Pensieri filosofici

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Ultimamente sono sottoposto a bombardamenti filosofici e il mio cervello è troppo piccolo per cavarsela da solo.

Ieri sera ho leggiucchiato un po’ “Avere o essere?” di Erich Fromm e, sempre in questi giorni, sto leggendo “Il problema Spinoza”. Libri che, per motivi diversi, consiglio vivamente.

La filosofia è una scatola aperta, le domande sono infinite e il terreno è fertile per far crescere discussioni interessanti.

Quando durante le nostre letture ci imbattiamo in qualche teoria e di conseguenza il nostro cervello è partito di pensiero in pensiero, sarebbe bello condividere.
 

malafi

Well-known member
parti tu con un pensiero preso dai libri che stai leggendo.
Il tema è potenzialmente assai interessante.
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
parti tu con un pensiero preso dai libri che stai leggendo.
Il tema è potenzialmente assai interessante.


Possiamo partire con uno dei problemi filosofici per eccellenza: cos’è la felicità? E una volta individuata come la si può raggiungere?

Io sono convinto che oggi diremmo una serie di cose che sarebbero una novità quasi assoluta nella storia dell’umanità. Quindi, io penso, il concetto è del tutto relativo e benché la domanda sia scontata, le possibili risposte non lo sono altrettanto.

Il concetto di felicità è senz’altro mutato con lo sviluppo dell’industrializzazione e l’estensione dell’individualismo. Non mi interessano, qui, le implicazioni politiche o morali della questione. Mi interessa sapere se vi sia stato un incremento della “felicità”, a partire dallo sviluppo della borghesia e dal mutare delle condizioni sociali che essa si è portata dietro.

Per Epicuro, il cui messaggio alle volte è un po’banalizzato, la felicità risiede nell’ “ataraxia” e nell’“aponia”, che, stringi stringi, significano assenza di dolore e calma spirituale. Felicità, dunque, come “assenza”, non come “somma”.

Possedere meno per essere più felici è un motto filosofico e spirituale che tanti fanno proprio. Ma è proprio così?

Altri, materialisti, edonisti, credevano che la felicità non fosse altro che la somma dei singoli piaceri che l’individuo si riusciva a dare nel corso dell’esistenza. In sostanza più singoli piaceri ti dai, più sei felice. Per costoro il desiderio va perseguito e raggiunto, proprio in quanto tale. Il marchese de Sade si è spinto al limite sostenendo che se il sadismo esiste come pensiero, allora va concretizzato.

Tanto per portare un altro esempio estremo, La Mettrie invitava a fare uso di droghe, perché sotto il loro effetto si era finalmente felici.

Per i buddisti è l’esatto contrario da 2.500 anni.


Cos’è la felicità? Siete felici?
 

ila78

Well-known member
Possiamo partire con uno dei problemi filosofici per eccellenza: cos’è la felicità? E una volta individuata come la si può raggiungere?

Io sono convinto che oggi diremmo una serie di cose che sarebbero una novità quasi assoluta nella storia dell’umanità. Quindi, io penso, il concetto è del tutto relativo e benché la domanda sia scontata, le possibili risposte non lo sono altrettanto.

Il concetto di felicità è senz’altro mutato con lo sviluppo dell’industrializzazione e l’estensione dell’individualismo. Non mi interessano, qui, le implicazioni politiche o morali della questione. Mi interessa sapere se vi sia stato un incremento della “felicità”, a partire dallo sviluppo della borghesia e dal mutare delle condizioni sociali che essa si è portata dietro.

Per Epicuro, il cui messaggio alle volte è un po’banalizzato, la felicità risiede nell’ “ataraxia” e nell’“aponia”, che, stringi stringi, significano assenza di dolore e calma spirituale. Felicità, dunque, come “assenza”, non come “somma”.

Possedere meno per essere più felici è un motto filosofico e spirituale che tanti fanno proprio. Ma è proprio così?

Altri, materialisti, edonisti, credevano che la felicità non fosse altro che la somma dei singoli piaceri che l’individuo si riusciva a dare nel corso dell’esistenza. In sostanza più singoli piaceri ti dai, più sei felice. Per costoro il desiderio va perseguito e raggiunto, proprio in quanto tale. Il marchese de Sade si è spinto al limite sostenendo che se il sadismo esiste come pensiero, allora va concretizzato.

