Boll, Heinrich - E non disse nemmeno una parola

bouvard

Well-known member
Secondo alcuni E non disse nemmeno una parola è uno dei migliori libri di Boll, per quanto il libro mi sia piaciuto devo confessare di non esser d’accordo con questo giudizio. E’ senz’altro un ottimo libro, in cui vengono affrontati alcuni dei temi cari a Boll: la condanna della guerra e degli orrori da essa provocati, la condanna del nazismo, la critica della nascente società consumistica, la dura condanna degli ambienti cattolici tedeschi e di un certo modo di vivere la “fede”, eppure secondo il mio opinabile giudizio sono altri i libri migliori di Boll.
Questo libro è la storia di Fred e Kate, sposati da quindici anni, tre figli vivi e due morti, separati da alcuni mesi, e poveri. Poveri: è la parola chiave di tutto il libro. La povertà vissuta da entrambi come una vergogna, ma affrontata in maniera diversa. In Kate non c’è rassegnazione, pur essendoci la consapevolezza di non poter far molto contro di essa, se non combatterla con la stessa ostinazione con cui combatte la polvere dalla misera stanza in cui vivono. Anche quella contro la polvere è una battaglia persa, perché in quel cumulo di macerie che è ancora Colonia, la polvere entra dappertutto, ma per la sopravvivenza stessa dei suoi figli Kate non si rassegna e ogni giorno ricomincia daccapo la sua personale battaglia. Fred è invece rassegnato, ed incapace com’è di combattere ancora preferisce scappare.
Boll sottolinea la maggiore capacità delle donne di farsi carico dei problemi, di piegarsi sotto il carico delle responsabilità, di sopportare le avversità, mentre gli uomini appaiono fragili ed incapaci di affrontare i problemi. Questa differenza risalta maggiormente proprio per la struttura che Boll ha dato al libro, un alternarsi di capitoli raccontati da Fred a capitoli raccontati da Kate. Devo dire di aver preferito i capitoli di Kate, ma essendo io una donna forse il mio giudizio non è obiettivo.
Le parti del libro che più ho apprezzato sono quelle in cui Boll attraverso una satira ed un sarcasmo davvero eccelsi sottolinea l’ipocrisia, la falsità degli ambienti cattolici tedeschi. Davvero notevole la figura della signora Franke, padrona di casa di Kate e Fred, discendente da una famiglia che ha commerciato di tutto e che adesso – ci dice Boll - sembra far commercio di Dio stesso. In effetti questa donna tanto religiosa non conosce cosa sia la pietà cristiana e non mostra compassione verso nessuno, le uniche cose che riescono ad intenerire il suo cuore sono il denaro e i vasetti delle sue conserve. Una donna che nega la possibilità a Fred e Kate di avere un alloggio popolare per fargli “l’elemosina” di una stanza in casa sua e poter far così mostra del suo “sacrificio” e mettersi l’aureola di persona disinteressata.
Le pagine finali in cui si parla del tentativo di uccidere lentamente con gocce d’aceto un prete le ho trovate semplicemente stupende, un’ironia davvero sottile e dirompente quella di Boll.
Anche se non è il libro migliore di Boll , ed anche se è un po’ triste e lascia la voglia di scuotere Fred perché si dia una svegliata, penso che sia comunque un bel libro da leggere.
 
Ultima modifica:

ayuthaya

Moderator
Membro dello Staff
Non c'è dubbio che Böll sia uno degli scrittori più amari che abbia mai letto. E feroci. E disarmanti.
Le prime pagine di questo romanzo sono molto dure, o almeno lo sono state per me... forse perché è difficile assumere una presa di posizione di fronte alla povertà.
Ho provato ad arrabbiarmi con Fred, che al suo apparire, a inizio romanzo, non ci fa una bellissima figura: da due mesi ha abbandonato la moglie e i figli perché non riusciva a “tollerare” la miseria nella quale vivevano, ma ama la moglie (si incontra ancora segretamente con lei) e pensa sempre ai suoi bambini, e si sposta da una parte all'altra della città per chiedere denaro in prestito da poter dare loro, dopo averne speso una parte a bere... C'è qualcosa che non si riesce a capire, a giustificare in questo comportamento... forse neppure ad accettare. Ma ecco che entra in gioco la moglie – il racconto è un alternarsi delle loro voci –, il cui sentire è quasi un complemento a quello di Fred. Sono le due facce della miseria: chi è scappato perché non riusciva più a sopportare se stesso e ciò che stava diventando, e chi è rimasto al suo posto, fedele al suo ruolo di genitore che non può scappare. Chi osserva con disincanto e acuto sarcasmo il mondo che lo circonda, le sue contraddizioni e le sue ipocrisie, e chi è consapevole di questi stessi conflitti ma li vive in modo diverso: con ostinazione, con fede. La stessa fede di cui il suo uomo non è più capace.
Con questo non voglio dire che da una parte vi sia la ragione, o più forza che dall'altra. Forse questo “distinguo” si potrebbe fare se fra i due personaggi non esistesse il legame che c'è, e che si sente ancor prima che i due si incontrino. In questo senso ammetto che la quarta di copertina un po' inganna, ma è un inganno che riserva una piacevole sorpresa: “...una cronaca del fuggevole incontro, dopo quindici anni di matrimonio, tra due ex coniugi... (che culminerà) con il tentativo di Fred di riconquistare l'amore della moglie”. In realtà non è esattamente così, perché sia lui che lei si amano ancora teneramente, anzi, confesso che ho iniziato a provare più dolcezza, più comprensione nei confronti dell'uomo, proprio iniziando a guardarlo con gli occhi della moglie. Ed è incredibile come lei non solo non abbia alcun rancore nei suoi confronti, ma neanche lo giudichi in alcun modo. Käte – questo è il suo nome (quasi non lo ricordavo, tale è il suo identificarsi nel ruolo di “moglie”, pure abbandonata) – sembra comprendere quasi più di lui le ragioni del suo abbandono, e le accetta con la stessa ostinazione e la stessa fede che dimostra in tutto ciò che fa.

Ma anche lui la ama in modo unico, delicatissimo... io credo che Böll deve aver amato profondamente nel corso della sua vita, perché riesce a esprimere questo sentimento in modo talmente vivo e vibrante, da non poter essere giustificato solo con la bravura letteraria. Käte è per Fred la “donna che gli ha toccato il cuore”... non è la sola – lui stesso racconta di persone, spesso sconosciute, incrociate per sbaglio e poi perse per sempre, donne (come la giovane, anzi la “piccola del caffè”, come la chiama Käte) ma anche vecchi, bambini, persino uomini che hanno avuto su di lui questo effetto profondissimo – ed è in questa disarmante sincerità la chiave della sua purezza. Tutto questo acquista ancora più valore se si pensa che non stiamo parlando di due ragazzini alle prese col primo amore, ma di un uomo e una donna sposati da quindici anni, provati dalla vita e dalla miseria, che sono ancora capaci di gesti di una tenerezza infinita... Davvero particolare il fatto che lui a un certo punto dica a lei “forse non avrei dovuto sposarti”. Mi sono chiesta perché questo dubbio... forse nella sua disperazione Fred crede che il matrimonio, la famiglia, i figli che pure ama sono stati la “causa” del loro dramma?
Ad ogni modo lei è di una dolce fermezza che davvero “tocca il cuore”, anche di noi lettori.... ho letto solo oggi che Böll, intitolando così il suo romanzo (dalle parole And he never said a mumbling word, tratte da un canto Gospel che Käte ascolta alla radio e che si riferisce a Gesù), forse voleva creare un paragone fra la donna, che tanto ha sopportato in silenzio, e Cristo stesso. Quale che sia l'interpretazione corretta, credo che il titolo sia molto appropriato a commentare quella che è prima di tutto una storia d'amore che si “respira” fra le pagine, senza bisogno di troppe parole.
Ho trovato davvero commovente uno dei passaggi finali, in cui Fred viene colpito dalle movenze di una donna, la segue, ne è come rapito... e solo dopo qualche minuto si accorge che quella donna... è sua moglie. Forse è proprio questo il momento in cui in lui matura la consapevolezza che lo porterà alla decisione finale.

Aggiungo solo che, per quanto mi sia soffermata molto sul rapporto fra moglie e marito (ci si sofferma sempre su ciò che si sente più vicino), ciò che forse ho apprezzato di più in questo romanzo sono gli intensi, di volta in volta spietati o commoventi, ritratti che Böll ci restituisce di una Colonia distrutta dalla guerra e insieme traboccante di segni dell'incipiente consumismo, e ancora di più di coloro che la vivono: incontri fuggevoli, gente di passaggio... eppure quanta forza nella scrittura di Böll! L'irresistibile descrizione della processione, la lunga (insistentemente lunga) sosta al caffè, illuminato da uno squarcio di vera umanità, la confessione di Käte e la paura del prete di fronte al suo odio... sono tutti passaggi splendidi, che da soli meritano la lettura di questo libro che, ciononostante, anch'io non ritengo essere un capolavoro (di certo non il suo capolavoro), come taluna critica ha dichiarato.
 
