amare questa figura emblematica e contraddittoria, così diversa dai soliti stereotipati personaggi femminili), possiede un dono naturale, un "talento" tale che il suo contributo di semplice ostetrica si avvicina tantissimo al potere di generare la vita, ma è altrettanto vero che l'ostinazione con cui tutti lottano per la propria causa poco o nulla sembra avere a che fare col bene dei bambini che verranno.
Di certo non vi è sincero e amorevole desiderio di una nuova vita nella follia dei padri per cui le "femmine", non potendo perpetrare la discendenza della famiglia, non contano nulla... e ne ho trovato poco persino nelle madri, alcune delle quali, solo per poter compiere il proprio dovere di mogli e offrire questa discendenza tanto agognata, mettono a repentaglio la propria vita e quella di tutti i loro cari, pur di portare a termine una gravidanza "illegale"... Altrettanto si può dire delle ragioni del partito − incarnate nella "fedeltà" (che sfocerà in fanatismo) di Wan Xin −: nei loro princìpi generali condivisibilissime ("Se non controlliamo la popolazione, non ci saranno cibo e abiti per tutti, non riusciremo a istruire la gente in maniera adeguata...") ma, come qualsiasi astrazione, che non ammette eccezioni per non creare "precedenti", impietose e crudeli quando si scontrano con la realtà.
Alla fine sembra che questi bambini, "contesi" da una parte e dall'altra in una sorta di macabro tiro alla fune, siano tutto fuorchè figli.

Per questa ragione, a differenza di molti commenti che ho letto su Anobii, ritengo la seconda parte del romanzo (quella ambientata nella Cina contemporanea, quando il controllo demografico è ormai quasi solo un doloroso ricordo) altrettanto bella e indispensabile della prima. Certo difetta un po' della forza letteraria che scaturisce spontanea quando si parla di un passato così drammatico (e, personalmente, ho mal sopportato l'evoluzione della figura di Wan Xin, in seguito al suo "rimorso"... ), ma il suo apporto è fondamentale: finalmente entra in gioco la maternità, il desiderio − anche questo non scontato, non privo di contraddizioni − di cullare fra le braccia il proprio figlio, anche quando... (e mi fermo qui per non finire in spoiler).

Un libro bellissimo, struggente e mai retorico. Una storia avvincente che ci parla, se non di singoli episodi, se non altro di dinamiche realmente accadute e che hanno segnato profondamente la storia di questo Paese. Uno di quei libri che secondo me dovrebbero essere letti comunque, a prescindere persino dal loro valore letterario (pure in questo caso indubitabile: ricordo che Mo Yan è stato insignito del Nobel nel 2012). Consigliatissimo.
 