Tanto per portare un altro esempio estremo, La Mettrie invitava a fare uso di droghe, perché sotto il loro effetto si era finalmente felici.

Per i buddisti è l’esatto contrario da 2.500 anni.


Cos’è la felicità? Siete felici?[/FONT]


Una domandina da niente per partire, eh Ziggy? :wink:

Io non so nulla di filosofia ma in base a quello che hai scritto ritengo di essere più vicino all'edonismo e al materialismo che al pensiero di Epicuro. :wink:
Forse darò una risposta banale ma secondo me la felicità è una questione di equilibrio tra il soddisfacimento dei desideri materiali e l'appagamento a livello spirituale-sentimentale, poi questo equilibrio è pressoché impossibile da raggiungere e infatti siamo sempre alla rincorsa dell'una o dell'altra cosa...quindi non siamo mai completamente felici? Oddio che brutta cosa....:D
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Una domandina da niente per partire, eh Ziggy? :wink:

Io non so nulla di filosofia ma in base a quello che hai scritto ritengo di essere più vicino all'edonismo e al materialismo che al pensiero di Epicuro. :wink:
Forse darò una risposta banale ma secondo me la felicità è una questione di equilibrio tra il soddisfacimento dei desideri materiali e l'appagamento a livello spirituale-sentimentale, poi questo equilibrio è pressoché impossibile da raggiungere e infatti siamo sempre alla rincorsa dell'una o dell'altra cosa...quindi non siamo mai completamente felici? Oddio che brutta cosa....:D

So già che qualcuno, non del tutto a torto, dirà che Epicuro era in realtà un "persecutore" del piacere.

Anticipo, rispondendo che, secondo me, il concetto di epicureismo è molto ampio e tocca diversi ambiti. Nella stessa definizione di piacere, Epicuro ha speso quintali di parole.

Non volevo dire che Epicuro fosse "tutto e solo ataraxia", ho solo semplificato perchè dovevo farlo per questioni di spazio.
 

ila78

Well-known member
So già che qualcuno, non del tutto a torto, dirà che Epicuro era in realtà un "persecutore" del piacere.

Anticipo, rispondendo che, secondo me, il concetto di epicureismo è molto ampio e tocca diversi ambiti. Nella stessa definizione di piacere, Epicuro ha speso quintali di parole.

Non volevo dire che Epicuro fosse "tutto e solo ataraxia", ho solo semplificato perchè dovevo farlo per questioni di spazio.

Ripeto, ho poca familiarità coi concetti strettamente filosofici, ma secondo me il concetto di felicità è più legato alla PRESENZA che all' ASSENZA di qualcosa/qualcuno, al PIENO piuttosto che al VUOTO, dove il pieno e la presenza sono ovviamente cose-persone-sentimenti che in un momento particolare della nostra vita ci danno appagamento fisico-morale-materiale-spirituale-sentimentale.
 

ayuthaya

Moderator
Membro dello Staff
Ripeto, ho poca familiarità coi concetti strettamente filosofici, ma secondo me il concetto di felicità è più legato alla PRESENZA che all' ASSENZA di qualcosa/qualcuno, al PIENO piuttosto che al VUOTO, dove il pieno e la presenza sono ovviamente cose-persone-sentimenti che in un momento particolare della nostra vita ci danno appagamento fisico-morale-materiale-spirituale-sentimentale.

Molti grandissimi filosofi, fra cui Epicuro e Spinoza (per non parlare di Buddha), ti direbbero l'esatto contrario... Discussione interessante che dura da secoli, peccato non possa partecipare!
 

ila78

Well-known member
Molti grandissimi filosofi, fra cui Epicuro e Spinoza (per non parlare di Buddha), ti direbbero l'esatto contrario... Discussione interessante che dura da secoli, peccato non possa partecipare!

