fatevene una ragione, io me la sono fatta
è proprio giusto il
no...
vi copio incollo la risposta dell'Accademia della Crusca (avevo mandato una mail di richiesta informazione al riguardo, alla quale hanno gentilmente risposto):
Uso dell'avverbio olofrastico: o no/o non
L'avverbio negativo olofrastico (detto così perché, da solo, costituisce un'intera frase) in italiano è soltanto
no. L'uso tradizionale richiede dunque
o no in coordinate disgiuntive ridotte appunto alla sola negazione olofrastica. Gli esempi sono numerosissimi, antichi e moderni: da Dante («non disceser venti / o visibili o no»
Paradiso, VIII, 22-23) al recente modulo giornalistico
o no?, come «domanda dubbiosa a conclusione di un discorso apparentemente sicuro (
Parigi val bene una messa! o no?)» (cfr. M. Cortelazzo - U. Cardinale,
Dizionario di parole nuove 1964-1987, Torino, Loescher, 1989, p. 171). Lo stesso si dica di altri costrutti omologhi:
e no (si pensi al romanzo di Vittorini
Uomini e no),
perché no, come no, se no oltre all'ormai raro
anziché no. Ma in un certo numero di casi si è fatto strada un altro costrutto, con
non in luogo di
no. Con
se si può risalire fino a Dante: «Ditel costinci; se non, l'arco tiro» (
Inferno, XII, 63); con
o, invece, gli esempi antichi sono dubbi o appartenenti a scrittori non toscani e poco sensibili alla norma grammaticale, come Giordano Bruno («o voglia o non»,
Gli eroici furori).
Perché
non tende a sostituirsi a
no? Per il fenomeno, proprio dell'italiano di ogni tempo ( e non solo dell'italiano), dell'ellissi, cioè della cancellazione di strutture di alta prevedibilità: dalla sequenza «ti piaccia o non ti piaccia», attraverso la soppressione del secondo elemento della coppia, si è passati al tipo «ti piaccia o non». Giustificare storicamente la genesi di un costrutto non significa necessariamente giustificarlo dal punto di vista normativo. Nonostante la sua attuale diffusione, il costrutto infastidisce ancora orecchie particolarmente sensibili. Un illustre dantista svizzero, Remo Fasani, ha scritto qualche anno fa un vivace libello (
De vulgari eloquentia, Padova, Liviana, 1978) prendendosela tra l'altro proprio con
o non, «forse lo sfregio più grande - e più gratuito - che si poteva fare all'italiano» (pag. 15). È un giudizio che può non essere condiviso, ma che dimostra come
o non possa essere avvertito da taluni un elemento tuttora estraneo alla struttura dell'italiano.