Monumento alla forza dell'animo umano
Un altro magnifico film del mio regista e sceneggiatore preferito, con due dei miei attori preferiti. Spero questo non per questo di avere maturato troppi pregiudizi (positivi), ma mi pare si tratti di un autentico capolavoro cinematografico (che è il meno) e soprattutto di un’altra preziosa lezione di vita da parte di Alejandro Gonzales.
Il titolo del film fin dalla prima volta che l’ho letto mi ha ricordato il celebre “The crow” con Brandon Lee, e forse qualche analogia la si potrebbe anche riscontrare, nonostante quello fosse un fantasy gotico mentre questo un film estremamente realistico immerso nella natura più selvaggia e incontaminata (non a caso ha vinto anche l’oscar per migliore fotografia). Inoltre entrambi i personaggi protagonisti dei due film si muovono mossi dal desiderio di vendetta. Niente altro però.
La differenza fondamentale è che il vero primo motivo che spinge il personaggio di Leonardo Di Caprio all’azione è in realtà il puro e insopprimibile spirito di sopravvivenza. Non la vendetta. Le parole della moglie defunta che echeggiano nella testa dello scout fin dal primo minuto del film sono estremamente chiare: “finché riesci a respirare, combatti. Respira... Continua a respirare”.
Non ci sono ragioni, nobili ideale, motivazioni eroiche o altro. C’è solo un comandamento, e come tale non necessita di giustificazioni: bisogna lottare per sopravvivere, e quando le cose vanno male, lottare ancora, se peggiorano ancora bisogna lottare per sopravvivere, e quando proprio la vita supera i limiti di qualunque umana sopportazione, continua a lottare.
Nessun uomo o donna del ventunesimo secolo può doversi trovare ad affrontare le difficoltà che si trova ad affrontare ognuno dei personaggi del film: il freddo più impietoso in primis, la fame, gli animali predatori più pericolosi, le tribù indiane più crudeli, le cui indicibili sofferenze sono magnificamente rese dall’interpretazione di Di Caprio, ma proprio per questo, in qualunque situazione difficile, faticosa o assurda chiunque possa trovarsi, non può non riconoscere che un sottile filo rosso collega il dolore e le sofferenze di tutti gli uomini e donne di ogni tempo e di ogni luogo, e memori di questo legame che trascende tutto, una volta di più trovare la forza di volontà necessaria a rialzarsi e combattere, una volta di più, per nessun ideale che non sia “perché così deve essere”.
Questa lotta per la sopravvivenza, scevra da qualunque ideale nobile o meno che sia, io trovo costituisca la seconda differenza col film del Corvo. Il personaggio di Eric Draven era una creatura sovrannaturale, una sorta di angelo della morte, chiamato a compiere una missione di vendetta divina. In Revenant invece è detto molto chiaramente “la vendetta appartiene a dio”. Niente di quanto facciamo o non facciamo può realmente riscattare la nostra condizione di mortali, o ripagarci del dolore o delle perdite subite. Non c’è alcuna offerta di senso per quello che viviamo, se non una che è l’obbedienza, indefinita e inspiegabile a una forza più grande di noi, che costituisce poi il grande mistero della vita nella sua accezione più ampia.
Voto: 10/10