Ma io sono molto "terra-terra" rispetto a questi signori che citi. :D
Però sarebbe interessante se qualcuno mi illuminasse (giusto per rimanere in tema Buddha...:mrgreen:). I filosofi citati ritenevano che la felicità consistesse nel privarsi delle cose (dico cose in senso lato non solo come oggetti materiali) che istintivamente (o materialmente) ci danno la felicità? Che ne so? Ad esempio vedere su una bancarella un libro fuori stampa che cercavamo da mesi e poterlo comprare e leggere? (esempio volutamente banale...:)). Se non lo compro perché sono "superiore" al desiderio di possederlo sono più felice? Non suona tanto bene. :boh:

Mi piacerebbe capire perché io come stile e filosofia di vita sono agli antipodi del concetto di "assenza" come felicità.
 

ayuthaya

Moderator
Membro dello Staff
Ma io sono molto "terra-terra" rispetto a questi signori che citi. :D
Però sarebbe interessante se qualcuno mi illuminasse (giusto per rimanere in tema Buddha...:mrgreen:). I filosofi citati ritenevano che la felicità consistesse nel privarsi delle cose (dico cose in senso lato non solo come oggetti materiali) che istintivamente (o materialmente) ci danno la felicità? Che ne so? Ad esempio vedere su una bancarella un libro fuori stampa che cercavamo da mesi e poterlo comprare e leggere? (esempio volutamente banale...:)). Se non lo compro perché sono "superiore" al desiderio di possederlo sono più felice? Non suona tanto bene. :boh:

Mi piacerebbe capire perché io come stile e filosofia di vita sono agli antipodi del concetto di "assenza" come felicità.

Volentieri! Se riesco ti rispondo stasera! Comunque è molto legato al libro che ho appena finito e che recensiró presto! ;)
 

malafi

Well-known member
Troppo lontani i miei studi su Epicuro ed altri filosofi per dare un giudizio sulle varie correnti di pensiero.

Ma non solo non condivido il concetto di felicità come assenza di dolore (il VUOTO), ma nemmeno come quello di soddisfacimento di tutti i propri bisogni (PIENO).

Felicità è qualcosa in più. E' uno stato della mente che va oltre la consapevolezza di aver soddisfatto i bisogni. Dirò di più: felicità è quando raggiungi qualcosa che nemmeno ti aspettavi potesse esistere o non sospettavi di poter sentire come bisogno.
Qualcuno potrà obbiettare: ma implicitamente era un tuo bisogno. Può essere, ma non è come la penso io.

Per me è davvero difficile essere felice, ma felice davvero. Quante volte lo sono stato nella vita?
Certo incide il mio carattere, il mio segno zodiacale (per chi ci crede), la mia formazione scolastica ed universitaria. Io non sono uno di quelli dai facili entusiasmi.

Ma proprio per il mio essere immune ai facili entusiasmi forse sono anche più immune dalle false felicità o da quelle cose che assomigliano a felicità.

Potrei descrivere tante situazioni che mi rendono felice, ma sono situazioni in cui sto davvero bene e che mi godo, o davvero felicità?

No, per me felicità è uno stato nel quale non sei solo sereno, o contento di essere in quel posto, in quel momento, con quella persona.
Felicità è una cosa talmente grossa che quasi non riesco a descriverla.

Eppure sono stato felice davvero nella mia vita. Ma è qualcosa di più del mio attuale semplice stare bene, in pace con me stesso e con gli altri ....
 

ayuthaya

Moderator
Membro dello Staff
Mi piacerebbe tanto intervenire ma domani parto per un mese e sono incasinatissima!!! Spero di recuperare domani e che intanto il discorso non vada troppo avanti (scherzo!!!) :p :mrgreen:
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
fino a cent'anni fa i filosofi erano alla ricerca di concetti assoluti, poi è arrivato quel pazzo di Einstein, le cui scoperte hanno avuto ripercussioni in ogni ambito, a dirci che tutto è relativo.

ha ragione Malafi quando dice che, sul concetto di felicità, ha incidenza la nostra personale esperienza, il nostro vissuto, il nostro carattere.

io credo che oggi si tenda ancora a cercare l assoluto in concetti astratti, quando in realtà ogni cosa è fluida.

se può sembrare scontato, oggi, dire che ciò che rende felice me può non fare lo stesso effetto su un'altra persona, non lo era di certo nel 19esimo secolo.

io sto cercando la mia personale via alla felicità, che potrebbe essere una sorta di sincretismo tra diverse concezioni.

di base, credo come Ayu che l avere sia antitetico rispetto al mio personale cammino.

