Asensi, Matilde - Il ritorno di Catone

GermanoDalcielo

Scrittore & Vulca-Mod
Membro dello Staff
Dopo quattordici anni dalla conclusione de L’ultimo Catone, Ottavia Salina è di nuovo coinvolta in una missione misteriosa, una ricerca nelle pieghe più oscure del Cristianesimo. Smesso l’abito da suora e chiuso ogni rapporto con il Vaticano, suo massimo committente nella decifrazione di antiche scritture, oggi Ottavia è una brillante ricercatrice di Paleografia all’Università di Toronto innamorata del marito, l’archeologo Farag Boswell. Tuttavia è molto difficile essere al sicuro quando si è custodi di un passato eccezionale. Una coppia di multimilionari appassionata di antichità e reliquie, infatti, individuato il talento di Ottavia e Farag, li coinvolge nella ricerca degli ossari contenenti i resti di Gesù e della sua famiglia. Un’indagine che vede protagonista anche l’ormai dimenticato ultimo Catone, che qui ritorna dopo una lunga ed enigmatica assenza. Insieme a lui e ad Abby, l’elegante erede dei ricchi mecenati, Ottavia e Farag entreranno così in una spirale di avventure. Tra Mongolia, Turchia, Italia e Israele, affronteranno inseguimenti, agguati e rivelazioni che sembrano giocare con il loro destino come una maledizione lanciata dall’abisso dei secoli. Viaggio nei misteri del Cristianesimo, giallo teologico, ecco l’appassionante seguito, atteso ormai da anni, de L’ultimo Catone: un’opera di raffinata ricerca storica e inarrestabile fantasia che Matilde Asensi finalmente consegna ai suoi lettori.

Serbo un bel ricordo de "L'ultimo catone", il romanzo che precede questo, mi aveva tenuto incollato alle pagine fino a fare le ore piccole più di una sera. Di questo sequel, invece, avremmo fatto volentieri a meno.
Parto col dire che Matilde Asensi ha un vizio deprecabile: confonde la narrativa di intrattenimento con la saggistica storica. Vorrei chiederle come può pensare che a un lettore interessino gli alberi genealogici delle famiglie mongole del XII o XIII secolo, con tutti quei nomi in Khan che non fanno altro che confondere; come può pensare che un lettore a digiuno di lettere classiche non sia tentato di saltare a piè pari le due pagine sulle ruote che contengono l'alfabeto greco, latino, siriaco ed ebraico; come può pensare che la corrispondenza epistolare di Marco Polo con una donna dell'epoca sia più avvincente di quella lagna de "Il Milione".
Il succo del mio discorso è che su 576 pagine almeno 200 sono inutili nell'economia della storia. Figlia mia, non siamo nell'800 quando i romanzieri venivano pagati per il numero di parole che sfornavano. Cosa c'azzecca piazzare una rimpatriata della protagonista a Palermo lunga almeno 50 pagine all'interno di un libro che verte sulla ricerca dei resti di Gesù Cristo? Era funzionale, questo viaggio a casa, per approfondire la psicologia della Salina? Non era già abbastanza odiosa, insopportabile, incoerente, ridicola nelle prime 150 pagine? Era così necessario farla apparire anche fragile, umana, sensibile, sotto la scorza di diffidenza e cinismo ostentata fino a quel momento?
Per favore.
Il libro non mi è piaciuto anche per lo stile e la tecnica narrativa. Non aiuta di certo la narrazione in prima persona, autocompiaciuta, forzata, a tratti ridicola quando la suora vuole farsi valere o impuntarsi su qualcosa. Imbarazzante l'involuzione che ha subìto Matilde negli ultimi lavori (mi erano andati di traverso anche "Tutto sotto il cielo" e la trilogia di Cortés o come si chiama).
Che dire dei personaggi? Privi di sfaccettature, fatti con lo stampino, marionette senz'anima. La sensazione che si ha nel leggere le battute dei dialoghi è inverosimiglianza e mancanza di naturalezza.
La storia? Tipico romanzo incentrato su una "query", in questo caso le spoglie di Gesù e della sua famiglia, che avrebbe potuto essere oltremodo interessante e intrigante, ma che invece nelle mani di un'autrice ormai involuta e spenta, si è rivelato di una noia vessante, trascinandosi lentamente e a fatica verso un finale a tarallucci e vino di una banalità desolante. Perlomeno ha avuto la decenza di far morire almeno un personaggio, questo sì. Non si dica che Matilde Asensi è una buonista romantica.
 
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