Allen, Woody - Irrational man

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In attesa di vedere nei prossimi giorni il nuovo lavoro del grande e meraviglioso Woody
-ma Emma Stone , quando sgrana gli occhi in modo innocente la seguirei anche nella giungla cambogiana......-

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copio sotto la recensione di Nicolo' Barison, che lo introduce.
V.A

Joaquin Phoenix è Abe Lucas, professore di filosofia alcolizzato e depresso che ha perso ogni gioia di vivere. Appena arrivato in un’università di una piccola cittadina, Abe conosce Jill Pollard (Emma Stone), una studentessa tediata dalla monotona vita che conduce con il suo fidanzato. Un giorno Abe ascolta per caso l’infelice storia di una donna e il desiderio di aiutare questa sconosciuta porterà l’insegnate a prendere una decisione radicale che innescherà reazioni a catena inaspettate. Questa scelta irrazionale cambierà per sempre l’esistenza di Abe, il quale, finalmente, avrà uno scopo nella vita.

Con Irrational man, Woody Allen riprende le atmosfere thriller di Match Point e Sogni e delitti (ma anche del più datato Crimini e misfatti), dimostrando di avere ancora tanto da dire, nonostante gli anni che avanzano. Il film comincia in sordina nel presentare i vari personaggi che si muovono in questo campus universitario dotato di ogni confort, per poi passare, nella seconda parte, ad un’atmosfera decisamente hitchcokiana in grado di creare, nonostante il tono del film sia tutt’altro che cupo, un tensione crescente in grado di attirare completamente l’attenzione dello spettatore. Gli elementi cari ad Allen ci sono tutti: il nichilismo, la depressione, gli strizzacervelli, il pessimismo contrapposto alla gioia di vivere, il caos e la casualità che governano l’esistenza umana, l’ossessione per il delitto perfetto. Inoltre, è molto interessante riflettere sulla figura di Abe, interpretato magistralmente da un grande Joaquin Phoenix con la pancetta, che non si sforza nemmeno di trattenerla, anzi. La totale passività di Abe, la sua inazione e la razionalità, lasciano spazio, grazie ad un evento casuale, all’irrazionalità, alla volontà e all’azione. Abe decide di agire seguendo l’istinto e, lasciando da parte la morale kantiana di cui parla nelle sue lezioni all’università, porterà la sua vita oltre il limite, accettando le estreme conseguenze che ne possono derivare.


Irrational man è l’ennesima prova del fatto che il buon Woody non sia da pensionare (anche se alcuni, a torto, se lo augurano da tempo), ma, al contrario, è sempre in grado di scavare in profondità, mettendo a nudo l’umanità e le sue contraddizioni. Lasciando da parte il cinepanettone To Rome with love, sicuramente il peggiore Allen degli ultimi anni, Woody è ancora capace di costruire dei film davvero interessanti, sia nelle commedie pure (vedi Midnight in Paris), che nei drammi (l’eccellente Blue Jasmine) o, come in questo caso, nei thriller.



Nicolò Barison
 

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Il vecchio Woody ci prende in giro. Si diverte, palesemente a sfotterci.
Sfotte il mondo universitario (quello statunitense ma non solo quello), sfotte il mondo della cultura europea, sfotte i luoghi comuni esistenziali di chi scrive per vivere, sfotte i russi e la loro grande letteratura.
E imbastisce un film mescolando tutti questi elementi, in un giallo minimale che prende corpo da un clichè letterario molto frequentato: l'uccidere come atto diretto pensato come momento di giustizia.
In realtà, si ode, sotto, tra le righe, un vero e proprio sgnignazzo -non solo un ridere- è Woody che se la gode, cinicamente, e che sputa su tutto. Lo fa attraverso una vicenda di un docente di filosofia traumatizzato e da TSO e una atmosfera da Campus godereccio (per altro tipica).
Di Emma Stone non dico nulla giacchè ne son un fan sfegatato a livello estetico.....se poi gli fan fare la parte della studentessa infatuata...




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La recensione ( condivisibile in larga parte) de Il Fatto Quotidiano

Basta accostare l’orecchio a questo Irrational Man, 44esimo film di Woody Allen, per rilevare il sinistro scricchiolio dell’autore che sta raschiando il fondo di un barile drammaturgico da lui stesso costruito nel tempo come personale marchio commerciale, quel qualcosa che oggi si definirebbe “brand”. Se poi Allen non avesse girato 23 film negli ultimi 23 anni come una premiata forneria di sfilatini, o non avesse una filmografia più corposa di Neri Parenti (44 vs. 42), non ci troveremmo nemmeno di fronte ad una stanca, sfibrata ripetizione dell’esposizione di uno schema mai rinnovato o rilanciato, mai più percepito come intima corrispondenza di un autentico sé da almeno 20 anni.