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bouvard

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Ci sono libri che mettono a dura prova la nostra pazienza, i nostri nervi, e quant’altro quando li leggiamo non per lo stile e neppure per la trama intricata – anche se in questo caso, devo ammettere, che già bastano i nomi a mettere a dura prova i nervi - ma per l’argomento trattato. Mentre leggevo questo libro ho avuto spesso la tentazione di chiuderlo, o di scagliarlo lontano, tanto mi sembrava esagerato, eccessivo, irreale. Un senso di rabbia e di disagio che crescevano pagina dopo pagina mi impedivano di godermi la lettura.
Cina anni settanta: viene approvata la legge per il controllo delle nascite, ogni famiglia può avere un solo figlio, sono ammesse deroghe solo in casi particolari e nel rispetto di certe condizioni. Questo era quanto sapevo prima di leggere questo libro, ignoravo l’accanimento contro le donne incinte al di fuori “delle regole”, non sapevo niente degli aborti compiuti su donne in stato di gravidanza avanzata, e non sapevo neppure niente della vasectomia forzata compiuta sugli uomini.
Leggendo provavo rabbia perché tutto questo è stato compiuto in nome di un Partito politico, il cui scopo ripetuto in modo ossessivo, quasi come una sorta di “lavaggio del cervello” era quello di assicurare il benessere del Paese ed un futuro migliore per la popolazione. Migliorare le condizioni di vita della gente è senz’altro un intento encomiabile, ma siamo davvero sicuri che se queste donne avessero avuto la possibilità di scegliere, tra una ciotola di riso in più o un’automobile su un piatto della bilancia e un figlio sull’altro avrebbero scelto i primi?
Certamente uno Stato deve avere sempre come priorità il benessere collettivo, e può capitare che per perseguire questo si possano o si debbano sacrificare degli interessi “particolari”, ma è giustificabile l’accanimento, la violenza che si racconta in queste pagine? Ecco il mio disagio di fronte a questo libro deriva proprio dal non riuscire a capire quanto di ciò che vi viene narrato sia o possa essere davvero accaduto. Ci sono dei libri nei quali si può accettare un margine di finzione, di esagerazione, e poi ci sono libri – e questo è uno di quelli – in cui, proprio perché le vicende narrate sono già di per se dolorose, ogni aggiunta, anche minima, rischia di risultare fastidiosa.
Il disagio era, inoltre, accresciuto dal fatto di non riuscire a capire, ad accettare il comportamento di nessuno dei personaggi. Per l’intero libro non sono riuscita a capire come l’ostetrica, una donna che ha un “dono” naturale nel far nascere i bambini, amata e apprezzata da tutti possa diventare succube del Partito, incapace di interrogarsi criticamente sulla sua politica, incapace di fermarsi a capire le ragioni delle persone. Non sono riuscita a capire gli uomini di questo libro, ossessionati dall’idea di avere un figlio maschio per continuare la stirpe, al punto da mettere a repentaglio la vita delle loro mogli, ma non sono riuscita a capire neppure queste donne, disposte a morire per il secondo figlio, ma non per un atto d’amore, ma per puro egoismo, per soddisfare il desiderio ossessivo dei loro uomini, che diventa anche il loro.
Maternità, gravidanza sono i concetti che dominano tutto il libro, eppure io vi ho trovato ben poco amore filiale, perché dietro quell’apparente amore vi ho trovato, invece, molto egoismo e molte ragioni sbagliate per desiderare un figlio.
Il libro comunque lo consiglio, almeno per quel che mi riguarda mi ha spinto ad informarmi meglio su un argomento che non conoscevo.
 
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ayuthaya

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Mi è piaciuto molto il tuo commento, sebbene non sia del tutto "positivo"... Anch'io ho avuto una specie di riserva su questo libro (tant'è vero che su Anobii l'ho stellato con 4 e non con 5), soprattutto rispetto al suo valore letterario: alto, ma non da capolavoro, secondo me.
Però non so come spiegare... anch'io tendo a identificarmi con i personaggi di un libro, però è davvero difficile che arrivi a parteggiare per uno di loro, o anche solo a ritenere giusto o sbagliato quello che fanno. Quindi è altrettanto raro (se il libro mi piace, se trovo che sia scritto bene) che mi "infastidisca" per i loro comportamenti, forse perchè mi identifico a tal punto che in qualche modo riesco sempre a prendere su di me una parte delle loro ragioni.
Ne Le rane ho adorato la prima parte, non l'ho trovata eccessiva (al massimo un po' romanzata) perchè non faccio fatica a credere che se non i singoli episodi, almeno la situazione generale fosse molto simile a quella descritta. La seconda parte l'ho trovata più debole, e lì sì... mi ha "infastidito" un po' l'atteggiamento della zia, il modo un po' forzato in cui è stato declinato il suo carattere...
Comunque mi ritrovo perfettamente in ciò che hai scritto alla fine: si parla tanto di "figli" ma senza "amore", e questa cosa è spaventosa. Certo non arrivo a credere che nella Cina degli anni Settanta non esistesse amore filiale (ci mancherebbe) però mi è piaciuto il modo forte, duro, in cui Mo Yan ci ha presentato questo dramma di cui effettivamente quasi tutti sanno ma (com'è coprensibili) pochi conoscono la portata.
Credo anch'io che valga la pena comunque, anche solo per questo.
 
