DeLillo, Don - Rumore bianco

c'ho messo un bel po' a finire questo libro e non perchè non mi sia piaciuto ma per lo più per mancanza di tempo...va detto però che il libro risulta estremamente pieno di concetti sui quali non si può sorvolare facilmente, insomma almeno io sono così: mi piace assimilare lentamente!


Il libro narra la vita di Jack Gladney, insegnante in un college di una piccola cittadina tranquilla. insegna Hitler. la sua vita risulta essere abbastanza tranquilla, se si esclude la confusione di una famiglia piena di figli nati da vari matrimoni suoi e della moglie. Le parti in cui lo scrittore si perde nel descrivere la vita in famiglia sono bellissime, come lo sono le descrizioni del supermercato, dei prodotti delle scelte...ho apprezzato moltissimo la sua cura per i particolari, il saper esaltare ogni personaggio, seppur marginale, caratterizzarlo, dargli vita...poi ovviamente c'è il colpo di scena! :wink:


non ho voglia di svelarvi la trama, anche perchè io adoro scoprirla piano piano....
 
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witch

New member
:shock: L'ho letto tantissimi anni fa, lo trovai su una bancarella credo per mille lire...

Non ricordo proprio nulla della trama, magari quest'estate lo riprenderò...
 

sun

b
non_so_dove_volare ... appena puoi leggiti UNDERWORLD. Io sono a metà. Appena lo finisco, apro il topic. Meraviglioso.

Quasi quasi vado in libreria a prendermi sto rumore bianco 8)
 
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sun

b
sono quasi 900 pagine eh. Una marea di personaggi, una storia a ritroso ... una cosetta da trattare con cura. Io oggi mi sono ufficialmente "perso" ma spero quanto prima di riannodare i fili.

scusate per l'OT :D
 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
Letto nel 2001, non mi ha lasciato neanche il rumore bianco, non dico che sia brutto, non dico neanche che sia bello. Non resta e questo già di per se è un giudizio, credo...
 
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sweepsy

Crazy anarchist!
Lo sto leggendo ora, e come inizio me gusta :)
 

sweepsy

Crazy anarchist!
L'ho anche terminato e sinceramente m'è piaciuto abbastanza. Concordo sul fatto che va letto piano perchè (a parte il tempo tiranno) ci sono concetti su cui riflettere. Mi è piaciuto particolarmente Heinrich, per chi l'ha letto!
 

Chloe

Librodipendente
Letto nel 2001, non mi ha lasciato neanche il rumore bianco, non dico che sia brutto, non dico neanche che sia bello. Non resta e questo gia di per se è un giudizio, credo...

Concordo con Elisa...io l'ho trovato molto dispersivo. L'ho accantonato e dimenticato.
Può anche darsi che forse non era il momento giusto per prenderlo in mano.
Chissà...magari tra qualche tempo riesco ad apprezzarlo un pò di più.
 
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Cold Deep

Vukodlak Mod
non so perchè ma mi aspettavo di più da questo autore, la storia è interessante ma rallentata dalle eccessive riflessioni del protagonista. proverò altro di questo autore

2.5/5
 

pigreco

Mathematician Member
Leggendo i commenti a questo romanzo credo che andrò contro corrente. Mi è piaciuto davvero molto questo primo approccio personale a DeLillo. Un romanzo diviso in tre parti; un prologo, un evento che cambia le condizioni del protagonista, e un epilogo. Ammetto che nonostante la piacevolezza della lettura durante i primi due terzi del libro non si capisce dove l'autore voglia andare a parare. I dialoghi tra i personaggi sono spessi pervasi di ordinaria follia, come solo un autore americano potrebbe concepire. La terza parte del romanzo è invece di una bellezza schiacciante: una lunga e mai noiosa dissertazione sulla paura della morte che pervade ogni uomo e ne condiziona la vita. Il tutto condito da un ambiente esterno che sempre di più ci rende alieni su questo pianeta che stiamo cercando in tutti i modi di distruggere.
Gran libro.
 
Attenzione, contiene spoiler

Ho letto da poco per la seconda volta questo libro. Don DeLillo è uno dei miei scrittori preferiti. Non mi metterò a fare uno spiegone di trenta righe sul perché e sul per come l’ho conosciuto.

