Garcia Marquez, Gabriel - Foglie morte

ayuthaya

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Dopo aver letto quasi tutti i romanzi più noti del grande Gabriel Garcìa Marquez, essendomi trovata a fargli da "madrina" nel corso della Sfida Adotta-autori, ho dovuto per forza di cose rivolgermi a un libro meno conosciuto, che è anche, in questo caso, il primo ad essere stato scritto al futuro premio Nobel nel 1950, per essere pubblicato solo cinque anni dopo. Eccomi quindi a parlarvi di Foglie morte, ancora non recensito in PB.

È difficile esporre la trama senza in qualche modo rovinare la sorpresa al lettore, ma quel che posso dire senza timore di spoiler è che il romanzo si apre con la morte di un personaggio “misterioso”, un dottore, il quale resta misterioso per buona parte del romanzo stesso (fra l'altro molto breve) e per certi versi anche a lettura ultimata. A raccontarci di questa morte sono tre distinti personaggi (e il riferimento inequivocabile va, come suggerito dalla critica, a William Faulkner, che proprio in quegli anni sperimentava questo tipo di narrazione a più voci): il “colonnello”, che meglio di tutti gli altri ha conosciuto il morto e a cui ha fatto una promessa semplice, in apparenza scontata, quella di seppellirlo, ma per mantenere la quale è costretto a sfidare l'intero paese; la figlia Isabel, che – data la giovane età all'epoca dei fatti – questo dottore lo ha conosciuto solo parzialmente e soprattutto attraverso la mediazione di altre persone; e infine il figlio di lei, che si trova suo malgrado a condividere la “visita” al morto, in attesa del “permesso” per la sepoltura.

Il romanzo si svolge nell'arco di mezz'ora, dalle due e mezza alle tre di un assolato mercoledì, in una cittadina che, per chi ama Garcìa Marquez, rappresenta un mito: Macondo. Allo stesso tempo, però, le vicende a cui si fa riferimento sono talmente dilatate nel tempo da coprire ben trent'anni, a partire dalla fondazione stessa di Macondo, nel 1898, fino al 1928, il tempo della narrazione.
Oltre ai tre personaggi, che parlano in prima persona, ve ne sono altri – in special modo Meme, la domestica, figura centrale nello svolgimento degli eventi, e la seconda moglie del colonnello, Adelaide –, ma vi è soprattutto un personaggio che, indirettamente, viene elevato al grado di protagonista: il paese stesso, la sua gente. Chi conosce questo scrittore non si sorprenderà nello scoprire che le molteplici voci del paese (fra le quali non ne distinguiamo, anzi... non ne udiamo neppure una) si uniscono virtualmente a formare una sola voce, che si indigna, giudica, condanna, ma che soprattutto si muove compatta, come se si trattasse appunto di un'unica figura, gretta, chiusa, indifferente, incapace di vedere al di là delle apparenze.

Inutile dire che in questo che è il suo primo romanzo – molto particolare, non facilissimo per via delle differenti voci, dei continui salti temporali, ma pienamente contraddistinto da quel “magnetismo surreale" che rende questo scrittore tanto amato – c'è tutto il Garcìa Marquez dei successivi capolavori. Magistrale è il modo in cui la vicenda ci viene rivelata, pagina dopo pagina, costantemente avvolta da un alone di mistero, decadenza e fatalismo che domina fino alla fine e “segna” indelebilmente ogni parola (sentenza), ogni gesto (condanna), ogni pensiero (supposizione), in un continuo gioco di rimandi fra ciò che è e ciò che si crede sia, ciò che si crede sia e ciò che, inevitabilmente, diventa.
La Macondo di Foglie morte, some suggerisce il titolo stesso (titolo originale, significativo e dalla gestazione tutt'altro che immediata, come si scopre leggendosi la genesi del romanzo), è un luogo decrepito – nel “corpo” e nello “spirito”–, che esala un odore stantio, esattamente come la stanza, da troppi anni chiusa, in cui si trova il morto.

Sarà che, non essendo un romanzo troppo noto, non avevo alcuna aspettativa sul suo valore, ma devo dire di essere stata conquistata dalla scrittura di questo primo Garcìa Marquez, magari non ancora maturo e “perfetto” come nei capolavori che seguiranno, ma, a dispetto del titolo, “fresco”, ammaliante, ipnotico dalla prima all'ultima pagina. Da leggere.
 
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ayuthaya

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Ieri ho letto questo passaggio su I quaderni di Malte Laurids Brigge di Rilke, e non ho potuto fare a meno di "applicarle" al protagonista indiretto di questo romanzo, il dottore, o il "morto" che dir si voglia. Credo non esista un commento più appropriato.

Quando si parla dei solitari si presume sempre troppo. Si pensa che la gente sappia di cosa si tratta. No, non lo sanno. Non hanno mai visto un solitario, l'hanno solo odiato senza conoscerlo. Essi sono stati i suoi vicini, che lo logorarono, e le voci nella camera accanto, che lo tentarono. Hanno aizzato le cose contro di lui, affinché facessero rumore e coprissero la sua voce. (…)
E se non si lasciava esaurire e scampava, gridavano contro ciò che veniva da lui e lo dicevano brutto e sospetto. E se egli non ascoltava, divenivano più chiari e gli toglievano il cibo di bocca e gli respiravano la sua aria e sputavano nella sua povertà perché gli divenisse ripugnante. Lo facevano credere un appestato e gli gettavano dietro le pietre perché s'allontanasse più in fretta. E avevano ragione loro: poiché realmente era loro nemico.
 

Nefertari

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Questo libro mi ha suscitato moltissima malinconia e inquietudine. Non che la storia fosse così tragica da giustificarla ma il modo di scrivere di Marquez mi ha trasmesso tanto, più degli avvenimenti. E' un pò difficile da seguire a causa delle varie voci narranti ma passate le prime pagine ci si immerge senza grossi problemi.
 
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