Sciascia, Leonardo - Il giorno della civetta

l giorno della civetta è un romanzo di Leonardo Sciascia, terminato nel 1960 e pubblicato per la prima volta nel 1961 dalla casa editrice Einaudi.

Il racconto trae lo spunto dall'omicidio di Accursio Miraglia, un sindacalista comunista, avvenuto a Sciacca nel gennaio del 1947 ad opera della mafia.

Sciascia aveva già iniziato a scrivere di mafia nel 1957 recensendo il libro di Renato Candida, comandante dei carabinieri ad Agrigento, al quale l'autore si ispira per il personaggio, protagonista del romanzo, Bellodi.

La prima edizione venne anticipata sulla Rivista "Mondo Nuovo" del 9 ottobre 1960 e la prima edizione comparve con una "Nota" che dichiarava la verità sottintesa alla finzione del romanzo scritta in una libertà non piena ma significativa nei confronti di una letteratura che fino a quel momento aveva fornito della mafia una rappresentazione apologetica e di una società che, negli organi politici e d'informazione, ne negava addirittura l'esistenza.
Il giorno della civetta è il primo romanzo «giallo» pubblicato da Sciascia. E' il suo libro più famoso e più venduto, il primo a essere tradotto all'estero, a godere l'onore e l'onere di versioni teatrali e cinematografiche, a muovere entusiaste «calviniane» recensioni o interessate e malaccorte stroncature. Edito nel 1961 ha il vezzo dell'anticipazione storica e il pregio dell'azzardo letterario. Lo scrittore di Racalmuto, quando di certi «garbugli» si sussurrava appena o il cardinal Ruffini (Ernesto Ruffini, cardinale di Palermo dal 1946 al 1967, ndr) li liquidava come «un'invenzione dei comunisti», mette in prosa la mafia e la sua modernità. e fa motivo d'ispirazione civile e morale, di ricerca esistenziale nonchè fonte inesauribile di risorse narrative. E lo fa prediligendo spesso la forma descrittiva del giallo. Ne fa motivo d'ispirazione civile e morale, di ricerca esistenziale nonchè fonte inesauribile di risorse narrative. E lo fa prediligendo spesso la forma descrittiva del giallo.
Di sciasciane virtù brilla appieno Il giorno della civetta. «Giallo che non è un giallo» per Calvino, «smontato» e inconsueto, certamente mediterraneo, lontano mari e monti dalla tradizione anglosassone, forte d'un racconto che scorre in piena luce, tra fatti subito svelati e privatissimi legami, in una Sicilia appunto dove, ancora Calvino, «...tutto è limpido, cristallino: le più tormentose passioni, i più oscuri interessi, psicologia, pettegolezzi, delitti, lucidezza, rassegnazione, non hanno più segreti, tutto è ormai classificato e catalogato...» ma dove, come nella migliore partita di scacchi, tutto è da narrare e scoprire.
Trama lineare dunque che fila decisa tra personaggi e ambienti, polvere e scirocco, vittime e colpevoli. Ci troviamo in un paese dell'hinterland palermitano dove viene ucciso Salvatore Colasberna, modesto impresario edile. Contemporaneamente scompare Paolo Nicolosi, di professione potatore. Il capitano Bellodi, giovane ufficiale dei carabinieri originario di Parma, affronta, assieme al maresciallo Ferlisi, la situazione con intelligenza e lucidità. Connette i fatti, fiuta l'angoscia della vedova Nicolosi, scarta la pista passionale, blandisce il confidente Parrinieddu. Da lui ottiene un nome e, in articulo mortis, una confessione epistolare.
Romanzo amaro, giallo inconsueto, dicevamo, profondamente laico e anticipatore. Romanzo di forti contrapposizioni però e deciso a suscitarne di altrettante forti e motivate. C'è contrapposizione di caratteri tra i personaggi. Contrapposizione tra chi pensa ai «metodi forti dei tempi di Mori» e chi, come il capitano Bellodi, li rifiuta. Contrapposizione tra chi vede la mafia e chi la nega. Contrapposizione di «uomini e non», anzi per dirla con le categorie di Don Arena, di «uomini e mezz'uomini, di ominicchi, piglianculo e quaquaraquà». Contrapposizione infine tra Italie diverse, a Sud e a Nord della «linea della palma», fotografate all'alba d'un miracolo economico già denso di poteri occulti e speranze disattese.

L'ho appena finito e credo davvero di esser rimasta colpita tanto dalla scorrevolezza della prosa quanto dall'attualità dei temi trattati. La sua aurguzia, poi, ha reso l'opera immune da ogni stereotipia e banalizzazione.Insomma, bravo bravo bravo!
 
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elena

aunt member
Semplicemente stupendo!!!!
Concordo in pieno con chi lo definisce il "capolavoro" di Sciascia.......pensando anche all'epoca in cui è stato pubblicato ....si può veramente considerare, per i temi affrontati, un precursore di una lunga serie di libri sull'argomento!!!!
 

Mrs. Rog

New member
A me non è piaciuto molto..certo è realistico e rispecchia la realtà...però l'ho trovato noioso...
 
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Solo il fatto che l' umanita' dopo questo libro e' stata divisa in 5 categorie...
« Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà… Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini… E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi…E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito… E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre… Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo… »
(don Mariano Arena al capitano Bellodi)
...vale un bel 5\5.

