Koestler, Arthur - Buio a mezzogiorno

Grantenca

Well-known member
E’ la storia di un eroe della rivoluzione russa , caduto in disgrazia all’epoca delle purghe staliniane e imprigionato in attesa di un processo il cui esito appare “scontato”. In carcere, tra contatti fugaci con gli altri prigionieri che si rivelano molto utili ed in perfetta sintonia con l’argomento del libro egli ripercorre la sua storia, soprattutto gli ritornano alla mente immagini e fatti di avvenimenti in cui egli è stato protagonista inflessibile e nei quali ha anteposto gli interessi superiori della riuscita di una rivoluzione che, in teoria, avrebbe dovuto migliorare la vita del mondo intero, a qualsiasi considerazione di ordine umano e morale, e nei quali ha sacrificato, magari non direttamente e magari solo evitando di intervenire, la vita di persone che gli erano state vicine e che qualche sentimento umano, pur nella sua follia idealista, gli avevano ispirato. Mai comunque un’ombra di pentimento, anche quando si rende conto che tutto è perduto, dal momento che si possono ingannare gli altri ma non se stessi. La sua tensione morale riesce a giustificare tutto e anche quello che gli sta accadendo in nome di questo “ideale”. Addirittura negli interrogatori, emblematici, condotti da un suo compagno di gioventù che ha capito tutto, e nei quali si toccano i moltissimi temi della rivoluzione, dal passato al presente, e anche i temi più scabrosi, come l’abbandono a morte certa di milioni di contadini (probabilmente morivano lo stesso è la giustificazione, e comunque il loro sacrificio potrà essere (forse) la salvezza di future generazioni). Questo compagno cerca di convincerlo a salvarsi, non certo per amicizia o rispetto e considerazione, ma probabilmente per una sorta di complicità generazionale e, proprio per questo, come lui, sta rischiando la vita, travolto anche lui dal nuovo. Capisce chiaramente che la rivoluzione, così come si sta sviluppando, con la soppressione sistematica di ogni testa pensante, la scomparsa (non solo in senso metaforico) della vecchia classe dirigente, che pur da qualche ideale era mossa, sostituita da nuovi funzionari magari di modestissimo livello culturale ma di solidissima fede ed in perfetta sintonia con ii dittatore che comanda senza contradditorio, tenacemente attaccati al loro posto di privilegio, è solo un ferocissimo esercizio di mantenimento del potere, in uno stato di terrore e polizia, senza alcun altro ideale, e lui, alla fine, giustifica anche questo, (l’assioma machiavellico del fine che giustifica i mezzi) come fosse un “disegno superiore” una “ulteriore fase” per arrivare comunque all’affermazione dei propri ideali, e con la sua ammissione di colpevolezza nel pubblico processo rende anche un ultimo servizio al partito. L’unica fortuna che ha avuto è quella di non aver potuto vedere la caduta di ogni sua illusione dal momento che la storia, oggi come oggi, ha condannato come del tutto utopistiche quelle idee, che pur hanno sulla coscienza milioni di morti. Il libro è comunque molto bello; Rubasciov, il protagonista, è una figura immaginaria ma devo dire che appare più vera di una figura reale, e si può dire che da questo testo si possono capire certi meccanismi di quella ferocissima dittatura come da un trattato di storia. Direi inoltre che il libro , oltre che molto ben fatto (e questa è la sua qualità migliore) è anche molto istruttivo. Certamente non è un romanzo d’evasione e richiede un certo impegno ed attenzione nella lettura.
Avevo letto questo libro in un’altra età e l’avevo apprezzato e sono rimasto abbastanza sorpreso nel non trovarlo tra i libri recensiti. Per questo mi è venuta l’idea di rileggerlo per valutarne l’effettiva consistenza.
Contrariamente a quanto accade, quasi sempre, in questi casi, l’ho nuovamente apprezzato.
Aspetto, con fiducia, qualche contributo e aiuto dagli amici del forum.
