Kawabata, Yasunari - Il suono della montagna

ayuthaya

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Shingo, un uomo che ha superato da poco la sessantina, vive, secondo la tradizione giapponese, con sua moglie, suo figlio e sua nuora, una giovane di grande intelligente e sensibilità. Il rapporto fra Kikuko – questo è il nome della donna – e suo marito è in crisi: lui la tradisce ma, pur sapendolo e disapprovandolo, il padre di lui non prende una posizione, ma come unica reazione si avvicina sempre più alla nuora, con la quale si lega di un profondo e ricambiato affetto. Nel frattempo anche la figlia di Shingo, sposata e con due bambine ancora piccole, si separa dal marito e torna a vivere a causa dei suoi: il suo ritorno sembra incrinare i fragili equilibri familiari e fra gelosie, “preferenze” e piccole frustrazioni individuali, sembra che la situazione stia per precipitare, ma non accadrà.

Uno dei più importanti romanzi del Nobel giapponese, Il suono della montagna è sicuramente un libro molto particolare, anche se è difficile spiegarne la ragione. Per chi è appassionato di cinema (io non lo sono) posso dire che fin dalle prime pagine ho avuto la netta impressione che stessi leggendo quella che potrebbe essere la trasposizione letteraria di Viaggio a Tokyo, del grande Ozu: entrambi gli artisti sono stati capaci di mettere in risalto la complessità dei rapporti familiari attraverso un linguaggio delicatissimo, fatto di silenzi e di sguardi, più che di fatti e di parole. Un certo parallelismo mi è sorto poi spontaneo fra Kikuko e Noriko (nel film, la giovane vedova che si prende cura dei due anziani suoceri): entrambe sono figure sensibili e coraggiose, modello di virtù e di dedizione.
Ne Il suono della montagna, l’indiscusso protagonista è comunque Shingo: sono i suoi pensieri, le sue paure, i suoi ricordi, le sue emozioni a condurci. Egli sente di essere arrivato a un punto cruciale della propria vita, si rende conto di essere, in quanto capofamiglia, responsabile della felicità (e delle colpe) dei propri figli e una delle domande ricorrenti nel romanzo è: “nel mondo di oggi, fino a che punto i genitori possono essere responsabili della vita matrimoniale dei figli?”. A questo interrogativo non è data risposta, così come non è dato un finale per questo romanzo; sembra che l’intento dell’autore sia solo quello di farci entrare nel cuore di un uomo e di una famiglia, di accompagnarli per un pezzo di strada, per poi lasciarli andare via.

C’è un’altra componente molto importante, che serpeggia fra le pagine del libro senza mai invadere la scena, ed è l’aspetto sensuale, erotico, di una consistenza molto simile a quello de La casa delle belle addormentate. Per quanto Shingo sia un uomo onesto, integro, e l’affetto che lo lega a Kikuko sia genuino e sincero, l’autore si sofferma spesso sulla bellezza di lei e sull’attrazione che suo malgrado suscita nell’uomo: il suo modo di muoversi, la delicatezza della sua figura, la linea affusolata del suo corpo... i desideri che egli non può permettersi, finiscono per prendere possesso dei suoi sogni, sebbene la figura della nuora non vi compaia in modo esplicito.
Kawabata ha un modo intenso e allo stesso tempo estremamente leggiadro di affrontare qualsiasi tema: il dolore, l’amore, l’eros, la morte. E in questo romanzo, benchè non sia il mio preferito, egli ci offre una panormanica bellissima del suo modo di interpretare la vita e l’arte. Credo che chiunque sia interessato al Giappone dovrebbe leggerlo.
 
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