Belvaux, Lucas - Sarà il mio tipo?

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In attesa di vederlo nei prossimi giorni, anticipo la cosa con la recensione di Taxidrivers.
Vediam un po'.
V.A.





Dopo la conturbante Mathilde, nel Marito della parrucchiera di Patrice Leconte (1990), e la delicatissima, ma determinata, Layale in Caramel di Nadine Labaki (2007), torna ora la figura della parrucchiera al cinema. E’ la bionda, coloratissima, Jennifer (Émilie Dequenne), nel film Sarà il mio tipo? di Lucas Belvaux. Titolo riduttivo, che vuole riscattarsi nel sottotitolo, E altri discorsi sull’amore, per una storia che ci interroga seriamente sulla maniera di vivere il sentimento più spiazzante della nostra vita, ma che ripropone, alla fine, lo stesso, eterno quesito. Se in tutte le coppie debba esserci sempre chi ama di più e chi meno, se e fino a che punto convenga lasciarsi andare fino a dirle tutte, ma proprio tutte, le parole dell’amore, o non sia più sano tenerne qualcuna per sé.

E’ molto bionda, Jennifer, allegra, esuberante, soprattutto quando il sabato sera indossa i suoi abiti di lamé e canta con le amiche imitando le grandi star, in un locale di provincia. Sembra vivere di karaoke e rotocalchi; in realtà incarna perfettamente la massima di Alda Merini: “Se le donne sono frivole, è perché sono intelligenti ad oltranza”.

Ma il cinema continua a confinare la leggerezza nella sottocultura, mentre la cultura, quella vera, è tutta condensata qui nel personaggio maschile di Clément (Loïc Corbery), professore di filosofia, parigino, autore di un libro che mentre parla di sentimenti, li annulla con la sua razionalità.. Lo si vede di casa a Les Deu Magots, frequentare i vernissage, lavorare in una biblioteca che intimidirebbe chiunque, ribellarsi all’idea di dover insegnare in un liceo di Arras, perché, dice, la provincia finirà per ucciderlo.



Invece di spegnersi, comincia a corteggiare la parrucchiera del luogo dopo il primo taglio di capelli e i due, così naive lei e così raffinato lui, si innamorano. Jennifer, che ha buonsenso, non cede subito, ma poi mette da parte ogni timore: dice più volte di amarlo, lo chiama “gattone filosofo”, con una spontaneità che non merita il mutismo di lui, le risposte sostituite dallo sguardo attento e dal sorriso sornione, dal balbettio dei “forse”, dei “non so”. Tutte le parole che invece sa e potrebbe dire sembrano smorzarsi sul nascere, farsi barriera comunicativa, fino ad esprimersi soltanto leggendole i grandi autori. Le regala Dostoevskij e Kant, mentre lei racconta l’ultimo gossip su cui è ferratissima e lo costringe a un ballo sfrenato. Quando Clément, dopo tante resistenze si abbandona alla danza, ci si commuove, perché anche noi possiamo finalmente, anche se per poco, allentare le difese.

Si poteva costruire una commedia divertente, perché ci piace godere delle differenze; è stata scelta invece una narrazione sincera, sulla difficoltà delle intese quando nella realtà tutto divide. Non ci si rilassa quasi mai davanti a questa storia d’amore, neanche all’inizio, nonostante sia lieve, perché siamo già sospettosi della sua durata e già, sulle luci dei volti che si innamorano, intuiamo l’ombra della delusione. Soffre soprattutto Jennifer, o forse no, forse è solo lei a dichiararlo, con il senno dell’amore (che ossimoro, ahinoi!), che le fa dire “Se non sei geloso è perché non mi ami abbastanza”; soffre ancora di più non potendosi acquietare dopo la risposta banale, stupidamente giustificatoria : “non sono geloso perché mi fido di te”.

La prima parte del film racconta lo stupore, l’incredulità, la gratitudine dell’amore; la seconda i giochi, le paure, le insensatezze di tutte le coppie del mondo, e di sempre. Chissà se è vero che Jennifer ama più di Clément! O se è perché lei non ha paura a dirlo! Se la loro distanza poi è solo culturale, o di carattere, o, perché no, di genere. Là dove il femminile che viene da Venere parla per essere rassicurato ed il maschile che viene da Marte, invece, tace, perché si paralizza, tanto più la richiesta è pressante, tanto più il bisogno di lei è così intenso da compromettere persino la relazione.