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
E’ la storia di un eroe della rivoluzione russa , caduto in disgrazia all’epoca delle purghe staliniane e imprigionato in attesa di un processo il cui esito appare “scontato”. In carcere, tra contatti fugaci con gli altri prigionieri che si rivelano molto utili ed in perfetta sintonia con l’argomento del libro egli ripercorre la sua storia, soprattutto gli ritornano alla mente immagini e fatti di avvenimenti in cui egli è stato protagonista inflessibile e nei quali ha anteposto gli interessi superiori della riuscita di una rivoluzione che, in teoria, avrebbe dovuto migliorare la vita del mondo intero, a qualsiasi considerazione di ordine umano e morale, e nei quali ha sacrificato, magari non direttamente e magari solo evitando di intervenire, la vita di persone che gli erano state vicine e che qualche sentimento umano, pur nella sua follia idealista, gli avevano ispirato. Mai comunque un’ombra di pentimento, anche quando si rende conto che tutto è perduto, dal momento che si possono ingannare gli altri ma non se stessi. La sua tensione morale riesce a giustificare tutto e anche quello che gli sta accadendo in nome di questo “ideale”. Addirittura negli interrogatori, emblematici, condotti da un suo compagno di gioventù che ha capito tutto, e nei quali si toccano i moltissimi temi della rivoluzione, dal passato al presente, e anche i temi più scabrosi, come l’abbandono a morte certa di milioni di contadini (probabilmente morivano lo stesso è la giustificazione, e comunque il loro sacrificio potrà essere (forse) la salvezza di future generazioni). Questo compagno cerca di convincerlo a salvarsi, non certo per amicizia o rispetto e considerazione, ma probabilmente per una sorta di complicità generazionale e, proprio per questo, come lui, sta rischiando la vita, travolto anche lui dal nuovo. Capisce chiaramente che la rivoluzione, così come si sta sviluppando, con la soppressione sistematica di ogni testa pensante, la scomparsa (non solo in senso metaforico) della vecchia classe dirigente, che pur da qualche ideale era mossa, sostituita da nuovi funzionari magari di modestissimo livello culturale ma di solidissima fede ed in perfetta sintonia con ii dittatore che comanda senza contradditorio, tenacemente attaccati al loro posto di privilegio, è solo un ferocissimo esercizio di mantenimento del potere, in uno stato di terrore e polizia, senza alcun altro ideale, e lui, alla fine, giustifica anche questo, (l’assioma machiavellico del fine che giustifica i mezzi) come fosse un “disegno superiore” una “ulteriore fase” per arrivare comunque all’affermazione dei propri ideali, e con la sua ammissione di colpevolezza nel pubblico processo rende anche un ultimo servizio al partito. L’unica fortuna che ha avuto è quella di non aver potuto vedere la caduta di ogni sua illusione dal momento che la storia, oggi come oggi, ha condannato come del tutto utopistiche quelle idee, che pur hanno sulla coscienza milioni di morti. Il libro è comunque molto bello; Rubasciov, il protagonista, è una figura immaginaria ma devo dire che appare più vera di una figura reale, e si può dire che da questo testo si possono capire certi meccanismi di quella ferocissima dittatura come da un trattato di storia. Direi inoltre che il libro , oltre che molto ben fatto (e questa è la sua qualità migliore) è anche molto istruttivo. Certamente non è un romanzo d’evasione e richiede un certo impegno ed attenzione nella lettura.
Avevo letto questo libro in un’altra età e l’avevo apprezzato e sono rimasto abbastanza sorpreso nel non trovarlo tra i libri recensiti. Per questo mi è venuta l’idea di rileggerlo per valutarne l’effettiva consistenza.
Contrariamente a quanto accade, quasi sempre, in questi casi, l’ho nuovamente apprezzato.
Aspetto, con fiducia, qualche contributo e aiuto dagli amici del forum.