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Grantenca

Well-known member
Ho appena terminato di leggere questo libro, e anche se per me un po' faticoso soprattutto per distinguere "i nomi" che mi sembra si assomiglino un po' tutti, devo dire che sono contento di averlo letto. Ci descrive un mondo arrivato da noi soprattutto per "stereotipi". La Cina contadina, delle classi più povere, con il suo modi di vita, i suoi valori, le sue credenze (anche la religione appare più per riti scaramantici che per fede assoluta). Questo stentato ma in fondo tranquillo modo di vivere viene sconvolto dapprima con la guerra contro l'invasore giapponese e dopo soprattutto da due avvenimenti: la rivoluzione culturale e il controllo demografico. Qui da noi è stato dato grande risalto soprattutto alla prima (la rivoluzione culturale), ma nel libro è esattamente l'opposto. La rivoluzione culturale appare in modo defilato, quasi di soppiatto, e non appare crudele, feroce e spietata come probabilmente è stata ed a noi descritta (forse per motivi di censura?)Ben più importante è stato il controllo demografico, subìto ma non accettato dalla classe contadina. I poveri si sono sentiti defraudati della loro unica ricchezza e ragione di vita. La possibilità cioè di perpetrare attraverso la discendenza la loro specie, i loro caratteri, la loro famiglia. A pensarci bene era poi tanto diversa la vita nelle nostre campagne nel primo 900? E anche tra le due guerre?: le famiglie più povere facevano un sacco di figli anche forse per ignoranza, ma anche per i motivi che sopra ho espresso. La grande differenza sta nel fatto che tale comportamento, dal 1922 in poi, qui da noi era incentivato dal governo.! Si è instaurata quindi una lotta dura, senza esclusione di colpi tra le famiglie e gli addetti al controllo delle nascite che ha caratterizzato, con le storie personali dei protagonisti, gran parte del libro. Anche qui l'autore lascia intravvedere che per i ricchi e i potenti e la loro cerchia, qualche scorciatoia c'era e la legge non era proprio uguale per tutti, e qui trovo una seconda analogia con il nostro carattere. Alla fine il libro termina, a mio avviso in modo geniale, con una commedia i cui protagonisti sono gli avvenimenti e i personaggi principali del libro; una vera "ciliegina sulla torta" che aumenta il valore letterario dell'opera.
Alla fine sembra che questa politica abbia prodotto il benessere attuale che la Cina può orgogliosamente mostrare al mondo e probabilmente è così. Dall'altro lato della medaglia c'è l'atroce, inestinguibile rimorso di chi, o per fede politica o per opportunità ha eseguito od appoggiato questa politica. La conclusione, l'ultimo giudizio, sembra essere lasciato al lettore. Quello dell'autore mi sembra abbastanza chiaro: nessuna riforma politica vale il sacrificio, consapevole, di vite umane.
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Mo Yan è un gran furbacchione. Sa muoversi bene sul limite della critica consentita, eludendo la mannaia censoria con grande eleganza; certo critica le scelte del partito, ma lo fa con equilibrio e saggia scelta di tempo. Non dimentichiamoci che l'autore dentro quel regime ci sguazza, non a caso è stato il primo cinese a vincere un nobel senza essere dissidente. Ma comunque devo scrivere del romanzo, che è un ottimo romanzo.

Semispoiler

Ambientato a Gaomi, la città originaria dell'autore che si trova a nord-est della Cina, si svolge a partire dagli anni '60. Parliamo dunque di una Cina estremamente rurale, grezza, per molti versi arretrata. I parti avvengono tra le mura domestiche in condizioni infernali, con vecchie matrone che saltano sulla pancia della malcapitata di turno per farla partorire prima. Inutile dire che molte donne morivano così come molti neonati non vedevano la luce. Ed è qui che si inserisce la protagonista ("la zia"), una specie di eroina che sottrae le donne a questo pericoloso supplizio, facendole partorire con metodi professionali.

