Le sceneggiature in Italia ormai sono ridicole, infantili, poco credibili, affidate spesso a raccomandati del centro sperimentale di Roma, figli di figli, nipoti, sempre stessi cognomi, sempre storie finte, di plastica. Questo film "di interesse culturale" è davvero un esempio chiaro di dove si sta andando a finire da un po' di anni a questa parte. Un cast meraviglioso sprecato in una storia che sembra scritta da un bambino di 12 anni. L' umorismo è a tratti imbarazzante. Colonna sonora fastidiosa che vorrebbe dare ritmo a una commedia che non ne ha. Monicelli si starà rivoltando nella tomba. Gli sceneggiatori una volta (Sonego, Flaiano ecc...) avevano una loro vita, vedevano l'Italia a pezzi e trovavano il modo di riderne. Oggi si compiacciono, seduti davanti ai loro bei computer, e scrivono di cose che semplicemente mancano di sostanza, di realtà. E non c'è da meravigliarsi, visto che essi scrivono (nel migliore dei casi) guardando il mondo dalla finestra, senza partecipare, senza sentire. Quello che ne viene fuori è quindi spaventosamente vuoto, falso. E questo è un peccato... La fotografia di Bigazzi è come sempre ottima, ma questo non basta ovviamente. Nel cinema italiano ci vorrebbe una rivoluzione totale, eliminare fisicamente le famiglie che lo comandano da decenni. E' merito loro se i prodotti che escono fuori da Cinecittà sono roba per la quale all'estero ci riderebbero dietro, giustamente. Per fortuna qualcuno ancora resiste fuori da questo sistema, fuori dalla cerchia privatissima di queste poche centinaia di persone che fanno cinema "di interesse culturale" in Italia... Ma non è il caso di Mazzacurati purtroppo. Pace all'anima sua.
Vedo che sul film-mi limito strettamente a questo- sei dello stesso parere di Camon.
Ah,la varietà del mondo!
V.A.
Un capolavoro sui veneti e sui nuovi veneti
di FERDINANDO CAMON L'evento culturale di questi giorni è l'arrivo del film di Carlo Mazzacurati "La sedia della felicità": ultimo film di questo regista, che se n'è andato subito dopo averlo finito, eppure non è un film d'addio, triste o malinconico o struggente, è un film vitale, ironico, sarcastico, affettuoso, delicato e profondo, un inno, più che alla vita, alla vitalità, alle infinite possibilità di vivere anche quando sembra che non ce ne siano più. È un film sul Veneto (e sul Trentino: c'è anche un orso, con una particina piccola ma non trascurabile), ma anche sul mondo, sul Veneto e sul Nordest come concentrati del mondo. È un film sui veneti, ma anche sui nuovi veneti, cinesi, magrebini, indiani, che parlano come noi, sono furbi e affaristi come noi, più di noi, c'imbrogliano come italiani. È un film organizzato come una caccia al tesoro, mito che riassume la storia del nostro passato boom, e che preannuncia, forse, la nostra speriamo prossima uscita dalla crisi. Si ammira tutto, vedendo scorrere il film. Immagini, dialogo, trovate, situazioni. Si ride allegramente. Ma quando il film finisce, si sorride, indizio di riacquistata saggezza. È tutto nuovo, attuale, di oggi, quel che incontriamo. Il protagonista è un tatuatore, e i tatuaggi imbrogliano e sbrogliano la matassa. I tatuaggi sono una pratica molto attuata nel Nordest, si vedono dappertutto: era ora che entrassero nella trama di un film. C'è la solita morte del ricco veneto, o, qui, della ricca veneta, che prima di tirar le cuoia confessa il segreto dei segreti: lei ha un tesoro, e dice dove. Il tesoro ha la solita forma dei tesori delle favole, facile da nascondere, difficile da trovare: i diamanti. Parte dunque la corsa ai diamanti. Una corsa a tappe, ogni tappa una delusione, ovviamente, tranne l'ultima. La caccia impegna il tatuatore Dino, l'estetista Bruna e il prete Weiner. Ciascuno a suo modo realistico nei suoi vizi, compreso il prete, rovinato dalla passione per il videopoker, e quindi bisognoso di un colpo di fortuna. La genialità di Mazzacurati sta nel pensare e narrare questo viaggio come denunciatorio (le miserie e le bassezze del Veneto decaduto, che angoscia per noi veneti!) e insieme come onirico (lo show con il clown che sparisce, i montanari pre-antropici che vivono sepolti tra armenti bovini inseguiti da un orso). Grande e fitta presenza, quella degli animali. Non puoi accostarti al cancello di una villa abbandonata nei boschi, che un cinghiale ti morde le chiappe. Non puoi salire per una strada montuosa, su un veicolo, senza vedere sulla strada parallela un orso che ti guarda interrogativo, dritto sulle gambe posteriori. In realtà c'è davvero un orso, in quei boschi, anzi erano una coppia, adesso saranno una ventina. I cinghiali purtroppo sono migliaia. Se è realistico lo sfondo, è realistico il linguaggio. Ti domandi perché mai i protagonisti urlino, ogni tanto, «Io pago le tasse!», ma se apri le finestre e ascolti la gente in strada, è così che urla. L'oltraggio «frocio!» si regala a sproposito. Noi, che viviamo qui, sappiamo che qui si ripetono le messe nere, i riti satanici, e le sedute spiritiche, e Mazzacurati non poteva ignorarlo. Le nostre tv locali hanno i programmi serali infarciti di vendite all'incanto, c'è di tutto in vendita, e nel film si vede anche il Grande Tesoro, la sedia che potrebb'essere quella della felicità, imbottita di diamanti. Quella che ti cambia la vita. A te, che la cerchi, e a tutto il gruppo, che la cerca con te. Chi ce l'ha, questo tesoro? I più scemi di tutta la trama. Riusciranno, i nostri eroi, a metterci le mani sopra? Sì, certo. Saranno ricchi? Di più: saranno felici. Alla fine marciano in processione, uomini e animali, con la ragazza incoronata e ingioiellata come una Madonna, bellissima e ridente, sullo sfondo di montagne che sono anch'esse una ricchezza: è tutto ricco, il Veneto, di città e di Natura, il suo problema è che se l'era dimenticato e deve riscoprirlo