anche qui, vorrei che non si "assolutizzasse", rispondendomi "allora vattene in giro nudo e senza soldi"

ps anch io potrò scrivere poco e male nei prossimi giorni, ma di certo leggerò le vostre eventuali considerazioni
 

ayuthaya

Moderator
Membro dello Staff
Ma io sono molto "terra-terra" rispetto a questi signori che citi. :D
Però sarebbe interessante se qualcuno mi illuminasse (giusto per rimanere in tema Buddha...:mrgreen:). I filosofi citati ritenevano che la felicità consistesse nel privarsi delle cose (dico cose in senso lato non solo come oggetti materiali) che istintivamente (o materialmente) ci danno la felicità? Che ne so? Ad esempio vedere su una bancarella un libro fuori stampa che cercavamo da mesi e poterlo comprare e leggere? (esempio volutamente banale...:)). Se non lo compro perché sono "superiore" al desiderio di possederlo sono più felice? Non suona tanto bene. :boh:

Mi piacerebbe capire perché io come stile e filosofia di vita sono agli antipodi del concetto di "assenza" come felicità.

Ho idea che mi collegherò/scriverò molto poco adesso che sono in vacanza al mare dai miei :boh:, ma intanto rispondo brevemente a questa interessante discussione sollevata da Zingaro in un momento in cui entrambi, grazie al libro di Yalom, abbiamo affrontato questi temi...
Allora, come risposta "oggettiva", ovvero riferita non alla mia personale concezione della felicità, ma ad alcuni filosofi del passato che poi di fatto hanno cambiato la storia, userò parole simili a quelle usate dal personaggio Spinoza (che a sua volta faceva riferimento ad Epicuro, fervido sostenitore - come ricorda Zingaro - dell'ataraxia, ovvero della felicità come liberazione dalle passioni) nel libro sopra citato: la felicità non può dipendere da qualcosa di esterno, di "terreno" perchè tutto ciò che esiste in natura è limitato e finito. La vera felicità può dipendere solo da qualcosa di immutabile e imperituro, di eterno. Fin qui la cosa credo che sia abbastanza condivisibile.
Spinoza (sulla scia di Epicuro) faceva come esempi negativi la ricchezza, il potere e la fama, intesa come la stima dei propri simili (quindi non necessariamente una fama "negativa"): queste cose non possono costituire la base della felicità non perchè di per sè siano sbagliate, ma perchè appunto non sono stabili, per cui raggiunte queste, se le cose vanno bene ne vogliamo sempre di più (e quindi diventiamo schiavi di qualcosa che ci dovrebbe far star bene), mentre se vanno male ripiombiamo nella disperazione. E che felicità è una cosa così soggetta a mutamenti che oltretutto non dipendono da noi?
Per questo spesso si fa riferimento alla felicità come a un'assenza piuttosto che una presenza: questo non vuol dire che meno cose abbiamo più siamo felici (è vero fino a un certo punto, e comunque dipende da ciò a cui si aspira), ma che la nostra felicità non dovrebbe dipendere da qualcosa di "aggiunto" (quindi una presenza) che come tale potrebbe esserci tolta da un momento all'altro, ma da noi stessi, nel momento in cui impariamo ad essere felici anche senza mille cose che magari giustamente ci danno piacere, ma dalle quali non dovrebbe dipendere il nostro stato d'animo. Spero di essere stata chiara. In effetti molte filosofie si basano su questi concetti, in alcuni casi portati anche alle estreme conseguenze (vedi buddhismo, che io ammiro ma non condivido).

Se poi dovessi dire la mia concezione di felicità alla luce di tutto questo... be', la cosa diventa più complicata, perchè, per quanto condivida tutto ciò che ho riportato, io - per mia natura - sono ostinatamente legata all' irrazionalità dell'uomo come qualcosa a cui trovo difficilissimo rinunciare... Per cui va da sè che ritengo che la sola razionalità (che ad esempio Spinoza esaltava come il massimo obiettivo possibile) da sola non possa bastare, non solo perchè credo sia impossibile da raggiungere, ma anche perchè, ammesso che lo fosse, ci farebbe perdere comunque una componente fondamentale di noi stessi, della nostra identità, che va sicuramente gestita, ma comunque custodita e protetta.

