Bernhard, Thomas - Perturbamento

ayuthaya

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... perchè il miglior commento a un libro è il libro stesso!

PS la verità è che lo sto ancora leggendo...;)

"Quando guardo la gente in faccia, vedo che la gente è infelice » disse il principe. « Sono tutte persone che portano per strada il loro tormento e così trasformano il mondo in una commedia, che naturalmente fa ridere. (...) Il vero spettacolo tutta questa gente lo dissimula in quella commedia che è il mondo. Quando si sentono inosservati, sfuggono sempre a se stessi rifugiandosi in se stessi. Grottesco. Il lato più ridicolo, però, non lo vediamo mai, perché il lato più ridicolo è sempre quello tenuto nascosto. (...)
In effetti il mondo, come già è stato detto moltissime volte, è un palcoscenico sperimentale su cui si prova in continuazione. Dovunque guardiamo, vi è un continuo imparare a parlare, a camminare, a pensare, a recitare a memoria, a ingannare, a morire, a essere morti, tutto il nostro tempo se ne va in questo."


"Il principe disse che in ogni testa d'uomo è insita una catastrofe umana commisurata a quella testa. Non occorre aprire le teste degli uomini per rendersi conto che in esse non c'è altro che una catastrofe umana. « Senza la sua peculiare catastrofe umana, l'uomo non può esistere assolutamente » disse il principe. L'uomo ama la sua sventura e se per un attimo ne è privo, fa di tutto per ritrovarcisi immerso. « Quando guardiamo in faccia gli uomini, vediamo che o si trovano immersi nella loro sventura o sono alla ricerca della loro sventura. Non c'è uomo senza umana sventura » disse. L'uomo, secondo il principe, si trova senza posa in una situazione estremamente pericolosa, solo che non si rende conto di trovarsi ininterrottamente e sempre contro la sua volontà in una situazione estremamente pericolosa. Proprio questo gli permette di esistere, ma, nello stesso tempo, fa di lui un ammalato."

...continua.... :wink:
 

ayuthaya

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"Tu lo sai bene, dico sempre a me stesso, tutto è sempre e sempre è tutto soltanto nella tua testa. Tutto è sempre nelle teste di tutti. Esclusivamente nelle teste di tutti. Fuori dalle teste non esiste nulla."

"Ognuno di noi continua a parlare un linguaggio che lui stesso non intende, ma cheogni tanto viene inteso. Il che ci permette di esistere e di essere perciò quanto meno fraintesi. Se esistesse un linguaggio in grado di essere inteso, disse Saurau, non ci sarebbe bisogno di nient'altro. « Siamo sempre riusciti a trovare asilo in qualche problema » disse. « Gli uomini camminano insieme, parlano insieme, dormono insieme, ma non si conoscono. Se gli uomini si co
noscessero non camminerebbero insieme, non parlerebbero insieme, non dormirebbero insieme."

"Le citazioni mi danno sui nervi. Ma noi siamo chiusi in un mondo che cita continuamente tutto, prigionieri di quella citazione continua che è il mondo, dottore."
 

ayuthaya

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Un libro folle e geniale. É il primo commento che mi viene da fare.
Un libro che parte in modo abbastanza tradizionale, forse con un pizzico di cupezza in più: in alcuni punti mi ha ricordato Cèline quando, in Viaggio al termine della notte, descrive la sua vita di medico nella periferia di Parigi. Anche il protagonista di questo libro (o, per meglio dire, quello che all’inizio sembra essere il protagonista) è un medico, anzi, il figlio di un medico di campagna, che durante uno dei fine-settimana passati nella casa paterna (è uno studente fuori casa) si ritrova ad accompagnare suo padre in uno dei suoi consueti giri in visita ai pazienti.
Il contatto diretto con la malattia e la morte − e in misura forse ancora maggiore la solitudine, l’isolamento (voluto o subito) in cui, pur nella diversità delle loro situazioni, vivono quasi tutti i pazienti − offrono allo scrittore, e quindi a noi lettori, un’occasione di “intimità forzata” che ha in sè qualcosa di morbosamente attraente. Mai come nella malattia, sia essa fisica o psichica (più spesso tutt’e due), l’uomo si mostra in tutta la sua vulnerabilità e la sua miseria, si lascia guardare dentro.
Dicevo quindi che un medico e suo figlio − tra loro un rapporto difficile, apparentemente cordiale, ma che in realtà rivela una distanza che giorno dopo giorno si fa sempre più profonda e incolmabile − si spostano da un punto all’altro della regione per le visite a domicilio. Fin qui nulla di strano, a parte − ripeto − una certa cupezza di toni dovuta al tema trattato e alla constatazione della condizione di incomunicabilità propria dell’uomo.
Ma ecco che con la seconda parte del libro tutto cambia... e apposta non rivelo il modo in cui questo succede, perchè (per chi non fosse caduto suo malgrado in qualche spoiler) ritengo che sia una trovata narrativa strepitosa nella sua semplicità. Il fatto è che non ci si rende immediatamente conto che è il cambiamento è “irreversibile”, e per alcune pagine si prova un senso di smarrimento che si trasformerà in un inevitabile stupore, quando finalmente si capisce di essere stati “rapiti” in un delirio dal quale non si uscirà più se non a fine libro.
Al di là di quelli che sono i contenuti (con intuizioni davvero acute, e passaggi che sono le pure farneticazioni di un pazzo...) la forma narrativa scelta da Bernhard, che anzichè affidarsi al saggio o al diario per raccontarci il proprio “perturbamento”, ha intrapreso una strada tutta sua, io l’ho trovata geniale. Poi vabbè... io sono logorroica, si sa! E quindi incontrare, anche se solo nella letteratura, uno ancora più logorroico di me, non poteva che rivelarsi amore a prima vista!!!!!

