Forse lo sto leggendo nel momento sbagliato, quando sto facendo determinate riflessioni in maniera molto più cosciente di quanto non avessi fatto fino a pochi mesi fa, ma sto davvero facendo fatica a fermarmi e mettere da parte remore morali e quelli che sono forse pregiudizi (o forse no, non lo so).
È indubbio che questo romanzo è permeato di una poesia e una delicatezza straordinari: è molto bello come il semplice guardare un corpo addormentato porti il vecchio Eguchi a ripercorrere i ricordi della sua giovinezza in maniera così spontanea.
E lo so, non si dovrebbero mischiare ideologie e culture, epoche e particolari evoluzioni della società e del pensiero, ma non riesco a togliermi dalla testa questo velo d'inquietudine. C'è un erotismo molto delicato, genuino, per nulla indecente. Eppure, penso mi infastidirebbe di meno della pornografia. Perché questo è un erotismo a senso unico, un erotismo che ha valore solo quando la donna non c'è, non ha coscienza, non ha facoltà di opporsi, ma nemmeno di partecipare. C'è erotismo quando la figura femminile è solo una figura e smette di esistere in maniera attiva, e diventa solo uno strumento per l'uomo. E questo non solo nella casa delle belle addormentate, ma anche nei ricordi dell'uomo: quando racconta della sua amante col capezzolo insanguinato, la donna è solo quel capezzolo, non viene detto null'altro di lei. È un pezzo di carne ferito che non fa una piega, nemmeno si accorge di sanguinare.
Ecco, è legittimo proiettare queste riflessioni su un romanzo così lontano? Probabilmente no. Probabilmente Kawabata non aveva nemmeno la minima intenzione di toccare queste tematiche, mi rendo bene conto che ciò di cui voleva parlare era tutt'altro.
Ma in una società dove erotismo e sessualità femminile sono sbandierati in ogni angolo, ma solo limitatamente al piacere che l'uomo può trarne, solo in sua funzione, leggere di un erotismo così mutilante mi lascia addosso un malessere di cui faccio fatica a liberarmi.