Spitz, Jacques - L'occhio del purgatorio

Bacci

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Nelle ultime ore ho letto tutto d’un fiato “L’occhio del purgatorio”, romanzo breve di Jacques Spitz, scrittore tardo surrealista che è stato pubblicato da noi come autore di fantascienza. Si tratta di un’ opera particolarissima, scritta nel 1945 e ambientata in Francia, a Parigi. Nonostante Il periodo in cui venne scritto, nel libro non ci sono accenni al conflitto mondiale o alla recente occupazione nazista sul suolo francese, quindi questo può far pensare che lo scrittore abbia ambientato il suo libro in un periodo anteriore, anni venti o trenta, o persino in una realtà parallela.

In ogni caso la storia parla di un pittore, Jean Poldonski, che è lo stereotipo dell’artista maledetto, ribelle, individualista, in completa rottura con il mondo di tutti i giorni e anche con quello istituzionalizzato dell’arte. Un giorno Poldonski incontra un inventore pazzo, Dagerloff, che gli racconta di un esperimento che sta conducendo: ha scoperto che sulla terra ogni specie vivente vive in un tempo diverso dal nostro, e in particolare gli animali non domestici vivono in un tempo leggermente "anticipato" rispetto a quello degli uomini, per cui essi riescono a prevedere le nostre mosse (nel libro tra gli esempi portati dallo scienziato pazzo c’è quello della mosca, che riesce a vedere un colpo che sta arrivando prima ancora che noi pensiamo di colpirla) e quelli domestici invece vivono in un tempo leggermente arretrato rispetto al nostro (la mucca guarda passare il treno in ritardo, perché lo vede quando questo per noi è già passato). Secondo Dagerloff la specie che vive più avanzata nel tempo è quella dei microbi, i batteri: essi vivono con un anticipo tale rispetto a noi che un’infezione batterica uccide gli esseri umani perché trascinano il corpo verso l’avvenire, verso l’invecchiamento e quindi verso la morte a una velocità accelerata rispetto al nostro modo di vedere le cose. In più, i batteri riproducendosi, di generazione in generazione aumentano sempre di più il vantaggio sul nostro presente.

Lo scienziato decide di usare il pittore come cavia, e gli somministra con l’inganno nel nervo ottico un parabacillo sviluppato in laboratorio adatto allo scopo e in questo modo contagia la vista del mondo di Poldonski. Dopo un lento sviluppo, l'artista vede le persone e le cose invecchiare sempre più, e man mano il proliferarsi del bacillo lo porta a vedere le cose sempre più in là nel futuro, intraprendendo quello che Dagerloff chiama “viaggiare nella causalità”. Poldonski vede la bistecca nel suo piatto già masticata (come sarebbe stata nel suo stomaco da lì a pochi minuti) vede i suoi conoscenti invecchiare a poco a poco (fino a diventare cadaveri ambulanti e poi scheletri), gli oggetti ammuffire, in un crescendo impressionante dato dallo sviluppo dell’infezione del suo nervo ottico. E’ interessante rilevare come tutto ciò avvenga solo nella vista del pittore, perché chiudendo gli occhi egli si ritrova immerso nei soliti rumori, odori, corpi del presente di tutti i giorni, ma la sua vista lo porta inesorabilmente non in un tempo futuribile (non vede una distopia o un'utopia nel futuro), ma in un presente invecchiato. Il pittore vede le cose e gli uomini nel posto in cui sono ora, ma nello stato in cui saranno più tardi, fino a centinaia di migliaia di anni avanti, tanto da portarlo inesorabilmente verso la fine dell’universo.

Il pittore all’inizio riceve dalle sue trasformazioni visive uno strumento critico verso la realtà che lo circonda: vedere il presente invecchiato lo porta a far una critica dell’ideologia consumistica, e lo porta a giudicare il reale valore delle cose. Ma poi andando avanti nello sviluppo il bacillo innestato nel suo nervo ottico lo porta a circondarsi solo di immagini di morte, scene di degrado e consunzione, vede un mondo agonizzante che lo porta a estraniarsi completamente dalla vita di tutti i giorni, dal suo presente, diventando un barbone. In una scena tra le più importanti ed impressionanti del libro il pittore osserva se stesso allo specchio nell’attimo esatto in cui muore, nel momento in cui vede se stesso talmente invecchiato da spirare. La sua vista sul "futuro" continua lo stesso, e prosegue a specchiarsi cadavere con quello che chiama l’occhio del purgatorio. Nel finale il libro prende una svolta metafisica che porta a compimento i pensieri di Spitz su ciò che resiste nel mondo dopo la fine di tutte le cose materiali, e con le quali il protagonista si troverà ad aver a che fare.
Non è stato un libro di facile lettura, soprattutto nel finale, benché lo stile diaristico appaia molto semplice e immediato nel linguaggio, ma lo consiglio sicuramente a chi vuol leggere qualcosa di molto particolare.
 
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