Da notare peraltro che comunemente, forse anche a causa del film, si sono sostituiti i pigliainculo (con rispetto parlando) con i cornuti.
 

ayuthaya

Moderator
Membro dello Staff
Brevissimo commento (come non siete abituati da parte mia :mrgreen:) per dire che ho trovato questo racconto lungo/romanzo breve, che dir si voglia, assolutamente perfetto.
Gli ingredienti ci sono tutti: una trama avvincente, la giusta dose di suspence (non dico equiparabile a quella di un giallo classico, ma ci siamo vicini), uno stile ineccepibile e, soprattutto, un briciolo di Verità. Dico un "briciolo" non per sminuire gli intenti e i risultati di quest'operazione difficile e coraggiosa (immagino fosse una delle prime grandi "rivelazioni" sulla mafia di quei tempi), ma anzi per sottolinearne ancora di più la portata: perchè la Verità mantiene la sua natura in qualunque quantità essa si offra... e un solo briciolo di Verità vale più di mille storie. Per cui quando è un romanzo - che non è denuncia, non è processo, non è confessione, ma è letteratura, che trasfigura tutte queste cose - a rivelarci questo squarcio, io credo che non si possa fare molto di più che restarne sorpresi e ammirati. E consigliare caldamente questo libro a chiunque.
 
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velvet

Well-known member
Riletto dopo tanti anni perché non ne ricordavo più che i tratti salienti, mi è piaciuto di nuovo molto, come se lo leggessi per la prima volta.
Come avete già detto da apprezzare perché precursore di una lunga serie di romanzi e racconti di quello che poi diventerà un genere, in tempi in cui l'esistenza della mafia e soprattutto la denuncia della connivenza non erano per niente scontate, anzi spesso negate con veemenza nel romanzo come nella realtà.
Uno spaccato di Sicilia dipinto con perfezione e con una cifra stilistica di pregio e inconfondibile. Voto 5/5.
 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
Sciascia pubblicava questo romanzo nel 1961 in clima politico negazionista rispetto alla realtà della mafia portando avanti una tesi che a mafia non contro lo stato ma è dentro lo stato. Cosa chiarissima al giorno d'oggi, profetica in quegli anni. La sua scrittura lucida, sintetica, affilata e lineare è cosa rara per uno scrittore che denuncia pubblicamente le storture del potere, lui sa, come Pasolini, anche se non ne ha le prove.
 

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Dopo aver letto Todo modo e non averlo compreso appieno - problema mio - mi sono avvicinata quasi con paura, o forse con timore reverenziale, a questo libro. Allo stesso tempo, come si può avere in casa Il giorno della civetta e non leggerlo?
Se è considerato il capolavoro di Sciascia, i motivi ci sono tutti.
"Un giallo", brillante e ben congegnato, "che non è un giallo", scrive Calvino, perché in realtà il giallo è solo un pretesto per scrivere un'arguta e assai coraggiosa denuncia e descrizione della mafia, degli abusi di potere e dell'omertà della gente. Quando le parole vengono usate in questo modo, un romanzo è più efficace di tanti articoli di cronaca. Pur spingendo (tuttora) alla riflessione, è un libro anche ironico e divertente (soprattutto nella prima parte, quella che si svolge sull'autobus subito dopo l'omicidio e che ci mostra in maniera diretta e immediata il mondo che lo scrittore vuol raccontarci. Indimenticabile il "panellaro").
Curioso, seppur inquietante, il significato del titolo: una volta la mafia agiva in segreto, era un animale notturno come la civetta, ora invece il suo potere è talmente cresciuto che agisce alla luce del giorno.
 

Pimpa

New member
non esiste in tutto il resto una reale Descrizione Dei personaggi, che tuttavia risulta chiarissima mediante i dialoghi esemplari e le opinioni degli stessi che li rendono quasi visibili nel l’iro realismo
 

francesca

Well-known member
Romanzo breve di una forza dirompente. Tenuto conto di quando è stato scritto, si sente ancora la forza con cui deve aver cercato di squarciare la coltre di silenzi e occultamenti riassunta nella famosa frase: la mafia non esiste.
Con uno stile asciutto, quasi didascalico, qualche parola dialettale sapientemente riportata per rendere i dialoghi vivi, Sciascia utilizza gli occhi del commissario Bellodi, emiliano di Parma, fervido credente nella giustizia e osservatore imparziale, per raccontare la complessità degli intrecci che imprigionano e soffocano tutta un paese, una regione, con cerchi concentrici che via via si allargano fino ad inglobare tutta una nazione.
Scritto nel 1960, trae spunto da un omicidio di mafia avvenuta nel 1947.
Letto con occhi del 2000 inoltrato mostra ancora la sua forza perché rappresenta quasi il punto di partenza: ripensando a quanto è stato fatto fino ad ora nella lotta contro la mafia, dolorosamente punge la consapevolezza di quanto non è stato ancora fatto.
Il pericolo è di passare dalla frase: “la mafia non esiste”, a “la mafia non esiste più”.
Libri come questo di Sciascia devono essere letti e riletti continuamente, perché ci aiutano a ricordare da dove siamo partiti in questa lotta.
 
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