Ghosh, Amitav - Mare di papaveri

Dory

Reef Member
1838, India. Nella più grande e redditizia colonia inglese, i contadini sono costretti a fare la fame e a raccimolare quel poco che gli basta per campare, riconvertendo le coltivazioni di ortaggi e cereali dei loro campi in ettari ed ettari di coltivazioni di papaveri. Un lavoro lungo e faticoso quello di stillare fiore per fiore per vendere la materia prima agli opifici che rifornirscono mezzo mondo di oppio nelle sue molteplici forme.

Sullo sfondo del fiorente commercio d'oppio - che schiavizza produttori e consumatori e arricchisce a dismisura gli intermediari, che sono convinti di essere dei benefattori, portando lavoro da un lato e alleviamento delle sofferenze dall'altro - un coacervo di colori, lingue, culture - allestito con la massima cura e attenzione alla veridicità storica - anima gli indimenticabili personaggi di questo libro: un libro d'avventura come non ne leggevo da molto, molto tempo.

Le vite dei personaggi (così come i tre libri che compongono la trilogia di cui questo è il primo) sono legati alla Ibis, una goletta a due alberi al servizio di un commerciante d'oppio e di schiavi che, in questo primo libro, è incaricata di portare un carico di schiavi da Calcutta alle isole Mauritius attraverso l'Oceano Indiano.

Non potrete non appassionarvi a questa storia e a questi personaggi, e subito dopo, come io ho già fatto, correre a comprare il seguito. Il terzo e ultimo libro non è ancora uscito, pare che uscirà nella primavera del 2015.
Consigliatissimo soprattutto a chi ha nostalgia di Shantaram.
 
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ayuthaya

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Amo i libri sull'India perchè ci sono stata e riescono a rievocare le sensazioni, tutte forti e tutte straordinariamente "fisiche", che ho vissuto in uno dei mille cuori di questo palpitante microuniverso. E solitamente i libri, gli scritti che parlano dell'India hanno una caratteristica in comune: si sforzano, appunto, di descrivere l'indescrivibile, di trasformare in parole qualcosa che non si può spiegare, perchè è come un suono, acuto e martellante, o un odore, intenso e pungente. In un certo senso è inevitabile: l'India genera poesia per affinità. L'efficacia, poi, con cui si riesce più o meno in questo intento decreta la bravura dello scrittore.

Ma Ghosh è un indiano. Lui non "scopre" l'India, come Pasolini, come Roberts... Lui non ha bisogno di tradurre in parole l'India perchè l'India è dentro di lui e scaturisce dalla sua penna in modo spontaneo, naturale... è questo che mi ha conquistato. Un romanzo d'avventura, quali solitamente non amo, che ci catapulta non solo in un mondo, ma anche in un'epoca per noi lontana e difficile da immaginare: quella dei sahib e dei raja, dei lascari e dei paria, dei giochi di potere fra Inghilterra e India, India e Cina, e soprattutto l'epoca della guerra dell'oppio. Tutto sembra ruotare intorno all'infinito, spropositato potere di questa sostanza capace di decidere della sorte di interi Paesi, delle loro relazioni commerciali e diplomatiche.
Ma questa molteplice, variopinta e multietnica realtà ci viene raccontata non attraverso massimi sistemi o insondabili meccanismi (come probabilmente erano), ma attraverso le singole, misere vite di una folla eterogenea di personaggi, un "condensato di mondo" così come lo è l'India. Senza alcuna pretesa di descrivere l'indescrivibile, di trasformare il romanzo in poesia: la poesia sorge spontanea dalle vite di questi personaggi, che dopo poche righe già sentiamo di amare come se li conoscessimo da sempre, come se dal loro destino dipendesse un po' anche il nostro.
Ripeto, solitamente non amo questo genere di libri, in cui ad afferrare è soprattutto l'evolversi della vicenda, la curiosità di sapere come andrà a finire, cosa riserverà non il futuro, ma anche solo il giorno, l'ora, il minuto successivo a Deeti, Paulette, Jodi, Neel, Zachary... ma non ho potuto fare a meno di farmi conquistare da questa storia che è crogiuolo di tutte le storie possibili, di tutte le epoche e di tutti i tempi.

Il libro non è facilissimo, perchè anche dal punto di vista linguistico Ghosh non si risparmia e riesce davvero - in questo caso sì - a tradurre in parole, e in una sola lingua, il coacervo di dialetti, origini, caste alle quali appartengono i numerosissimi personaggi... Per chi poi (come me) non se ne intende assolutamente nulla di mare e di navigazione, alcuni termini risulteranno difficili se non incomprensibili. Ma è anche attraverso questo piccolo sforzo che si riesce a raggiungere l'altra dimensione che è appunto quella evocata da Ghosh, e il risultato è che sembra di stare proprio lì, sulla Ibis (sebbene questa protagonista indiscussa del romanzo salperà solo a poche decine di pagine dalla fine) e che, giunti alla fine, ci si resta anche un po' male: il libro è il primo di una trilogia. E si sente. Questa è forse la sua unica pecca... Ma se il prezzo da pagare per questo “limite” è il desiderio di fiondarsi presto sul suo seguito, per tornare a far battere il cuore all'unisono con quello dei protagonisti, bè... allora credo che ne valga la pena.
 
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Meri

Viôt di viodi
Ho faticato molto a leggerlo, le storie e i personaggi non mi prendevano e non mi hanno presa.
 

qweedy

Well-known member
Mi è piaciuto molto, penso che leggerò anche i successivi della trilogia, per seguire l'approdo della Ibis e l'epopea dei protagonisti.
Siamo nell’India inglese del 1838, alla vigilia della guerra dell’oppio con la Cina.

Notevole il complesso stile di scrittura di Amitav Gosh, considerato il più grande scrittore indiano in lingua inglese, e sicuramente non facile il lavoro dei traduttori per la complessità linguistica dovuta alla mescolanza di idiomi inserita nei dialoghi. Nell’originale ogni personaggio parla un “inglese” diverso (Ghosh scrive in inglese), contaminato dalle altre lingue: bengali, hindi, hurdu, bhojpuri, cinese, francese, lascari, zubben…

P.S. Anch'io lo consiglio a chi ha amato Shantaram!
 
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