Certo Clément parte svantaggiato, se il regista Lucas Belvaux ce lo mostra all’inizio mentre la sua donna parigina lo lascia, rinfacciandogli l’incapacità di esprimere emozioni e di impegnarsi nella coppia. Però, ora sembrerebbe davvero innamorato di Jennifer, mentre lei continua a coinvolgerlo e avvolgerlo nel suo essere così spudoratamente autentica. Insomma, sono lì, che si avvicinano e allontanano: un uomo e una donna che la distanza rende prima complementari, e poi inconciliabili, perché sanno amare ciascuno con la propria modalità e nessuno dei due è capace di comprendere quella dell’altro.

Pas son genre (Non il mio tipo) è il titolo francese, dal libro di Philippe Vilain, perchè in effetti non ci sarebbe bisogno neanche di chiederselo. Jennifer non è il tipo di Clement, così come Clement non è il tipo di Jennifer. Questo noi lo capiamo subito, con maggiore sapienza dei protagonisti, e sappiamo soprattutto di non poter sperare nel lieto fine, per l’impaccio con cui ciascuno si muove nel mondo dell’altro. Ma se all’inizio possiamo ancora ragionare sulla differenza tra i due (sociale e culturale), quando il legame diventa più forte non ci resta che affrontare emotivamente il dispiacere della fine. Si tratta solo di vedere quando, come, e con quanto dolore avverrà. E, ancora una volta, chiederci, come ha fatto Simone de Beauvoir, quali sono i meccanismi misteriosi dell’innamoramento e dell’amore:

“Perché ci s’innamora? Nulla di più complesso. Perché è inverno, perché è estate, per eccesso di lavoro o per troppo tempo libero, per forza per bisogno di sicurezza, per amore del pericolo, per disperazione, per speranza. Perché qualcuno non ti ama. Perché qualcuno ti ama”.
 

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Ecco la recensione di LEFT.
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Proposto in Italia con il titolo meno efficace Sarà il mio tipo?, denuncia la sua matrice non appena il protagonista, Clément (LoÏc Corbery), entra a Les Deux Magots: il celebre caffè ove si son incontrati Verlaine, Rimbaud , Baudelaire; frequentato da Picasso, Prévert, Breton, ma anche da Chabrol e Truffaut, in cui sono state girate alcune effervescenti scene de La maman et la putaine di Jean Eustache, ultimo emblematico film della nouvelle vague.

È in questo solco che il personaggio si muove: intellettuale raffinato e bohemien, professore di filosofia, scrittore impegnato sul tema dell’amore, tombeur des femmes, e soprattutto parigino fin nella più riposta fibra. Trasferito ad Arras per la docenza, con suo sommo spregio deve adattarsi alla vita di provincia 3 giorni la settimana; così, per ingannare il tempo e la noia, intreccia una relazione con una giovane parrucchiera (Emilie Dequenne), ragazza madre, vivace, spontanea, semplice, diretta nelle scelte, entusiasta della vita.

I punti di riferimento di lui sono Kant, i romanzi francesi, i versi di Baudelaire, Gide, l’Idiota di Dostoevskij, la musica classica, i locali cool; quelli di lei Jennifer Aniston, le commedie romantiche, il karaoke, la playstation che condivide con il figlio, le serate fracassone in discoteca. Lei crede nell’amore e nell’immediatezza, lui nel libero arbitrio e nella critica del giudizio. Tra i due si accende un conflitto, assolutamente imperdibile, i cui temi sono ceto sociale, milieu, cultura di appartenenza, progettualità esistenziale. I protagonisti parlano molto, leggono libri (lui legge per lei, lei regala libri a lui, se questo non è amore?), intensificano gli incontri, negoziano le loro posizioni, o perlomeno ci provano, fino al salto di qualità conclusivo. Non sempre chi è accanto a noi, è realmente presente.

Così si va verso una conclusione profonda e spiazzante, incentrata sul rapporto uomo-donna, che bypassa il divertente aggiornamento del materialismo dialettico e il ribaltamento dello stereotipo della commedia sentimentale. Liberazione o libertà? A voi la decisione.
 

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La recensione di CineCriticaWeb

Nessun contesto culturale cui agganciarsi e neppure vistose eccentricità di argomento; nessuna dimensione d’autore ostentata; nessun divo o antidivo da esibire (chi ricorderà la protagonista, comunque irriconoscibile, di Rosetta dopo 15 anni?); nessun premio famoso (solo Magritte ottenuto e nomination ai César); nessun appeal ideologico o festivaliero: può un film con queste modeste – nulle? – credenziali essere bello, anzi quasi bellissimo? Domanda retorica, ma non troppo.