Se dovessi trovare un termine per descrivere tutte le quotidianità intangibili e diafane sarebbe DeLillo.

Il libro è suddiviso in tre parti principali, divise a loro volta in capitoli.
È la voce narrante di Jack Gladney che parla, prima persona dell’imperfetto e del passato remoto. Siamo davanti l’università in cui insegna, è settembre, inizio del nuovo anno di studi. Una lunghissima fila di station wagon luccicanti: sono le automobili dei genitori degli studenti che ritornano dai piaceri proibiti dell’estate, cariche di tutto quello che porteranno con loro nei dormitori per il nuovo anno accademico. Le automobili dei ricchi di questa cittadina, i quali, suppone Jack, non pensano alla morte; perché sono ricchi, perché si sentono sicuri e protetti. Un rituale a cui il protagonista assiste ogni anno, affascinato. Jack è un hitlerologo, ovvero è colui che ha avuto l’idea di aprire un’università specifica per gli studi su Hitler. Jack è un esperto della personalità di Hitler ma non conosce il tedesco. A fine corso ci sarà una conferenza sul fuhrer, ci saranno rappresentanti da tutto il mondo, anche tedeschi; è per questo che inizia a prendere lezioni da un anziano in un ospizio. Perché si rende conto che “in breve: vivevo ai margini di un territorio di ampia vergogna”.

Ed è proprio del rituale delle station wagon che parla con la sua quarta ed attuale moglie, Babette, quando torna a casa. Babette è in carne, formosa, dalla folta chioma, ispira fiducia, speranza ed è dedita alla famiglia. “L’amore ci aiuta a sviluppare un’identità sufficientemente sicura da poter essere affidata alle cure e alla protezione di un’altra persona”, è così che si sente con lei. Fa jogging, su e giù per dei gradoni; ha i fianchi un po’ larghi che piacciono a Jack, lo rassicurano, anche se Babette la pensa diversamente: “Diceva che dei suoi difetti facevo virtù perché era nella mia natura di mettere le persone amate al riparo della verità. Nella quale verità, sosteneva, sarebbe stato in agguato qualcosa”. Babette, che compra più yogurt di quanti poi ne mangia e che poi deve buttare, seguendo i canoni del consumismo, un altro dei temi itineranti.
Hanno quattro figli in casa, alcuni di loro da madri e matrimoni passati. C’è Wilder, il bambino più piccolo, un infante. Denise e Steffie sono le bambine, di cui la prima è la più grande. E c’è Heinrich, figlio di Jack, ragazzo adolescente schivo e introverso il quale vive un complicato dialogo con il padre e che gioca una partita a scacchi per corrispondenza con un assassino carcerato. È questa la famiglia che ci presenta lo scrittore.
Poi c’è Murray, un collega che tiene un corso su Elvis Presley. È lui che fa conoscere a Jack l’anziano che gli insegna tedesco, perché ha una stanza nello stesso ospizio. Murray parla a Jack del mondo dei codici, delle onde, delle radiazioni, dei significati nascosti. Ogni cosa ne significa anche un’altra o di più. Se ne va in giro per i supermercati con un taccuino in cui appunta cose. Guarda una scatola e appunta. Sono le onde degli elettrodomestici, della tv, del frigo, degli oggetti, il rumore bianco e sordo. Questi diventano parte della narrazione, possiamo trovare un frase che esce dagli altoparlanti della radio durante un dialogo; a potenziare e completare il contesto narrativo. Ecco gli argomenti della Parte prima. Onde e radiazioni.
Una sera la famiglia si ritrova casualmente davanti la televisione a guardare un canale che trasmette catastrofi, e loro lì fissi e attratti. Ed è qui che prendiamo confidenza con il tema della catastrofe.

È difficile parlare di un libro come questo, pieno di dettagli che vanno collegati. Un insieme di dettagli che non c’entrano niente tra loro possono dare il senso della realtà, è questo il modo in cui scrive lo scrittore statunitense. Ripetere la trama per filo e per segno è inutile e noioso, sto cercando di assemblare i componenti che a mio avviso servano per metabolizzare il testo.

