TRAMA
Che cosa lasciamo, quando lasciamo qualcuno? Una casa, una famiglia, il passato, un'idea di futuro, la nostra peggiore fotografia impressa a fuoco negli occhi di chi abbiamo amato. Passiamo la vita a spaccare vasi e incollare cocci illudendoci di essere nuovi di zecca. E cerchiamo di non guardare troppo indietro, perché il tempo dei bilanci è un tempo vano, ridicolo e struggente. Domenico Starnone ha scritto un libro intensissimo e vero. Il racconto a tre voci delle forze sotterranee che tengono in vita i matrimoni anche dopo l'amore.
«Se tu te ne sei scordato, egregio signore, te lo ricordo io: sono tua moglie». Si apre cosí la lettera che Vanda scrive al marito che se n'è andato di casa, lasciandola in preda a una tempesta di rabbia impotente e domande che non trovano risposta. Si sono sposati giovani all'inizio degli anni Sessanta, per desiderio di indipendenza, ma poi attorno a loro il mondo è cambiato, e ritrovarsi a trent'anni con una famiglia a carico è diventato un segno di arretratezza piú che di autonomia. Perciò adesso lui se ne sta a Roma, innamorato della grazia lieve di una sconosciuta con cui i giorni sono sempre gioiosi, e lei a Napoli con i figli, a misurare l'estensione del silenzio e il crescere dell'estraneità. Che cosa siamo disposti a sacrificare, pur di non sentirci in trappola? E che cosa perdiamo, quando scegliamo di tornare sui nostri passi? Perché niente è piú radicale dell'abbandono, ma niente è piú tenace di quei lacci invisibili che legano le persone le une alle altre. E a volte basta un gesto minimo per far riaffiorare quello che abbiamo provato a mettere da parte. Domenico Starnone ci regala una storia emozionante e fortissima, il racconto magistrale di una fuga, di un ritorno, di tutti i fallimenti, quelli che ci sembrano insuperabili e quelli che ci fanno compagnia per una vita intera.
COMMENTO
Ammetto di essere una lettrice abbastanza equilibrata: tendo a comprare un numero di libri leggermente superiore a quelli che leggo, in modo da avere sempre una scelta abbastanza ampia nel caso qualche congiunzione astrale mi impedisse di andare in biblioteca, ma tendo comunque a leggere ogni libro entro un anno dal loro acquisto, perché tendo ad acquistare solamente i titoli di cui ho una ragionevole certezza di innamorarmi.
Più di tre anni fa, inciampai per caso in una recensione piuttosto ispirata di “Lacci”, e mi sembrò che si trattasse esattamente del libro che faceva al caso mio, pur non conoscendo minimamente l'autore, e senza aver letto alcun altro commento. Pochi giorni dopo, ne vidi una copia in ottimo stato al Libraccio, e l'acquistai subito, certa che l'avrei letto non appena avessi finito le letture che avevo in corso. Ebbene, sono passati più di tre anni, e ogni volta che provavo a sfogliarne qualche pagina mi passava la voglia di leggerlo, e finivo sempre per riporlo sulla libreria.*
Quando finalmente mi sono decisa a riprenderlo in mano, non ero più così convinta che si trattasse esattamente del libro per me, ma ho deciso di buttarmi comunque, e ne è risultata una lettura da divorare letteralmente in una sera. Non posso dire che “Lacci” non mi sia piaciuto, ma più che altro non mi ha quasi sfiorata. Il che è già piuttosto significativo, direi.
Forse sono troppo giovane per comprendere appieno tutti i risvolti di una storia del genere (eppure, sono una figlia di una coppia decisamente non perfetta, quindi del tutto estranea a queste vicende non sono), forse non era il momento adatto, forse averlo letto troppo velocemente non mi ha permesso di assimilare al meglio i dettagli, ma a lettura conclusa mi sono resa conto che il mio animo, per tutta la durata della lettura, era rimasto perfettamente tiepido.
Mi è piaciuto molto il modo di architettare la vicenda, la precisione con cui i pochi dettagli si incastrano passando da quella che sembra semplicemente la narrazione dello sgretolarsi di un matrimonio per poi rivelare qualche cosa di più, e mi è piaciuto abbastanza lo stile di Starnone, molto asciutto e diretto (almeno fino ad un certo punto). Eppure, eppure c'era qualcosa che continuava a stonare.*
Per carità, le tre voci che compongono quelli che potrebbero essere definiti tre monologhi sono piuttosto incisive, ed è abbastanza interessante (anche se tutt'altro che originale) andare ad indagare quelli che sono i più profondi legami che tengono insieme i membri di una famiglia, che lo vogliano oppure no. “Lacci” è, molto emblematicamente, un romanzo sui lacci emotivi che si possono a volte trasformare in trappole da cui è impossibile scappare, è un romanzo sui vincoli creati dai rapporti umani, che quando perdono di autenticità diventano veri e propri macigni che ti trascinano verso il basso e non ti lasciano andare mai più, nemmeno quarant'anni dopo. E' anche un romanzo che mostra molto bene quanto una famiglia sia solo un delicatissimo gioco di incastri e di equilibri, e come lo spostarsi di un solo elemento crei un'inclinazione di tutto il piano spesso letale anche per i membri che da quello spostamento, apparentemente, non dovrebbero nemmeno venir sfiorati.*
Ho letto (ma non ho fatto nessuna ricerca in merito, quindi potrebbe benissimo trattarsi solamente di una mia allucinazione) che si stava lavorando per trasformare “Lacci” in un'opera teatrale: ecco, se da un lato credo che la cosa possa funzionare benissimo a teatro, dall'altro spero tanto che qualcuno lavori a lungo sui dialoghi, che mi sono sembrati proprio la parte più debole: falsi, artificiosi, pieni di retorica e assolutamente irrealistici. Quando due persone litigano, lo fanno per ferirsi, lo fanno con cattiveria, con la volgarità data dal sangue che pulsa nelle tempie. Qui invece ci sono solo frasi perfettamente infiocchettate e inanellate in modo da apparire del tutto perfette, che facciano l'effetto giusto al momento giusto. Ecco, tutto questo ha spento tantissimo l'entusiasmo che avrei potuto provare per questo romanzo.
In conclusione, mi sembra un romanzo scritto con abbastanza perizia, ma in modo banale, che tratta di un tema banale, che ha centinaia di concorrenti simili e mille volte più potenti.
Un romanzo che dovrebbe puntare alle viscere, e che invece ha puntato solo al cervello.*