Sono abbastanza convinta che questo libro lo si apprezzi di più ad una seconda lettura. Non perchè la prima non sia sufficiente a cogliere il suo valore e la sua originalità, ma perchè credo che, conoscendo già l’evolversi dei fatti e riuscendo così a cogliere i collegamenti fra l’uno e l’altro, si riesca a sentirne più distintamente la coerenza e l’intento unitario. Ne ho avuto conferma quando, al termine della lettura, ho ripercorso velocemente i punti salienti della vicenda, appunto per cercare di leggervi dentro quel “filo rosso” che in alcuni momenti avevo sentivo sfuggirmi via.
Le prime pagine mi hanno straordinariamente colpito per la vivacità, l’arguzia, la gioiosa ironia: ho sentito di avere fra le mani un possibile capolavoro. Poi, in alcuni punti a partire da metà libro, ho temuto anch’io di “perdere il filo”, anche se comunque non ho mai smesso di divertirmi e di sorprendermi. Pur con un certo sforzo, sentivo che un “disegno” complessivo c’era, un filo rosso che unisse i diversi episodi, i quali altrimenti si svolgerebbero quasi indipendentemente l’uno dall’altro: la pentola dell’oro viene “rubata” ma non ne sappiamo più nulla fino a fine romanzo; i bambini vengono “rapiti” e poi restituiti immediatamente; Caitilin si unisce a dio Pan ma poco più avanti lo abbandona a favore di Angus Og.
L’unico filo rosso che sono riuscita a individuare è il percorso di maturazione del Filosofo, che nelle prime pagine ci sembra tutto fuorchè un vero filosofo pervaso da una vera saggezza, la quale dovrebbe essere allo stesso tempo intelletto e buon senso, astrazione e realtà. Al contrario, nei primi paragrafi i due Filosofi (eh sì... all’inizio sono due!) ci vengono presentati con grande ironia, quasi l’autore volesse prenderli in giro: vivono in un mondo tutto loro e, non solo non sono capaci di dare consigli efficaci, ma non sembrano in grado neppure di ascoltare chi hanno di fronte (il loro continuo interrompere con un secco “No” è il leit motiv più divertente di tutto il romanzo!). Tutt’altra cosa le loro mogli, più “rozze” ma dotate di un forte senso pratico e di sentimenti più “umani”.
Accadono una serie di fatti e il Filosofo si ritrova al cospetto del dio Pan, con l’iniziale proposito di “salvare” la virtù di Caitilin, che presume minacciata, e l’esito di questo incontro è tutto diverso da quello che si sarebbe aspettato. Chi è a salvare chi? Quel che è certo è che, senza che se ne renda conto, dopo l’incontro con Pan il Filosofo non è più lo stesso: messo da parte il Pensiero, che solo fino ad allora aveva guidato le sue scelte e determinato la sua scala di valori, egli torna “bambino”, poichè per la prima volta percepisce la realtà, il movimento, l’emozione. Egli per la prima volta sente. Sente la fame, ad esempio, e la condivisione del cibo con gente di passaggio diventa un momento fondamentale, quasi un rituale. Ma, come un bambino, il suo sentire è immaturo: ubriacato dalla vita che ha appena scoperto, egli ad esempio non riesce a tollerare la sofferenza della vecchia, il suo pensiero la disturba, perchè il suo percorso di maturazione non è ancora completo ed egli non sa cosa sia la condivisione, l’empatia.
Dopo una serie di altri incontri, il Filosofo finalmente raggiunge lo scopo del suo viaggio: essere al cospetto di Angus Og. Qui la narrazione si interrompe momentaneamente per spostarsi su Angus Og stesso, in occasione però del suo incontro con Cailitin e della sua “disputa” con Pan per contendersi il cuore della fanciulla. É questo il cuore del romanzo e, allo steso tempo, il punto che ho trovato più ostico: intriso di filosofia, il diverbio fra i due dei rischia di mantenersi su un piano puramente teorico. Parole bellissime (sopratutto quelle di Angus Og) ma... solo parole.
Questo incontro-scontro fra le due divinità di fatto sostituisce il racconto dell’incontro personale del Filosofo con Angus Og. Bisogna sottolineare, per chi non conoscesse i miti irlandesi (come me fino ad ora), che Angus Og è il dio dell’amore, della vita, in senso meno “orgiastico” rispetto a Pan, più profondo. Il risultato è che, nel viaggio di ritorno a casa, il Filosofo è nuovamente trasformato e sembra aver raggiunto finalmente la completezza, la maturità: lo dimostra il fatto che, da questo momento in poi, ogni volta che incontra qualcuno, i suoi consigli, i suoi gesti, la sua sola presenza diventano qualcosa di positivo. Il Filosofo ha imparato la condivisione, l’ascolto, e l’esperienza in prigione segna l’apice di questo nuovo modo di sentire non solo “la Terra” ma “le creature che la abitano”.
A dare voce e carattere a questo percorso di consapevolezza (di cui non racconto la conclusione), una narrazione vivace, dai toni leggeri e fiabeschi, in cui a farla da padroni sono creature mitologiche e personaggi strambi, al limite del surreale. Una narrazione che diverte, sorprende, coinvolge e fa pensare, senza per questo farsi promotrice di una qualche univoca verità. Una lettura gradevolissima e molto, molto particolare.