"Spesso il male di vivere ho incontrato" e Montale

MadLuke

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Ciao a tutti,
in questo periodo, per via di vicende che indirettamente mi coinvolgono, la mia memoria ha spontaneamente richiamato questa poesia, che mi ha sempre colpito moltissimo, di cui però ora vorrei approfondire la comprensione.
(Correggetemi se sbaglio..!) Nella seconda strofa Montale dice che di fronte a tutti gli innumerevoli esempi di dolore della vita, lui non conosce alcun bene da opporgli come antagonista ("Bene non seppi") se non l'indifferenza che caratterizza quelle "creature" o "cose" che hanno la capacità di rimanere impassibili o lontane di fronte al male del mondo, indi a tutto e solo a questo riduce il divino, all'essere indifferente.

Quello che vorrei capire quindi, da chi conosce bene l'autore è:
1) che rapporto aveva Montale con la fede in generale e col Cristianesimo, pensava fossero solo delle frottole che ci si racconta per farsi compagnia ma in realtà non esiste alcun dio, o comunque nessun dio a cui importi nulla di noi e del dolore che si consuma sulla terra?
2) che rapporto ha Montale con la compassione? Non ha mai considerato che la risposta a quel dolore che lui vedeva non fosse l'indifferenza bensì la com-passione (nell'antica accezione del termine), cioè la partecipazione con la stessa passione, al dolore degli altri?

Ciao e grazie, MadLuke.
 

maclaus

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«Agli inizi ero scettico, influenzato da Schopenhauer. Ma nei miei versi della maturità ho tentato di sperare, di battere il muro, di vedere ciò che poteva esserci dall’altra parte della parete, convinto che la vita abbia un significato che ci sfugge. Ho bussato disperatamente come uno che attende una risposta».Eugenio Montale così risponde alla domanda di un giornalista:«Lei pensa che il poeta possa fare a meno di Dio?».
Rivelatrici sono ancora oggi le parole della sorella Marianna:«Scettico apparentemente, ma assai mistico e spirituale in fondo: crede quasi più nell’invisibile, nel soprannaturale che in ciò che vede». La guida affettuosa di Marianna avrà un peso importante nella formazione di Montale: testimoniata ancora oggi da una lettera scritta pochi anni dopo, nel 1917, dal poeta alla sorella: «Io sono un amico dell’invisibile e non faccio mostra che di ciò che si fa sentire e non si mostra; e non credo, e non posso credere a tutto quello che si tocca e si vede».
 

MadLuke

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Grazie per aver riportato questa testimonianza, tuttavia essa non aggiunge nulla a quanto già dicesse la poesia.
Era cioè già evidente che Montale credesse all'esistenza di un Mistero, quello che mi chiedo io era però una cosa oltre: riteneva lui che questo "invisibile" fosse un'entità benevola e misericordiosa (come vuole il Cristianesimo), oppure davvero un'assenteista indifferente?

Ciao, MadLuke.
 

maclaus

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In effetti, "benevola e misericordiosa", come la definisci tu, non è esattamente giusto dirlo... Sarebbe più giusto "indifferente", ma proprio nel senso che Dio non interviene nelle nostre vite. Ci lascia completamente liberi nell'affrontare il nostro percorso terreno. Nel bene e nel male.
 
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