Fino a quando la Cina di Mao decide di invertire la rotta, legiferando con la famosa politica del figlio unico.
Ora; non dimentichiamoci che Mo Yan non parla di una storia vera e non dimentichiamoci nemmeno che non tutto ciò che scrive è reale. Forse quelle storie, quelle vere delle donne che partorivano nelle sperdute campagne della Cina rivoluzionaria, si sono perse per sempre, tra le mura lontane di una Cina nebbiosa e poco raccontata.

Comunque sia "la zia", così come all'inizio era la paladina dei bimbi, diventa la paladina dell'aborto, perchè la causa nazionale e la voce del partito sono più grandi delle piccole prese di coscienza individuali. La stessa dolcezza di prima viene ora capovolta da una ferocia e da una spietatezza applicate con lo stesso identico rigore. La "zia" non ha più un'anima, sciolta nella grande causa comunista.

Diventa una specie di criminale autorizzata, praticando aborti forzosi, deprimenti e pericolosissimi. La stessa prima moglie dell'io narrante morirà per mano della "zia" durante uno di questi drammatici interventi.
Mo Yan critica le scelte di Mao, ma lo fa blandamente e in un'epoca in cui è consentito criticare la politica di 50 anni prima. Un po' tardino, direi, ma comunque critica.

E lo fa mascherandosi dietro la metafora, perchè descrivendo i cambi della "zia" ci parla della debolezza degli uomini che di fronte al potere si sciolgono come neve al sole, della mancanza di coraggio degli individui, semplici ingranaggi, di fronte ai mastodontici apparati burocratici.

In cinese rana si dice "wa" e la stessa parola pronunciata in modo diverso significa bambino. Le rane sono tante, sguazzano a miliaia negli stagni, proprio come i contadini cinesi nell'immediato dopo guerra che riempivano le campagne di bambini che dovevano accrescere la forza lavoro e l'esercito.

Così come la rana da sola non conta nulla e il suo gracidare si confonde, così anche nessun bambino ha valore per la politica delle grandi masse.
"Le rane" è anche un'opera di Aristofane, che ai suoi tempi criticava i mali della sua società.

Insomma, sono molti gli indizi che Mo Yan sparpaglia lungo la strada del lettore, al fine di renderlo edotto della sua critica al partito. Una critica che si muove all'interno dei labili confini censori cinesi. La determinazione della "zia" è criticata all'interno della sua personale scelta di aderire a logiche provinciali che si spingevano ben oltre le direttive più elastiche di Mao. Cioè è più colpa della "zia", che di Mao Tse Tung in persona.
I regimi totalitari da sempre preferiscono la repressione all'educazione civile, alla presa di coscienza. In Cina il problema della sovrapopolazione c'era e la politica di riduzione delle nascite doveva essere una necessità, sono i modi, credo, a lasciare perplesso Mo Yan e con lui il lettore di questo bellissimo romanzo.

Azzardo un parallelo audace: Mo Yan sta alla Cina come Elsa Morante sta all'Italia, uniti dalla loro storiografia "dal basso", contadina quella del cinese, urbana quella della seconda, una storia fatta dai grandi che si serve di ingranaggi comuni.
In fondo la libertà di scelta implica responsabilità collettiva, mentre l'idealismo puro diventa violenza brutale, come troppe volte abbiamo visto lungo il martoriato XX secolo.

Quella di Mo Yan, dunque, è una critica al partito fatta a bassa voce e proprio per ciò, forse, più riflessiva e penetrante, scevra da quelle urla da salotto televisivo in cui non è il contenuto migliore a prevalere, ma la voce più forte.

Invece qui Mo Yan parla piano piano, quasi in sordina, come una piccola rana che gracida in uno stagno dove sono tutti uguali.

Votato 4/5



 
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ayuthaya

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Membro dello Staff
Non posso che ammetterlo per l'ennesima volta: scrivi benissimo e questa recensione è stupenda. Complimenti.
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Non posso che ammetterlo per l'ennesima volta: scrivi benissimo e questa recensione è stupenda. Complimenti.