Ecco... spero di non essere stata troppo confusionaria! :mrgreen: Aver scritto queste mi ricorda che mi piacerebbe scrivere la recensione del libro prima che passi troppo tempo da quando l'ho finito, ma ho idea che per un po' non riuscirò!!! Comunque approfitto di questo thread (ci va a pennello) per consigliarvelo :mrgreen:: Il problema Spinoza di Yalom a cui far seguire, dello stesso autore, quello che secondo me resta il più riuscito, Le lacrime di Nietsche, dove appunto si affronta la questione del peso della componente "irrazionale" dell'uomo, delle passioni, nella ricerca della propria felicità!
 

maclaus

New member
C' era una volta un povero pescatore che ogni mattina andava a pescare in mare e si guadagnava il pane facendo quel mestiere. In un bellissimo pomeriggio, il pescatore si sdraiò sul fondo della barca per fare un pisolino.
Aveva una moglie e tre figli, una piccola casa vicino al mare e il lavoro gli piaceva molto. Nel frattempo si avvicinò un turista che, con molto interesse, lo osservò e gli fece alcune fotografie. Però il pescatore, sentendo un rumore di passi, si svegliò e, con sguardo meravigliato, scattò in piedi, chiedendo al turista cosa volesse da lui. Con un po' di imbarazzo cominciarono una conversazione e il turista lo riempì di domande. Voleva sapere tutto della sua vita privata, ma soprattutto di come si svolgeva la sua giornata lavorativa. Così il pescatore, con un sorriso soddisfatto, gli raccontò tutto. "Soldi ne guadagno abbastanza per vivere una vita tranquilla e per sfamare me e la mia famiglia", gli rispose.
Il turista però non era tanto convinto della sua vita così semplice e felice e allora gli fece una proposta, cercando di convincerlo: "Perché non vai con la tua barca tutto il giorno in mare? Potresti pescare in un giorno tanto di quel pesce che tra un anno potresti avere tre barche". E continuò: "A quel punto potresti aprire un ristorante e più avanti una fabbrica, non avresti più nessun pensiero, anzi tutti i giorni ti potresti sdraiare nella tua barca, senza far niente, e riposarti". Il pescatore gli disse che lui viveva già senza pensieri e ogni giorno si sdraiava nella sua barca per un riposino.
Il turista rimase molto sorpreso da quella risposta e ripensando a quelle parole si domandò se avesse incontrato un uomo felice...:YY
 

bernoccolo

Vivo, e vegeto.
C' era una volta un povero pescatore che ogni mattina andava a pescare in mare e si guadagnava il pane facendo quel mestiere. In un bellissimo pomeriggio, il pescatore si sdraiò sul fondo della barca per fare un pisolino.
Aveva una moglie e tre figli, una piccola casa vicino al mare e il lavoro gli piaceva molto. Nel frattempo si avvicinò un turista che, con molto interesse, lo osservò e gli fece alcune fotografie. Però il pescatore, sentendo un rumore di passi, si svegliò e, con sguardo meravigliato, scattò in piedi, chiedendo al turista cosa volesse da lui. Con un po' di imbarazzo cominciarono una conversazione e il turista lo riempì di domande. Voleva sapere tutto della sua vita privata, ma soprattutto di come si svolgeva la sua giornata lavorativa. Così il pescatore, con un sorriso soddisfatto, gli raccontò tutto. "Soldi ne guadagno abbastanza per vivere una vita tranquilla e per sfamare me e la mia famiglia", gli rispose.
Il turista però non era tanto convinto della sua vita così semplice e felice e allora gli fece una proposta, cercando di convincerlo: "Perché non vai con la tua barca tutto il giorno in mare? Potresti pescare in un giorno tanto di quel pesce che tra un anno potresti avere tre barche". E continuò: "A quel punto potresti aprire un ristorante e più avanti una fabbrica, non avresti più nessun pensiero, anzi tutti i giorni ti potresti sdraiare nella tua barca, senza far niente, e riposarti". Il pescatore gli disse che lui viveva già senza pensieri e ogni giorno si sdraiava nella sua barca per un riposino.
Il turista rimase molto sorpreso da quella risposta e ripensando a quelle parole si domandò se avesse incontrato un uomo felice...:YY

La stessa celebre storia appare nel prologo di "Accelerazione e modernità. Per una teoria critica del tempo nella tarda-modernità", saggio sociologico di Hartmut Rosa recentemente tradotto dal tedesco in italiano e che, secondo me, ha tutto per piacerti.
 