La risposta affermativa è Sarà il mio tipo?. La storia del maschio intellettuale, ma cinico, e della femmina incolta, ma vitalista, è facile e certo non inedita, e anche un po’ rischiosa sul fronte del politicamente corretto.
Eppure il film, tratto da un romanzo di Philippe Vilain dallo stesso regista, vive di una sua piena autonomia su quanto di più ovvio ci sia: il cinema. Quella cosa fatta di inquadrature, gesti e parole al loro interno, tempi drammatici, sviluppi narrativi, interpretazione, insomma messa in scena. Fin dalla prima sequenza, intervallata ai titoli di testa, veniamo a sapere quasi tutto delle capacità, o incapacità, sentimentali del protagonista, un uomo che delude e fa soffrire una donna senza provarne particolare turbamento. E poco dopo un’altra fugace apparizione femminile conferma quella freddezza. Neppure l’incontro con una collega, lei pure insegnante di filosofia, che si entusiasma culturalmente a citare argomenti sollevati dal libro del professore pare smuovere emotivamente il nostro. Ci vorrà invece qualcosa di estraneo alla sua esperienza, favorito probabilmente dall’essere scosso per il trasferimento nella piccola città di Arras, a un’ora e mezza dalla città di residenza, la per lui irrinunciabile Parigi.

Ecco allora l’ingresso in scena della bionda parrucchiera: che appare inizialmente quasi stucchevole nella sua vivacità, con un’esistenza chiusa tra il maneggiare acconciature, fare karaoke con le colleghe, affidare il suo immaginario a letteratura e cinema popolari, e infine crescere da sola un figlioletto. L’incontro e l’intesa tra i due saranno da loro stessi presto analizzati all’insegna del caso e del destino. Inevitabilmente sarà lei a entrare – a cercare di entrare – nella vita di lui, definendolo «gattone filosofo» e buscandosi a sua volta l’etichetta di «parrucchiera kantiana», per via di una sua riflessione sulla bellezza. Ma il gesto della parrucchiera di regalare un libro all’uomo che le fa vivere una così insolita storia (che lei non vuole vivere come un’avventura) porterà a una svolta il loro rapporto. In libreria infatti la parrucchiera scorge e acquista un libro di lui proprio sull’amore e il caso. Seguirà una sorta di resa dei conti, distendendo e arricchendo la narrazione di risvolti in cui gli echi rohmeriani diventano minnelliani, del capolavoro di Minnelli: il Qualcuno verrà che diceva appunto di uno scrittore e di una ragazza semplice che amava senza capire.

Nel film di Lucas Belvaux non c’è l’ampia articolazione, anche sociale e familiare, del film di Minnelli. Anche se le due brevi scene del protagonista con i genitori sintetizzano assai efficacemente i rapporti familiari. In Sarà il mio tipo? (il cui titolo originale, lo stesso del romanzo da cui il film è tratto – Pas mon genre – riprende le tre parole conclusive del proustiano Un amore di Swann) è tutto distillato nel rapporto a due, il resto è né più né meno che sottile cornice. Spessa è invece la civiltà cinematografica che attraversa il film, e che fa sentire in colpa chi scrive per non conoscere un cineasta – regista, sceneggiatore, attore – in attività da quasi vent’anni, perché non può essere casuale tanta maestria nel fare cinema.

Insomma, quegli stacchi di montaggio che giuntano rumori e silenzi, quei rari movimenti di macchina che sembrano far scoprire la bellezza del ravvicinamento di un volto, quell’ambientazione in una cittadina vissuta inizialmente con ostilità dal protagonista, tutto questo fa rivivere un’umanità ormai rara sullo schermo. Un’umanità esaltata dalla protagonista, émile Dequenne, che ha dato vita a un personaggio memorabile, il cui vertice espressivo è l’emozionante esecuzione finale della canzone I Will Survive. Come si dice, quindi, Lucas Belvaux va tenuto d’occhio.
Come un autore, vero.
 

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La recensione di NONOSOLOCINEMA

Il sentimento amoroso non è indipendente dai divari sociali e intellettuali, può vivere indisturbato nel chiuso di una stanza, ma fuori è a rischio: lo sguardo degli altri e il confronto lo minacciano.