Uhhhh vado tantissimo OT, perchè quando ricevo complimenti di questo tipo mi commuovo.....mi sciolgo e non capisco più nulla di nulla....per me l'atto della scrittura è fondamentale, fa parte di me ed è ciò che più mi rappresenta...per cui grazie infinitissime e perdonate l'OT, tra i peggiori, perchè personale, non lo faccio mai più giuro

thanks, davverto, tanti tanti thanks:ABBB
 

c0c0timb0

Pensatore silenzioso 😂
Uhhhh vado tantissimo OT, perchè quando ricevo complimenti di questo tipo mi commuovo.....mi sciolgo e non capisco più nulla di nulla....per me l'atto della scrittura è fondamentale, fa parte di me ed è ciò che più mi rappresenta...per cui grazie infinitissime e perdonate l'OT, tra i peggiori, perchè personale, non lo faccio mai più giuro

thanks, davverto, tanti tanti thanks:ABBB
Nevveroooo!
BUUUUUUUUUUUNDICI! :mrgreen::ABBB

Lo scrivo qua: a volte i commenti e le impressioni personali, soprattutto le lunghe recensioni fatte da persone intelligenti (e devo dire che spesso quelle di Ayu, Bouvard, Grantenca, Zingaro e qualche altro/altra sono quelle che mi fanno comprare i libri) sono talmente utili che mi fanno affrontare un testo con passione e una marcia in più. La marcia in più è quella che io chiamo "spostamento del punto di vista". Non un diverso punto di vista. Sono talmente affascinato da chi mi fa vedere le cose dallo sgabello accanto che mi arricchisce a tal punto che quando leggo è come se il mio scarso intelletto si librasse sopra le teste di chi sta leggendo lo stesso libro e riuscissi a cogliere le loro personali interpretazioni che arricchiscono la mia capacità di valutazione facendomi comprendere, insegnandomi a scavare più in profondità fino alle fondamenta dell'opera. Sì, perché oltre alla struttura, attorno c'è tutto il bello. E se non lo vedi è impagabile avere qualcuno che ti insegni a notarlo.
Ecco, mi posso spostare e affrontarlo, giudicarlo, percepirlo tenendomi accanto le vostre valutazioni. Riesco addirittura ad abbellirlo con preziosi dettagli che da solo non sarei riuscito a cogliere. Non sono sviolinate. Non è un commento di circostanza. È il piacere che provi quando salti dentro la storia e la vivi pienamente, con soddisfazione. Indipendentemente dal fatto che il romanzo sia un capolavoro o "soltanto" un buon libro.
 

ila78

Well-known member
Premessa: mi scuso in anticipo se la mia recensione non sarà all'altezza dei precedenti "illustri" qui sopra. :wink:

L'ho chiuso da cinque minuti ma credo mi occorrerà molto tempo per "elaborarlo".