Ultima modifica:

ila78

Well-known member
Ho idea che mi collegherò/scriverò molto poco adesso che sono in vacanza al mare dai miei :boh:, ma intanto rispondo brevemente a questa interessante discussione sollevata da Zingaro in un momento in cui entrambi, grazie al libro di Yalom, abbiamo affrontato questi temi...
Allora, come risposta "oggettiva", ovvero riferita non alla mia personale concezione della felicità, ma ad alcuni filosofi del passato che poi di fatto hanno cambiato la storia, userò parole simili a quelle usate dal personaggio Spinoza (che a sua volta faceva riferimento ad Epicuro, fervido sostenitore - come ricorda Zingaro - dell'ataraxia, ovvero della felicità come liberazione dalle passioni) nel libro sopra citato: la felicità non può dipendere da qualcosa di esterno, di "terreno" perchè tutto ciò che esiste in natura è limitato e finito. La vera felicità può dipendere solo da qualcosa di immutabile e imperituro, di eterno. Fin qui la cosa credo che sia abbastanza condivisibile.
Spinoza (sulla scia di Epicuro) faceva come esempi negativi la ricchezza, il potere e la fama, intesa come la stima dei propri simili (quindi non necessariamente una fama "negativa"): queste cose non possono costituire la base della felicità non perchè di per sè siano sbagliate, ma perchè appunto non sono stabili, per cui raggiunte queste, se le cose vanno bene ne vogliamo sempre di più (e quindi diventiamo schiavi di qualcosa che ci dovrebbe far star bene), mentre se vanno male ripiombiamo nella disperazione. E che felicità è una cosa così soggetta a mutamenti che oltretutto non dipendono da noi?
Per questo spesso si fa riferimento alla felicità come a un'assenza piuttosto che una presenza: questo non vuol dire che meno cose abbiamo più siamo felici (è vero fino a un certo punto, e comunque dipende da ciò a cui si aspira), ma che la nostra felicità non dovrebbe dipendere da qualcosa di "aggiunto" (quindi una presenza) che come tale potrebbe esserci tolta da un momento all'altro, ma da noi stessi, nel momento in cui impariamo ad essere felici anche senza mille cose che magari giustamente ci danno piacere, ma dalle quali non dovrebbe dipendere il nostro stato d'animo. Spero di essere stata chiara. In effetti molte filosofie si basano su questi concetti, in alcuni casi portati anche alle estreme conseguenze (vedi buddhismo, che io ammiro ma non condivido).

Se poi dovessi dire la mia concezione di felicità alla luce di tutto questo... be', la cosa diventa più complicata, perchè, per quanto condivida tutto ciò che ho riportato, io - per mia natura - sono ostinatamente legata all' irrazionalità dell'uomo come qualcosa a cui trovo difficilissimo rinunciare... Per cui va da sè che ritengo che la sola razionalità (che ad esempio Spinoza esaltava come il massimo obiettivo possibile) da sola non possa bastare, non solo perchè credo sia impossibile da raggiungere, ma anche perchè, ammesso che lo fosse, ci farebbe perdere comunque una componente fondamentale di noi stessi, della nostra identità, che va sicuramente gestita, ma comunque custodita e protetta.

Ecco... spero di non essere stata troppo confusionaria! :mrgreen: Aver scritto queste mi ricorda che mi piacerebbe scrivere la recensione del libro prima che passi troppo tempo da quando l'ho finito, ma ho idea che per un po' non riuscirò!!! Comunque approfitto di questo thread (ci va a pennello) per consigliarvelo :mrgreen:: Il problema Spinoza di Yalom a cui far seguire, dello stesso autore, quello che secondo me resta il più riuscito, Le lacrime di Nietsche, dove appunto si affronta la questione del peso della componente "irrazionale" dell'uomo, delle passioni, nella ricerca della propria felicità!