Ultima modifica:

Jessamine

Well-known member
Da quando ho terminato questo libro, ho addosso una sensazione di desolazione, di angoscia e di claustrofobia che non riesco a far scivolare via. È un romanzo fatto di polvere e macerie, di città distrutte dalla guerra e di uomini lacerati da un conflitto che ha strappato loro qualcosa di fondamentale, qualcosa che, anche dopo che la ferita è stata risanata, non può più tornare indietro.
Ma forse dovrei fare un passo indietro. Perché “E non disse nemmeno una parola”, pur avendo una grandissima forza evocativa, non è un romanzo così diretto: certo, le macerie, l'aria tetra, la polvere e lo squallore che stringe il cuore sono presenti fin dalle prime battute, ma è al tempo stesso vero che Böll sembra inizialmente voler solo sussurrare. Non c'è frenesia, non è un romanzo sui movimenti concitati di una battaglia o sul fragore e la confusione frenetica di un bombardamento: “E non disse nemmeno una parola” parla di quello che resta, di quello che resta dopo l'amore, di quello che resta dopo la guerra. Sono macerie meno evidenti, crolli che non fanno rumore, ma che sono irrimediabilmente più profondi e insanabili.
Fred e Kate si amano, sono sposati e hanno tre figli, sono sopravvissuti alla guerra e vivono nella miseria di un alloggio di fortuna, una stanza in un appartamento dove vivono altre famiglie, una stanza con i muri fatti di tela, muri che non possono isolare i rumori della quotidianità e dell'intimità di una famiglia. E si amano. L'amore è un elemento costante, tormentato e tormentoso, ma innegabile. Fred e Kate si amano, ma la guerra li ha distrutti. Ha distrutto Fred, che pure non è mai stato soldato, ma solo tecnico delle comunicazioni, ma che non per questo è rimasto al riparo dalla morte, dalla sofferenza quotidiana, dai volti sfigurati dall'agonia. E la guerra ha distrutto anche Kate, che ha perso due bambini a causa dei pidocchi, che è costretta a sentirsi in colpa per la sua voglia di amare ed è costretta a piangere tutte le notti in silenzio, per non spaventare i suoi figli.
In “E non disse nemmeno una parola” c'è spazio per una ragazzina dalla nuca delicata china in preghiera e per lo squallore di lenzuola consunte brutte camere d'albergo, ci sono interminabili bicchieri di acquavite e confezioni di rosso per le labbra, ci sono frittelle e caffè bevuti a credito, disegni di acrobati sbiaditi, insegne luminose, caroselli e tanto rancore. Ma il rancore non è quello di Kate verso Fred, che da mesi ormai non può più sopportare la miseria del loro alloggio. Il rancore è quello sottopelle, quello che non si può oggettivare, un rancore sordo e rassegnato, privo di forza d'azione. E' il rancore di una città che conserva cumuli di macerie accanto ai segni di una rinascita che viene d'oltreoceano, il rancore di uomini che sono ancora vivi, che sono costretti a venire a patti con una sopravvivenza che li vorrebbe felici, grati e pronti a rinascere, ma che non possono fare altro che rimestare angosce e tormenti impossibili da sciogliere.
E' impossibile anche solo pensare di condannare o biasimare i protagonisti, perché la loro angoscia è talmente vibrante e tangibile che durante la lettura mi sono sentita, costantemente Kate, subito dopo Fred, e le ragioni di entrambi mi sono sembrate così evidenti e inevitabili che tutto quello che mi è rimasto è stato un forte senso di desolazione e soffocamento.
Perché si soffoca, in questa città che vede la rinascita delle slot-machine e del biliardino insediarsi proprio in mezzo a quelle ferite che sono ancora irrimediabilmente aperte. Si soffoca nella casa che puzza di rape di un prete che ascolta le confessioni solo con l'occhio all'orologio, si soffoca nella casa di tre bambini costretti a giocare in silenzio - costretti a dimenticare come si faccia a ridere e fare rumore. Si soffoca per le strade gelate, in mezzo alle processioni, si soffoca nelle taverne e nelle grandi ville vuote.
Fred e Kate non possono fuggire dall'angoscia dell'amarsi senza che questo possa essere sufficiente.
Perché niente è sufficiente. Non la preghiera, non l'assoluzione, non una bella ragazza capace di fare un ottimo caffè, né un rossetto nuovo, né le notti d'amore rubate negli alberghi o sotto le stelle.
E in mezzo a tante macerie, quelli che sembrano svettare di più sono proprio i muri di incomprensione e incompatibilità fra le persone, quei muri che dividono anche gli amanti più appassionati, i genitori dai figli, gli amici dai fratelli: nonostante tutto, i personaggi sono satelliti lontanissimi, che girano attorno alla stessa orbita, si scrutano e si cercano, ma sono incapaci di raggiungersi.
 
Alto