Però credo che spiegare il mondo ai bambini sia compito innanzi tutto dei genitori e solo dopo della scuola.
Io sono un genitore vecchio stampo, di quelli che vogliono fare i genitori e non delegano il proprio ruolo alla scuola.
Il problema è proprio questo, e cioè che il genitore di vecchio stampo, almeno quello all’italiana, non arriva mai in tempo a parlare coi figli di certe cose, perciò è essenziale che a muoversi sia qualcun altro, in primis la scuola e i libri.
Io sono dell'idea che sarebbe meglio smettere di continuare a far polemiche inutili e lasciare ai bambini l'infanzia che giustamente gli appartiene, lasciando agli adulti le stupide beghe di bottega relative alla sessualità
E ritengo che ci sia tempo e luogo per ogni cosa. I bambini hanno diritto a crescere sereni e vanno tenuti fuori dalle cose "degli adulti".
Nei bambini, la sessualità, i relativi dubbi e problemi, viene fuori già a tre anni quando osservano i propri amici/che fare la pipì in maniera diversa da loro, perciò dare loro risposte immediate, chiare e sincere, è la cosa giusta, altrimenti prenderanno per giuste le prime panzane che sentiranno dire dagli altri.
Parlare ai bambini di questi argomenti serve proprio a permettere loro di crescere sereni, non a prepararli ad essere adottati da una coppia di omosessuali (come gli isterici anti-gender vogliono farci credere).
E per crescere sereni bisogna che il bambino capisca e impari a convivere sia con la propria sfera sessuale che con quella dei genitori, compresi quelli eterosessuali che non sono affatto esenti da problemi.
Il punto è che ognuno ha una propria
individualità che può essere legata alla propria sfera sessuale, a quella della famiglia in cui si vive o ad altre circostanze. Individualità che ogni bambino deve scoprire, accettare senza traumi e pretenderne il rispetto.
Vorrei ricordare – a leggere i giornali sembra non sia venuto in mente a nessuno – che la famiglia costituita da un gallo solo o da una papera sola, non deve per forza rappresentare un omosessuale stile Village People, ma anche un vedovo, una ragazza-madre, un divorziato… condizione molto più comune della classica famiglia formato Barilla o Mulino Bianco, e che i bambini avvertono e subiscono da una società che non li capisce e spesso condanna.
Mio figlio a tre anni era pronto per lasciare il velocipede e passare alla bicicletta.
Un mio amico mi dice <<se vuoi quella di mia figlia è nuova.>>
<< Perfetto >> ho detto io, e l’ho presa.
Da allora ogni weekend sono andato a pedalare sulla passeggiata tra Framura e Levanto, io sono dimagrito (un po’) e a lui sono venute delle cosce così.
Ovviamente, siccome la gente non si fa i cavoli propri, si sentiva domandare << ma sei un bambino o una bambina? Perché hai la bicicletta rosa? >>
Siccome mio figlio è equilibrato rispondeva sereno <<un bambino>> e ripartiva scomparendo in fondo alle gallerie.
Poi un giorno non ha più voluto la bici perché gli altri bambini lo dileggiavano e gli davano della femminuccia. Allora gli ho spiegato che il rosa è un colore come un altro, gli ho fatto vedere su youtube che è tipico delle moto da cross, che se qualcuno gli dice qualcosa deve spiegare quanto sopra, e che se non capiscono e insistono nel dileggiarlo, che dia loro un bel calcio nelle palle: almeno capiranno di farsi i cavoli loro.
Da allora ha ripreso la bici e tornato ad essere felice come prima.
Parliamo di un bambino sereno e determinato e del colore di una bicicletta: ma se fosse stata una questione più delicata, sarebbe stato così semplice superare il problema?
Quando ero bambino (parlo della fine degli anni 70, primi 80) mi mandavano nelle colonie estive del comune: un branco di disadattati che per 2 settimane venivamo mollati in montagna o al mare per riversare i nostri problemi su noi stessi, sugli altri, su chiunque, purchè lontani dalle famiglie.
Una volta – avrò avuto 12 anni - eravamo in campeggio in montagna e ricordo che un gruppo di ragazzi si divertiva a prendere le ranocchie e gonfiarle fino a farle scoppiare, oppure scovavano i pipistrelli e li crocifiggevano. Io non tolleravo tutto ciò, intervenivo e finiva sempre in una zuffa.
Dopo qualche giorno, mentre noi maschi facevamo la doccia nei nostri bagni, sentiamo trambusto in quelli delle femmine. Usciamo e dalle urla delle ragazze scopriamo che una bambina, molto più robusta, villosa, sviluppata nel seno e introversa delle altre, era stata cacciata dalle docce dalle altre bambine perché aveva il pene. Ricordo che alcuni ragazzi iniziarono a fare domande, ma dai toni era evidente che il loro scopo non era proprio capire…
<< Ma sei un bambino o una bambina? >>
<< … bambina… >>
<< Ma hai il ***** o la fica? >> e tutti a ridere.
<< … il pisello … >>
<< E allora sei un maschio. >>
<< Non è vero, perché ha le tette >> e tutti che ridevano.
<< Dai, facci vedere. >>
<< … non voglio…>>
<< Ma a loro lo hai mostrato. Perché a noi no? >>
Io assistevo all’interrogatorio zitto, allibito e curioso.
Insomma, che per un paio di giorni la bambina fece la doccia da sola, dopo che tutti gli altri erano usciti, in compagnia di un adulto, ma poi interruppe la vacanza e se ne tornò a casa anzitempo.
Se qualcuno – la mia famiglia, la scuola, un libro, chi se ne frega chi! mi avessero insegnato certe cose, mi avessero aiutato a sviluppare anche per quella bambina la sensibilità e il rispetto che già avevo e pretendevo per rane e pipistrelli, non dico che sarei riuscito a salvarle l’estate, ma almeno l’avrei fatta sentire meno sola e avrei avuto un’amica in più.
Ai bambini va insegnato da
subito ciò che è giusto e a difenderlo a ogni costo, a essere buoni e forti, e perciò che il branco (a una certa età della crescita è inevitabile) deve servire a proteggere i più deboli, non a vessarli.
Altrimenti gli adulti, non serviamo a niente.