Catastrofi dicevo, e qui passiamo alla Parte seconda. L’evento tossico aereo.
Jack sale al secondo piano, entra nella camera di Heinrich che è affacciato alla finestra e guarda dentro un binocolo. C’è stato un incidente: si è ribaltato un container che contiene un gas tossico, il Nyodene D. Il materiale di scarto proveniente dalla produzione di insetticidi. Dal binocolo osservano la macchia nera sospesa nell’aria. Dalla radio iniziano a trasmettere aggiornamenti. Sappiamo che è mortale per i ratti, ma per gli uomini non si sa. Nausea? Asma? Sudore delle mani? Déjà vu? Coma? Morte? Ogni volta una notizia diversa. Le bambine ipocondriache lamentano questi sintomi al cambiare della notizia, ma sono influenzate dalle notizie o sono veri?
Cambia vento, la nuvola nera si sposta. Evacuazione. Jack e la sua famiglia devono lasciare la casa della loro tranquilla cittadina.

La colonna lunghissima di automobili procede lentamente.
“Avevamo poco da dirci, non essendosi ancora le nostre menti adeguate alla realtà cose, alla realtà assurda dell’evacuazione, più che altro guardavamo gli occupanti delle altre auto, cercando di dedurre dai loro volti quanto spaventati dovessimo essere.”
Sono punti di vista come questo che arricchiscono la prosa di DeLillo e lascio a lui raccontarvi l’epico esodo della catastrofe, che riesce a trasformare in qualcosa di incredibilmente umano, la nostra piccolezza di fronte agli eventi, anche quelli prodotti dall’uomo. Il Don DeLillo degli intrighi, delle catastrofi, delle masse, e della capillarità dei dettagli.
A noi adesso interessa che Jack si ferma a fare benzina, intanto la nuvola nera, densa e ammassata, sorvola la loro automobile, le loro teste.
Sono assegnati all’accampamento in un ex edificio per boyscout. Jack si aggira nel capannone in mezzo alla varietà delle genti, incappando in una piccola folla che ascolta un ragazzo, il quale si rivela essere Heinrich. Disquisisce sul Nyodene D come un esperto, le persone lo ascoltano. E Jack lo osserva sbocciare, aprirsi e rivelarsi per il ragazzo sofista e pignolo che è: “che stesse scoprendo se stesso, imparando a valutare il proprio valore dalle reazioni degli altri?”. L’unico tra tutti loro che sembra aver trovato giovamento da questa situazione.
Tra le teorie, le interpretazioni, le fantasie su questa minaccia sconosciuta, Babette che legge storie sugli ufo da un tabloid a degli anziani.
Coloro che pensano di essere stati a contatto con l’evento tossico aereo sono a chiamati a incolonnarsi al banco della SIMUVAC. Il professore è stato due minuti sotto la nuvola alla pompa di benzina. La SIMUVAC è un’organizzazione che si occupa di simulare evacuazioni, il quale personale si ritrova in questo caso a fare esperienza diretta sul campo. L’impiegato inserisce i dati di Jack al pc. Il risultato è: morte. Questo gli dicono, non sanno quando non sanno come, ma il Nyodene D è in lui e lo ucciderà, forse tra vent’anni.
Verranno tutti trasferiti in un altro edificio di una cittadina poco lontana da lì, in cui vivranno per un po’ di giorni; fino a quando l’evento tossico aereo verrà fatto mangiare da organismi artificiali, i quali si nutriranno della nuvola e si autodistruggeranno.