Per chi scrive Allen si è fermato nell’esplorazione seria, divertita e consapevole, delle sue personali idiosincrasie, elucubrazioni ed incubi nel 1992, con Mariti e Mogli, ultimo importante tentativo persino formale di viva autoanalisi su grande schermo. Capiamoci: l’autoanalisi di per sé non è miglior drammaturgia rispetto ad un’altra, ma farlo con serietà e senso dell’umorismo, per Allen, era diventato un consolidato, vibrante e riconosciuto tratto autoriale. Dopo quella data, però, ha inserito il pilota automatico e tutti gli spunti, i soggetti, le suggestioni intellettuali che Allen espungeva dalla letteratura, dalla psicoanalisi, dalla cultura pop e contemporanea, sono diventati pretesti per ristampare anonimamente lo stemma del proprio casato. Una lunga introduzione perché spiegare Allen a un 20enne è quasi un obbligo morale.


Il suddetto 20enne che entrerà in sala a vedere Irrational Man senza aver mai visto Crimini e Misfatti (non Match Point, nemmeno Sogni e Delitti, vengono molto dopo e già ripetono fino all’usura lo schema dell’omicida alle prese con il cruccio morale) penserà che Allen è un vecchietto disilluso che ha scritto quattro scenette con due attori in scena in un bel campus rigoglioso e verdeggiante, e ha caricato il protagonista – un professore di filosofia (Phoenix) che scanchera grossolanamente in classe su Kant, Heidegger e Kirkegaard – di un esistenzialismo morboso e malato che si rinfranca solo con l’uccisione di un “cattivo” scelto a casaccio dopo aver origliato una conversazione al bar.

“Bene”, dirà il 20enne, “questo è Woody Allen? Ebbene una roba così la posso girare anch’io”. Vero, tremendamente vero. Come quelle infinite serie di film noir in copia, tranne rare eccezioni poi recuperate, che si giravano negli anni ’50; o i telefilm polizieschi anni ‘70/’80 più nostalgiche coperte di Linus che vere e proprie gemme autoriali, in cui si attendeva con impazienza se l’assassino veniva scoperto e punito. Se il piacere del cinema è uno spurio count down della detection, allora prego accomodarsi. Se invece abbiamo ancora bisogno di farci rapire, ammaliare, ammutolire dalle immagini di un racconto che vive, palpita, sogna, sconvolge scavando nella profondità di uno script o nella bellezza della visione, con o senza mezzi produttivi a disposizione, allora prego rimanere fuori dalla sala in cui proiettano Irrational Man.

Oltretutto chi si aspetta la pochade dell’Allen gerontocratico, che alimenta l’ego di ninfette in crisi professionale, rimarrà deluso. Non ci sono battute facili sul sesso e sulle coppie, e nemmeno “difficili” (intese come un minimo stratificate nella dimensione culturale e di scrittura oltre il gioco di parole, il malinteso, il doppio senso), ma solo la calma piatta di una banale agnizione di un presunto depresso che uccidendo si rinvigorisce. Inutile disseminare, letteralmente, appoggiando libri o dettagliando scritte a biro su un foglio, il film di riferimenti dotti (pensate un po’: c’è Dostoevskij!). Irrational man è un film inesistente, involontaria parodia di una qualsiasi tragedia bergmaniana o già alleniana, tirato via, privo di significato, di sguardo e punto di vista – un esempio pragmatico ed evidente: le voci narranti si moltiplicano, sovrappongono, perdono, chi racconta chi, chi racconta cosa. Allen ha voluto con caparbietà ritagliarsi un ruolo marginale, secondario, ininfluente nel cinema mondiale, dopo averne cavalcato gloriosamente e con merito i piani altissimi fino ai primi anni novanta. Questo understatement se l’è scelto lui. Saperlo aiuta, come sempre, a separare il grano dal loglio in un’epoca in cui serialità e sciatteria vengono scambiati per lodevole adattamento al mercato.
 

Grantenca

Well-known member
Sono d'accorso sul fatto che questo film non è certamente un capolavoro che segnerà la storia del cinema. E' comunque un film che si lascia vedere, girato molto bene, in un ambiente (l'università americana) intellettualmente abbastanza stimolante e molto ben ricostruito. Anche la parte "thriller" è molto buona, senza inutili esagerazioni, come è verosimile il percorso sentimentale della giovane protagonista. In definitiva, per me, un film che vale il prezzo del biglietto.
 

isola74

Lonely member
Se mi avessero fatto vedere questo film senza dirmi nè titolo nè regista, molto probabilmente avrei indovinato almeno quest'ultimo, pur non essendo una grande esperta di cinema.
Però mi piace Woody Allen e qui ci sono tutte le sue manie e la sua filosofia di vita che abbiamo imparato a conoscere negli anni. Riepete se stesso, è vero, però il film ha il pregio di mantenere alta l'attenzione dello spettatore fino alla fine e oggi non è cosa da poco.

Bello l'inizio silenzioso, con i soli titoli di testa, e poi una sfilza di rilfessioni-aforismi alla Woody.
Kant diceva che la ragione umana è turbata da domande che non riesce a ignorare ma a cui non riesce a dare una risposta.


Voto 7/10
 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
questo giro Woody non mi è dispiaciuto anche grazie alla prova maiuscola di Joaquim Phoenix, assurdamente credibile nei panni di un Raskolnikov alleniano e della dolce e credula Emma Thompson.
 
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