Entrando un po’ più nel dettaglio delle tematiche affrontate, c’è da dire che non è facile districarsi nel profluvio di parole, concetti, filosofeggiamenti, visioni, paranoie che travolgono il lettore e lo sommergono senza permettergli di riprendere (letteralmente) fiato... Di certo ciò che domina è la consapevolezza dell’assurdità della vita e dell’incombere della morte: l’unione delle due sembra condurre inevitabilmente alla malattia, intesa come malattia psichica e quindi “perturbamento”.
Fondamentali sono anche il rapporto fra l’uomo e la natura, vissuta di volta in volta come scienza pura o come proiezione mentale, e quello fra padre e figlio: dalle pagine di questo libro emerge la coscienza del conflitto generazionale come qualcosa di patologico e inevitabile... ce ne rendiamo conto non solo per l’insistenza con cui si torna su questo tema (stupenda la lunghissima digressione sulla lettera del figlio del principe) , ma anche per i rimandi che si creano all’interno del libro stesso: il principe e suo figlio/ il medico e suo figlio.
Non ho potuto fare a meno, percependo una visione così tetra e nichilistica dell’esistenza e dei rapporti umani (in particolare la solitudine e l’assoluta incomunicabilità fra le persone, chiunque esse siano), di andare in cerca di qualche accenno alla biografia di Thomas Bernhard... c’è da dire che non ha avuto certamente una vita facile, nè dal punto di vista fisico, nè familiare o affettivo, e credo che leggendo questo libro si debba tenerlo ben presente. Resta comunque (almeno da parte mia) il desiderio di approfondire gli aspetti più prettamente filosofici del suo pensiero, e lo farò in futuro con altri suoi romanzi.

Quel che è certo che Bernhard è stata per me una rivelazione: la sua precisa e deliberata scelta di ridondare, assillare, sfinire il lettore fa sì che riesca ad arrivare magari non a tutti (è uno di quei romanzi che si riescono ad apprezzare solo se si è un po’ “folli” come il loro creatore...), ma − dove vi riesce − in modo totale, senza riserve.
 
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Minerva6

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Dopo l'accurata recensione di ayuthaya non riesco ad elaborarne una mia, ma ci proverò entro fine mese (perché ho letto il libro in una sfida, quindi devo farlo :wink:)... intanto ecco alcune delle citazioni che ho segnato (un paio non le riporto perché lo ha già fatto lei):

Ciascuno di noi è completamente isolato in se stesso, anche se tra noi il legame è strettissimo.

La vita intera non è altro che un tentativo ininterrotto di ritrovarci.

Lasciarsi offuscare dai sentimenti, non fare nulla contro il normale incessante incupirsi del proprio umore, ecco ciò che rende gli uomini disperati. Dove prevale il raziocinio, la disperazione è impossibile. Quando subentra in me questo stato di completa irrazionalità, tutto in me diventa disperazione.

Pensai che non esiste nulla che la gente faccia volontariamente, che il libero arbitrio dell'uomo è un non senso.

Ognuno di noi impara continuamente una parte (la sua) o più parti, oppure tutte le parti possibili e immaginabili, senza sapere perché (o per chi) le stia imparando.

Ognuno di noi ha dei periodi piuttosto lunghi in cui in verità non esiste, e fa soltanto finta di esistere. Talvolta in un uomo l'esistenza effettiva e quella simulata si mescolano in un modo che gli è letale.

Per me è ormai chiaro » disse « che sono una persona che benché ancora qui presente, in verità non è più qui, perché è già morta.