Siamo su un cavalcavia. Le automobili si fermano. Le persone scendono. Sullo sfondo un tramonto bellissimo, il tramonto incantevole che si pensa sia dovuto ai resti chimici dell’evento tossico aereo nell’atmosfera.
Parte terza. Dylarama.
Denise ha scoperto che la madre prende un farmaco di nascosto perché trova un flaconcino con scritto Dylar, e informa Jack della sua scoperta. È un farmaco inesistente che il suo dottore non conosce e di cui nessuno ha mai sentito parlare. Divento sempre più sintetico, un po’ perché ci avviciniamo alla fine, un po’ perché ormai ho quasi tutti i pezzi. Vi dico che il professore riesce a trovare la confezione e fa esaminare una pasticca da una collega. Il farmaco si rivela essere un piccolo capolavoro scientifico.
Una notte, sul letto, insistendo Jack riesce a farsi raccontare dalla moglie cos’è il dylar: un farmaco per cancellare la paura della morte. E si apre un dialogo intimo in cui conosciamo la storia del farmaco, che potrete scoprire leggendo. Babette ci è entrata in contatto sfogliando un tabloid.
Riporto una parte del dialogo:
” – E se la morte non fosse altro che suono?
– Rumore elettrico.
– Lo si sente sempre. Suono ovunque. Che cosa tremenda!
– Uniforme, bianco.
– A volte mi invade, – disse lei. – A volte mi si insinua nella mente, a poco a poco. Io cerco di parlarle. <<Non adesso morte>>.”
E Babette comincia ad aprirsi davanti a lui che ascolta interessato, ponendosi in maniera accomodante. La stessa Babette che era qualcosa di diverso dalle ex mogli per un motivo ben preciso.
“Era curioso come continuassi a impegolarmi con persone legate al mondo dello spionaggio. Dana lavorava come spia part-time. Tweedy veniva da una vecchia e distinta famiglia con una lunga traduzione di spionaggio e controspionaggio, ed era attivamente sposata con un esperto ad alto livello di azioni nella giungla. Janet, prima di ritirirarsi nell’ashram, era un’analista di moneta straniera, che faceva ricerche per un gruppo segreto di teorici avanzati, legati a un discutibile istituto di ricerca. Non mi aveva detto niente, se non che non si riunivano mai due volte nello stesso posto.
Parte della mia adorazione per Babette era dovuta al fatto che per me costituiva un autentico sollievo. Non nascondeva segreti [...].”
Di riflesso Jack gli racconta del test della SIMUVAC, di cui non aveva detto niente a nessuno, e che c’è la morte in lui. Si ritrovano a condividere la stessa paura. La paura più primitiva di tutte, il vero rumore bianco dei rumori bianchi del libro. Tutto a questa ci riporta, fin dalle prime pagine, quando Jack e Babette si chiedono chi morirà prima dei due e delle loro possibili conseguenti reazioni.
DeLillo in questo romanzo affronta uno dei temi più difficili utilizzando a pieno il suo stile inconfondibile. In tutte le salse, luoghi comuni, situazioni, rituali, la scienza, il naturale e l’artificio umano, i vari strati della paura, tra supermercati, gli intellettualismi accademici, gli impulsi chimici del nostro cervello, i dati, le televisioni, i dialoghi notturni e i tramonti postmoderni.
Di quel Jack che senza la sua toga universitaria diventa un uomo normale, vulnerabile come tutti. Il tema delle divise, appunto, che ritorna in altri suoi libri. Le divise per dimostrare che la verità è tangibile; e se un pazzo con una divisa è un dottore, un altro con un uniforme militare diventa un’autorità.
E gli adolescenti sono pronti a sfidare la morte semplicemente per ambizione, come fosse un conseguenza sfortunata delle loro imprese. I bambini, ancora di più, sono la pace per gli adulti perché inconsciamente si accorgono che sono liberi dal percepirla, non sentono il rumore. E nell’ultimo capitolo ritroviamo tutto questo: dal Wilder che rischia la vita senza nemmeno accorgersene, alla follia degli adulti per dimenticarsene. Comprendere tutte le pagine che vengono prima amplifica in modo pazzesco il contenuto narrativo di quest’ultimo capitolo.
Ci sono alcune cose che non ho raccontato, come ho detto, cose che potrei collegare con piacere, altri piccoli temi affrontati; ma non mi importa molto, perché qualunque cosa aggiunta ruoterebbe attorno a quest’orbita e riportandoci lì. È onde, significati e codici.

Ho deciso di rileggere questo libro appena conclusa una sua drammaturgia tradotta anche in italiano: La stanza bianca.
C’è un passo che mi ha aiutato a capire e mi si è aperto un mondo.
“Budge: C’è il segnale libero. È incoraggiante.
Grass: Mi sento incoraggiato.
Budge: Temevo di non sentire niente. Solo il vuoto.
Grass: C’è speranza.
Budge: C’è rumore.”

Pensavo che il rumore bianco fosse la morte e invece è di un libro sulla speranza che parliamo.
 