Ayu visto che mi hai sollecitato una risposta ma non ho tempo ( forse neanche le competenze :boh:) di dartela punto per punto mi limito a "stuzzicarti" su una cosa che mi è saltata all'occhio subito ed è la frase che ho evidenziato: "la felicità dipende solo da qualcosa di immutabile e imperituro" ma sulla Terra cosa lo è?
Questa teoria, a mio modesto avviso, è fortemente legata a una visione religiosa per cui la felicità sarebbe solo nella prospettiva (del tutto incerta, consentimi) di un "Aldilà" in cui godere di felicità e gioie imperiture, infatti nella seconda parte del tuo discorso mi sembra che tu riconosca che per un essere umano "medio" perseguire quella filosofia risulta alquanto complesso. :boh:
Quindi: appurato che non esiste niente in grado di garantirci felicità imperitura e che dal mio punto di vista di atea sono d'accordo il buon Professor Keating (L'attimo fuggente) "siamo tutti cibo per i vermi" non è meglio accontentarsi delle piccole felicità in pillole che la vita ci offre momento per momento e che sono date anche dai piaceri materiali?
In altre parole: CARPE DIEM! :mrgreen:
 

ila78

Well-known member
Vorrei condividere con voi una cosa che ho letto stamattina su fb e mi sembra "c'azzecchi" particolarmente con questa discussione:

Per un uomo a piedi scalzi la felicità è un paio di scarpe.
Per un uomo che indossa scarpe vecchie è un paio di scarpe nuove.
Per un uomo che ha scarpe nuove è un paio di scarpe più belle.
E di certo l'uomo che non ha i piedi sarebbe felicissimo di camminare scalzo
Misura la felicità con quello che hai non con quello che ti manca


-Michael Josephson-

Bello vero? :)
 

c0c0timb0

Pensatore silenzioso 😂
Possiamo partire con uno dei problemi filosofici per eccellenza: cos’è la felicità? E una volta individuata come la si può raggiungere?

Io sono convinto che oggi diremmo una serie di cose che sarebbero una novità quasi assoluta nella storia dell’umanità. Quindi, io penso, il concetto è del tutto relativo e benché la domanda sia scontata, le possibili risposte non lo sono altrettanto.

Il concetto di felicità è senz’altro mutato con lo sviluppo dell’industrializzazione e l’estensione dell’individualismo. Non mi interessano, qui, le implicazioni politiche o morali della questione. Mi interessa sapere se vi sia stato un incremento della “felicità”, a partire dallo sviluppo della borghesia e dal mutare delle condizioni sociali che essa si è portata dietro.

Per Epicuro, il cui messaggio alle volte è un po’banalizzato, la felicità risiede nell’ “ataraxia” e nell’“aponia”, che, stringi stringi, significano assenza di dolore e calma spirituale. Felicità, dunque, come “assenza”, non come “somma”.

Possedere meno per essere più felici è un motto filosofico e spirituale che tanti fanno proprio. Ma è proprio così?

Altri, materialisti, edonisti, credevano che la felicità non fosse altro che la somma dei singoli piaceri che l’individuo si riusciva a dare nel corso dell’esistenza. In sostanza più singoli piaceri ti dai, più sei felice. Per costoro il desiderio va perseguito e raggiunto, proprio in quanto tale. Il marchese de Sade si è spinto al limite sostenendo che se il sadismo esiste come pensiero, allora va concretizzato.

Tanto per portare un altro esempio estremo, La Mettrie invitava a fare uso di droghe, perché sotto il loro effetto si era finalmente felici.

Per i buddisti è l’esatto contrario da 2.500 anni.


Cos’è la felicità? Siete felici?
Gli esempi che fai sono tutti incontrastabili. Il punto, secondo me, è: di quanta felicità stiamo parlando? Si può quantificare la felicità?
Io sono felice quando ho un piatto di pastasciutta davanti. Sarei più felice se vincessi al Superenalotto così potrei aggiungerci scampi e zucchine. Ma gli scampi costano, così mi accontento e sono felice lo stesso.