L'aspetto ridicolo degli uomini consiste in realtà nella loro totale incapacità di essere ridicoli. Non ho ancora mai visto un uomo ridicolo, benché sia ridicolo tutto quello che fa la maggior parte degli uomini che io vedo.
 

ayuthaya

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Minerva, DEVI elaborarne una tua!!!Bernhard è troppo particolare come autore per non produrre una reazione diversa da persona a persona, e sono curiosissima di sapere la tua! ;)
 

Minerva6

Monkey *MOD*
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Ci provo, ma devi accontentarti di una molto più breve e semplice in confronto alla tua :wink::
nonostante io preferisca la suddivisione in capitoli non ho trovato affatto difficoltà nel leggerlo e lo stile così ipnotico mi ha tenuta incollata alle pagine con il fiato sospeso e con le tante emozioni che ha saputo suscitare dentro di me. Sono tanti i punti di vista che ho trovato simili ai miei, purtroppo la maggior parte sono piuttosto pessimisti e negativi, ma credo che una lettura così cupa serva molto alle personalità come la mia, serve a farmi (e farci) sentire meno sola. Anche se la follia può sembrare qualcosa da cui fuggire io ormai ho quasi imparato a conviverci e forse non saprei neppure farne a meno.
Anche io ero logorroica, non così come il principe -spero- che ripeteva troppo spesso gli stessi concetti e alla lunga potrebbe risultare fastidioso, perciò -come ayu- ho potuto apprezzare molto i prolissi discorsi e racconti dei protagonisti.
Oltre alle citazioni già postate che non necessitano di commento perché sono già chiare nella loro espressione così forte, un paio di parti mi hanno colpita in particolare, una riguarda il non poter pronunciare alcune parole in presenza di persone che hanno subito qualcosa a riguardo e non riescono neppure a sentirle dagli altri, tanto la loro sofferenza è stata profonda e legata a quelle particolari parole che sanno riprodurre lo stesso dolore solo con il loro nome. L'altra riguarda le case asciutte o umide e il clima in generale in rapporto con il carattere individuale, che viene a modificarsi proprio in condizioni climatiche diverse.
Di certo vorrei proseguire con la conoscenza di questo autore che trovo davvero particolare per il modo di esprimersi e scrivere. Spero di ritrovare presto le stesse sensazioni (che a qualcuno potrebbero trasmettere disagio mentre a me hanno fatto sentire vicinanza e intesa) in un altro suo romanzo.
 

alessandra

Lunatic Mod
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Scrivere un commento per questo libro non è semplice, così come non lo è il libro stesso.
Il narratore è orfano di madre e fratello di una ragazza particolarmente fragile; il padre medico, incapace di comunicare col figlio in altro modo, decide di portarlo con sé durante il giro di visite quotidiano, creando in tale maniera un'alternativa forma di comunicazione - non so parlarti, ma ti mostro cosa faccio, chi sono - e nel contempo offrendogli l'opportunità di crescere ampliando il suo punto di vista nel vedere le disgrazie altrui e non più solo le proprie. Il dottore non è solo un medico del corpo: la maggior parte dei suoi pazienti è malata nell'anima e in lui trova conforto anche solo parlando e sfogandosi. Già in questa prima parte traspare dalle righe un senso di disagio, di malattia, di morte, quasi come se le pagine fossero di un grigio polveroso; quasi fossimo lì, in mezzo allo squallore di quelle stanze anguste, e percepissimo il sentore soffocante dell'aria chiusa. La scrittura di Bernhard, che si riflette nei suoi personaggi, è pervasa da un infinito malessere che viene trasmesso al lettore ma senza angosciarlo, poiché la scrittura non è tagliente ma (a parer mio) piuttosto cerebrale.
(POSSIBILI SPOILER)
La seconda parte spiazza perché, proprio nel momento in cui ci si aspetta l'evolversi della storia, un paziente che l'autore chiama il Principe si lancia in un incessante monologo: un delirio appassionato, nichilista e sconclusionato in quanto i pensieri vengono espressi senza ordine, man mano che si presentano alla mente di un essere umano lucidamente (non sempre) folle e in preda a una perenne agitazione. E al centro di una serie di argomenti filosofici, politici, sociologici, esistenziali sciorinati dal Principe compare di continuo la figura del figlio, ormai lontano da lui non solo fisicamente; diventa subito evidente che questo rapporto - nel quale si specchia, se così si può dire, il complicato rapporto tra il medico e suo figlio - costituisce per lui il maggior cruccio e una delle principali cause del suo mal di vivere.
A tratti ho seguito con interesse e condivisione il delirio del Principe, altre parti per me sono state difficili da cogliere.
Trattandosi di un (folle) flusso di pensieri più che di un vero e proprio romanzo, confesso di essermi sentita un po' tradita e di aver desiderato che prima o poi prendesse una china diversa. Si tratta però di un libro profondo e di alto livello, denso di spunti di riflessione e raffinato nella sua follia.
 
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