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ayuthaya

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Sono anni che Underworld attende nella mia libreria e invece, per una Sfida che aveva a che fare con i colori, ho deciso di leggere Rumore bianco, vincitore del National Book Award nel 1985.
Quando l'ho iniziato non avevo ben chiaro di cosa trattasse: l'accenno della trama (che comunque mi interessa fino a un certo punto) non mi aveva chiarito le idee, perciò ammetto che per oltre metà libro ho avuto parecchie perplessità, che riguardavano soprattutto il non riuscire a capire dove l'autore volesse andare a parare.

Il protagonista del romanzo è Jack Gladney, professore universitario specializzato in Hitler (e già questo pone qualche problema, non essendo chiara la natura del rapporto fra lo studioso e l'oggetto del suo studio). Come se non bastasse, e sebbene le famiglie americane siano note per il loro anti-convenzionalismo, quella a cui appartiene Jack è a dir poco particolare: sia lui che la sua attuale moglie sono reduci da diversi matrimoni con individui uno più strambo dell'altro, e i figli nati dalle varie relazioni non sono da meno. Si passa dal cinico quattordicenne che mette in discussione qualsiasi presunta certezza fisica e metafisica (ho un figlio quasi della stessa età e fatico a credere che possa anche solo avvicinarsi a elucubrazioni mentali simili) alle ancor più ciniche Steffie e Denise, poco più che bambine, che si interfacciano coi genitori come se fossero loro coetanei e la cui lucidità di pensiero e prontezza di linguaggio sono impressionanti. Un altro personaggio cruciale è Morray, collega/amico di Jack e profeta del "postmoderno". Non si può infatti prescindere, per la comprensione di questo romanzo, dal suo contesto storico/economico: Rumore bianco è una celebrazione della società americana o comunque occidentale degli anni '80/'90, regno indiscusso dei supermarket e della televisione. Entrambi i protagonisti di quell'epoca oggi si rivelano "superati": internet ha preso il posto dei supermarket (persino dei più moderni centri commerciali) e gli smartphone hanno declassato la TV a strumento di telecomunicazione di serie B; in questo senso ci sono aspetti del romanzo che risultano fortemente "datati". Eppure è proprio il radicamento nella sua epoca a rendere l'opera di DeLillo un ritratto così efficace. D'altra parte c'è un altro tema, che è il vero filo conduttore della storia, che detiene il primato di universalità assoluta ed è la morte, o meglio ancora, la paura di morire.
Se, come dicevo all'inizio, i primi capitoli mi avevano lasciato un po' perplessa, appena questo grande tema ha iniziato a delinearsi, tutto ha acquistato un senso e io ho cominciato a sentirmi sempre più coinvolta.
Cos'è che cerchiamo di nascondere, camuffare, dimenticare, combattere apertamente con qualsiasi mezzo a nostra disposizione (oggi come allora, ad esempio, la frenesia consumistica, la "cultura" dei mass media e la spettacolarizzazione della tragedia)? È la paura di morire, che da sempre accompagna l'uomo e che per sua natura non è superabile, almeno non completamente e non a livello collettivo. Nella maggior parte dei casi, nemmeno a livello individuale.
Il "rumore bianco" dunque rappresenta lo sforzo collettivo di sovrastare l'urlo di terrore che nasce dalla prospettiva della morte e, insieme, il tentativo individuale di "gabbare" la morte stessa. Non è quello che cercano di fare, in modi diversi, Jack e sua moglie? Non è quello che cercano di fare tutti?
Non aggiungo altro sul libro per non rischiare spoiler, ma condivido con voi un'incredibile coincidenza: nell'ultimo numero del Giornalino abbiamo avuto un bellissimo articolo dedicato alla "disumanità" di un'eventuale immortalità. È stato davvero sorprendente trovare alcune delle argomentazioni trattate nell'articolo all'interno del romanzo, sebbene in forma rovesciata: il protagonista, in un'illuminante conversazione con Morray, è talmente ossessionato dalla paura di morire da confutare qualsiasi riflessione che lo porti ad ammettere che è proprio la mortalità a dare valore alla vita e alle scelte di un uomo. Non solo un'incredibile coincidenza, quindi, ma anche un'ulteriore occasione per riflettere sulla bellezza e sulla responsabilità del vivere.

Bello. Mi è piaciuto.
 
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