Sicuramente non è una lettura semplice, da nessuno punto di vista, partendo dal fatto, banale, che ci si deve confrontare da subito con un un' infinità di personaggi dai nomi cinesi tutti simili (per noi), io ho fatto veramente fatica. Il tema poi è veramente "ostico": è complicato nella nostra mentalità di occidentali accettare che quello che si sta leggendo è veramente accaduto, anche se non so quanto ci sia di "romanzato" e quanto di vero. Il suo pregio principale è secondo me "forzare" il lettore a porsi degli interrogativi quantomai attuali: L'uomo ha diritto di ergersi a "divinità" dispensatrice di vita o di morte? E quando lo fa quali sono le conseguenze per la società?
Cosa perde l'umanità quando una persona (o un partito) decide arbitrariamente chi far nascere e chi no? E adottando una politica del genere come riduciamo il ruolo della donna in quel percorso meraviglioso che è la maternità?
Ecco, la cosa che mi è risultata più difficile da mandare giù è che le donne, in questo contesto, non valgono assolutamente nulla, sono "uteri" che camminano, senza voce in capitolo; l'unica donna che "spicca" in questa desolazione è la protagonista, una sorta di divinità che decide la vita o la morte e che io non sono riuscita, a tratti, a non odiare e a pensare che facesse quello che fa non tanto in nome di un'ideologia "becera" ma di una sorta di invidia per l'amore e la maternità che le sono negati.
Terribile anche l'ultima parte sulla cosiddetta "maternità surrogata", è un tema su cui ho spesso riflettuto: puoi ricoprire una donna di tutti i soldi del mondo per portare in grembo tuo figlio e consegnartelo, ma è lei a partorirlo e quello sarà sempre suo figlio. :boh:
Indubbiamente è un libro scritto in maniera magistrale e quando si chiude l'ultima pagina pone interrogativi dolorosi, non posso dire non mi sia piaciuto ma contemporaneamente ho la sensazione di di essermi fatta "prendere" troppo dall'argomento "antipatico" (forse perché l'ho letto incinta di 8 mesi) e di non averne colto appieno la bellezza.
Piccolo appunto finale: secondo me nella traduzione in italiano perdiamo tantissimo del senso metaforico di certi passaggi, uno su tutti la continua corrispondenza tra le rane i i bambini, ho scoperto a lettura inoltrata che il termine cinese "rana" (o girino) si pronuncia uguale a "bambino". Peccato non sapere il cinese e poterlo leggere in lingua originale.:wink:
 

velmez

Active member
attenzione: spoiler

ottimo libro in quanto a testimonianza e descrizione di un tema centrale della cultura cinese degli ultimi 50 anni. Letto direttamente in Cina (precisamente nel Sichuan nella regione tibetana, dove, al contrario, di figli ne hanno anche 7 o 8... ma questa è un'altra storia :D ). La comprensione delle vicende storiche narrate mi è stata più chiara una volta integrata con ulteriori informazioni storiche e giornalistiche (ad esempio a sentire Terzani sembrerebbe che Mo Yan si sia addirittura trattenuto nella descrizione delle brutalità che accadevano qualche decennio fa - la maggior parte di quegli aborti sarebbero mie coetanei... :paura: ). Lo stile mi è piaciuto a tratti: mi ha infastidito l'impostazione generale, che a mio parere tradisce una visione misogina, neanche troppo celata, decisamente fuori luogo per un premio nobel (ma su questo ci torno tra un attimo). Ho fatto molta fatica a ricordare i nomi dei personaggi, ma vabbè... Ho trovato dissonanti certe descrizioni di violenza, oltre quelle centrali degli aborti, mi hanno colpito in particolare quelle delle risse/"combattimenti" tra i personaggi... le ho trovate contemporaneamente troppo vivide e troppo irreali... mi hanno lasciato con un senso di perplessità/disgusto molto spiacevole... mi sono piaciute invece molte metafore, particolari culturali e tradizionali, informazioni e termini descrittivi legati soprattutto ai bambini che danno più freschezza e dolcezza al libro.
Non riesco però ad accettare la parte finale.
Le ultime pagine della prosa, ma soprattutto l'opera teatrale sono volte a chiedere un perdono che io, al contrario dello scrittore, non riesco a concedere! Passi per la zia, che ne ha compiuto molte azioni disdicevoli, e molte degne di lode. Non ho intenzione e non mi sento certo di giudicare le azioni di una popolazione interamente plasmata e controllata da un partito autoritario e opprimente quale era (ed è) quello cinese. Quello che non riesco a tollerare è la chiusura sbrigativa sulla maternità surrogata: non vedo alcun senso di giustizia nel finale: il negare il diritto di maternità e il solo pensare che possa essere equiparato a una somma in denaro, per quanto ingente, mi fa rabbrividire e indignare. Soprattutto in quanto espressione di un premio Nobel... non so, magari qualcuno di voi è riuscito a cogliere una vena ironica o sarcastica che a me è sfuggita... ma io lo trovo sconcertante! :W
 
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