Il desiderio di trascendere da se stessi. La smania di evadere. La colpa per molti è la vita penosa che conducono. La monotonia. La voglia di evadere è sempre stato uno dei principali bisogni dell'anima. I modificatori naturali della coscienza sono sempre stati, da tempo immemorabile, conosciuti e usati dagli esseri umani. La scienza, col tempo, li ha resi meno naturali, ma il desiderio di ciò che produce dei cambiamenti nella coscienza, il bel sognare, l'illusione di onnipotenza, il sollievo dall'inibizione, in pratica il bisogno di una vacanza dalla propria intollerabile personalità cosciente, supera purtroppo di gran lunga il pericolo che il "perfezionamento" delle sostanze da assumere per raggiungere la trascendenza dall'Io comporta.
Ma nelle droghe esistenti oggi, il modo in cui le hanno sintetizzate, il danno remoto è, per tutte, sempre maggiore del vantaggio immediato.

Il messaggio di Epicuro si chiama Eroina. L'assenza di dolore e la calma spirituale è l'effetto dell'eroina. Il più micidiale "pain-killer" del mondo.
Durante una premiazione per True Detective, Matthew McConaughey raccontò che una volta chiese a Woody Harrelson come superava quei periodi in cui hai una cosa che ti tormenta, un problema che non sai come affrontare e che si avvicina sempre di più. Disse che Woody stette dieci, venti secondi a pensare. Dopo mezzo minuto gli rispose: "forget about it" (fregatene, dimenticatene, non ci pensare).
Ecco, questo permetterebbe ai piccoli piaceri quotidiani di trasformarsi in felicità. Ma poter permettersi di vivere spensieratamente, non avere incombenze o bollette da pagare, il mutuo o portare fuori il cane a pisciare quando stai vedendo la partita ti darebbe quanto, una spanna di felicità? Ci accontenteremmo? Non vorremmo di più dopo un po'?

Socrate diceva che esiste un mondo ideale al di sopra e al di là del mondo della natura. Non so se intendesse nell'aldilà, ma molti l'hanno cercato con la religione. E quando non ci riescono ricorrono ai surrogati chimici della religione, che sono differenti in ogni area religiosa della terra. Non si tratta di fantascienza. L'impiego di sostanze tossiche per scopi religiosi è incredibilmente diffuso. E spesso lo è pure quando la religione non soddisfa i bisogni di coloro che la abbracciano.

Credete davvero che la coscienza umana abbia fatto passi da gigante e ci siamo evoluti, vero? Quale parte della coscienza, quale livello? Nel campo dell'evoluzione non c'è più discernimento. In certe circostanze l'uomo ne ha meno di tre secoli fa. Oggi è necessario, per combattere la tristezza, tirarsi su di morale con un consumismo sfrenato, che duole solo al portafoglio. Ci sono tanti modi e non mi metterò di certo io a elencarli tutti. Siete tutti dei gran lettori e siete tutti adulti.

Edit: non avevo letto l'ultimo post di ila.
Ila, vai a quel paese :twisted:! Ho scritto tutta quella roba ieri, poi ho preso sonno. Meno male che l'avevo copiata negli appunti e oggi ho dovuto solo incollarla. Poi arrivi tu e lo dici con quattro frasi? ...me lo dicevi prima no, eh? :ABBB
Comunque, a parte gli scherzi, la faccenda è molto più complicata. Ma imbarcarmi più di così, no. Troppo lunga la regata...
 

maclaus

New member
Io vi dico la mia, senza fronzoli e frasi fatte: la felicità non esiste. E' un concetto inventato dall'uomo per riempire il vuoto che ha dentro di sè...
Cerca, cerca, cerca...affannosamente...che cosa? Cerca semplicemente la ragione per cui esiste e la chiama felicità... e la cerca attraverso l'avere, dimenticando l'essere, dimenticando l'essenza di ognuno di noi: la scintilla d'amore che ci ha creati...
L'infinitamente grande è perfettamente uguale all'infinitamente piccolo. Siamo noi che vogliamo dare una dimensione alle cose. Siamo noi che cerchiamo affannosamente quello che siamo... chi non ci riesce vuole riempire il suo vuoto con le cose materiali e la chiama ricerca della felicità.
Ma noi non siamo stati creati per il fine ultimo dell'avere: noi siamo essere.
L'unica cosa che possiedo realmente, l'unica cosa che potrò portare con me nell'altra vita è l'Amore. Nient'altro.
La felicità sta nel dare, non nel ricevere. L'amore è quando dai...quando negli occhi di chi ti sta di fronte riesci a vedere il tuo amore...
 
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