è una storia vera narrata in prima persona?

lo metto senz'altro in wish
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
«in quei giorni abbiamo fatto la storia; ora voi
fate della politica. La differenza è tutta qui.»
Nella seconda metà degli anni '30, per volontà di Stalin, vennero attuate le cosiddette "purghe staliniane", epurazioni di tutti i quadri dirigenti del Partito Comunista che si opponessero alla linea politica del dittatore e, con loro, di tutti coloro che si pensava fossero avversi al regime. Si parla di milioni di persone uccise, arrestate, deportate, condannate con processi farsa… in una parola epurate in modo sistematico dalla polizia. Nicolaj Salmanovic Rubasciov, il protagonista del celeberrimo "Buio a mezzogiorno" di Arthur Koestler, era uno di loro.
Ex commissario del popolo, stimato e rispettato comandante partigiano, oratore capace, Rubasciov viene arrestato con una alquanto generica accusa di tradimento. Mentre trascorre da solo la sua prigionia percorrendo a grandi passi la cella dalla porta alla finestra, l'uomo riflette sull'operato della sua intera vita, ripercorrendo i ricordi che la sua mente gli presenta come flash non ordinati ed apparentemente casuali: alcuni gli procurano un senso di pace, quasi di soddisfazione, altri invece scatenano il mal di denti provocatogli da un ascesso doloroso che tanto somiglia ad un tarlo che lo rode dall'interno. Scrive il suo diario, Rubasciov, e quando può comunica con il prigioniero della cella affianco con il linguaggio universalmente noto a tutti i carcerati, perché sebbene abbia tempra di guerriero, anche per lui la solitudine si fa sentire e pensieri e dubbi talvolta divengono pesanti. Tra un interrogatorio e l'altro riflette, Rubasciov, sul suo destino e su quello del popolo per cui ha sacrificato tutto, l'umanità, l'ambizione, le amicizie, i rapporti umani. E se il risultato ha portato a questa generazione "senza cordone ombelicale", giunge, Rubasciov, a chiedersi se non abbia sacrificato troppo. Umanità o politica, dunque? Abnegazione per il Partito o riscatto e amor proprio?
Pubblicato per la prima volta nel 1940, "Buio a mezzogiorno" è un libro rivoluzionario, non solo per i contenuti – perché parla di rivoluzione e lo fa con cognizione di causa – ma perché lo fa in un'epoca in cui il dissenso non era tollerato, in un'epoca troppo vicina ai fatti perché le sue parole passino inosservate. Ma vi è di più: in questo suo J'accuse, Koestler non critica solo il Partito ed i suoi sistemi repressivi, ma anche gli stessi rivoluzionari, la vecchia guardia comunista che ha tradito i suoi stessi ideali pur di salvare la pelle, e in ultimo si scaglia contro "le masse", contro quel popolo che dapprima osanna ed imporpora i suoi beniamini per poi rivoltarsi contro di loro e condannarli alla massima pena.
"Buio a mezzogiorno" è, dunque, sì un'opera di denuncia sociale, ma non solo: ci porta a riflettere sulla caducità delle opinioni, delle ideologie, delle correnti; ci mostra con chiarezza quanto siano dannosi gli estremismi e quanto sia facile che le cose cambino, si capovolgano ed in un momento il carceriere diventi carcerato (vedere il personaggio di Ivanov).
La scrittura di Koestler è limpida, appassionata eppure di una lucidità schiacciante. Si prova, per tutta la durata della lettura, quel senso di ineluttabilità della prigionia, quasi che noi la vivessimo con Rubasciov. E così ci ritroviamo a seguire partecipi i suoi stessi ragionamenti, i dubbi, gli interrogatori. No, non sempre concorderemo o parteggeremo per lui, ma questo contribuirà a farci capire quanto sia stato intellettualmente onesto l'autore nel raccontare una situazione in cui non ci sono vincitori né vinti e gli errori sono di tutti. È proprio quest'onestà intellettuale la cifra distintiva del romanzo che lo rende un classico immancabile fra le letture di chi ama interrogarsi sulla storia, sulla portata delle scelte – sia dell'individuo sia delle istituzioni – e sul comportamento degli uomini in situazioni di grande stress. Ancora di più, questo libro non può mancare nella libreria di chi vuole capire un'epoca di grandi cambiamenti che ha portato, poi, alla società dei giorni nostri.
 
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