Clément, non crede alla coppia, crede all’amore: ama e lascia e poi ama ancora. Jennifer, conduce una vita faticosa tra il lavoro e la cura del figlio, ma riesce anche a ricavare un po’ di tempo per esibirsi con le amiche cantando e ballando canzoni famose. Lui, professore di filosofia con pubblicazioni sulla teorizzazione del sentimento amoroso viene trasferito momentaneamente da Parigi ad Arras (Pas-de-Calais); giovane, altoborghese e di bell’aspetto nella cittadina di provincia incontra lei, una solare parrucchiera che gli promette con un nuovo taglio di cambiargli la vita. Mosso dall’attrazione e dalla curiosità dello studioso si avvicina.

“No, io non sono bella. (…) io ho fascino, è un’altra cosa... Piaccio a certi uomini e non ad altri”. Riguardo al giudizio pare proprio che Jennifer la pensi come Kant, anche se non sa chi sia: legge i libri di Anne Gavalda. Clément da pigmalione le regala testi “alti”, tranne il suo, lei li affronta curiosa e innamorata con il vocabolario accanto; e dopo l’amore le legge Au bonheur des dames di Zola e le regala l’Idiota di Dostoevskij. Jennifer è intelligente, profonda e sa riconoscere i film che non sono da pop-corn, ma è senza cultura e con poco gusto nel vestire; il suo corpo sa godere la vita profondamente, restituendo a Clément calore e sorprese. E in una sonnacchiosa cittadina di provincia, il confinato professore parigino rischia di trovare la felicità con una giovane donna che ha la vocazione della parrucchiera e che lavora con “una massa di capelli come lo scrittore con una massa di idee”. La bellezza dei giorni insieme si oscura a tratti, facendo emergere le riluttanze di Clément: alla richiesta di Jennifer di portarla a Parigi risponde d’aver deciso di dedicarle tutto il weekend ad Arras.

Emilie Dequenne, la Rosetta dei fratelli Dardenne, e Loïc Corbery, attore de la Comédie Française, sono gli interpreti di questa deliziosa commedia sull’amore contrastato dalla differenza di classe, realizzata da Lucas Belvaux e tratta dal romanzo di Philippe Vilain, edito in Italia da Gremese con il titolo Non il suo tipo. La regia lavora al raggiungimento dello spessore declinando in modo interessante i pregiudizi di classe attraverso una semplicità narrativa che arriva diretta allo spettatore; leggerezza e profondità ci riportano al cinema di Truffaut e di Démy, evocati anche dalla colonna sonora originale di Frédéric Vercheval e dalle canzoni pop cantate da Jennifer e dalle sue amiche.

Sono assenti le facili e rigide contrapposizioni tra i personaggi: sin dal primo incontro Belvaux fissa i punti di contatto rendendo sostenibile non solo l’attrazione ma anche lo scambio. Jennifer è incantevole, romantica e concreta; Clément sotto la scorza dell’intellettuale cinico si rivela a poco a poco permeabile, e impariamo presto ad amarlo. Per entrambi è una storia d’amore, ma con tempi di consapevolezza diversi.

Il lavoro degli attori è ottimo, buona la scrittura dei dialoghi e la scelta dei silenzi. Emilie Dequenne ha una densità espressiva che sospende la leggerezza per lasciare posto al dolore; Loïc Corbery è perfetto nella parte dell’intellettualmente dotato e sentimentalmente disadattato, ed è anche tanto chaton (gattone). Non c’è il dramma, l’irreversibile, c’è solo la capacità di capire cosa sia meglio per sé e questa è certamente una conquista: Jennifer non è Pomme, la Merlettaia di Claude Goretta, non soccombe, ha gli strumenti per vedere in tempo, per opporsi e salvarsi; e anche a Clément è offerta la possibilità di una sorpresa, al di là di ciò che teorizza con la certezza e il distacco dell’accademico.

Jennifer: Dicono che in una coppia c’è sempre uno che ama più dell’altro... Tu ci credi?
Clément: Non lo so. Non mi sono mai posto la questione.
Jennifer: Ecco ... Il signor–so-tutto diventa il signor-non-lo so !.. Come ti spieghi che un uomo che sa tante cose non sa niente riguardo ai sentimenti?

Vista in lingua originale è una commedia davvero riuscita; si spera in un buon adattamento e in un buon doppiaggio.
 

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Non vedro' mai questo film francese -e me ne rammarico perchè mi pareva interessante.
Il cinema mi ha appena comunicato che è stato programmato una sola sera , per un evento speciale. E che era uscito la prmavera scorsa.
Per confortarmi mi han detto che presto sarà in DVD-mezzo che non frequento.

Qualche amico forumista lo vedesse.... ci faccia sapere la sua opinio!

Ufffffff.:-:)-(

V.A.



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