I grandi capolavori dello Zingaro, talmente grandi che nessuno li legge

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Per me sarebbe importante avere un vostro parere che non si limitasse ad un semplice giudizio. Vorrei sapere cosa ne pensate a 360°. Mi sarebbe utile sapere se avete voglia di leggere il seguito o se ne avete avuto a sufficienza. Quali sono i punti deboli e quali i punti forti. Se vi ha annoiato o meno.

Se vi è piaciuto, potete esagerare. Scrivete pure che sono meglio di Dumas e che merito il Nobel, anche quello per la pace. Non è mai troppo.

Se non vi è piaciuto, vi toglierò il saluto per sempre, ma mi raccomando, sentitevi liberi di esprimervi in libertà.:HIPP

A parte gli scherzi, se mi darete circa 40 minuti del vostro tempo (una mezzoretta per leggere e un quarto d’ora per scrivere le vostre riflessioni) ve ne sarò grato.

Posto i primi 3 capitoli, che sono molto brevi. Un post per capitolo. Poi se il 3d non muore ne posterò altri.
 
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Zingaro di Macondo

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1

Io, Pepe Violenza.


Questa è la storia dei miei guai.


Per capirne le origini dobbiamo andare indietro nel tempo, al 2030 o giù di lì, quando avevo cinque o sei anni e vivevo con mia madre in un paese della pianura padana. Un paese con quattro o cinque case e molta terra. Mia madre era stata lasciata dal suo uomo quando era incinta di me, ma di questa cosa so ben poco, so solo che per me è stato naturale vivere con mia madre, le mucche e niente padre. Non mi mancava nulla e ricordo il grosso camino nel soggiorno fatto di pietra. Un camino acceso solo di rado, visto che la pianura era calda e umida per la maggior parte dell’anno. Ma quando era acceso mi sentivo come sperduto in montagna e cercavo con avidità la vista dei paesaggi piani che la grande finestra mi restituiva in porzioni generose.Terre lunghe fino all’orizzonte vissute da gente dura, buona e orgogliosa. Terre che erano grigie di nebbia o verdi e gialle quando c’era il sole .

Poi un giorno arrivò un signore in cravatta. Ricordo la sua barba bianchiccia da malato terminale e ricordo che non mi era per niente simpatico. Disse a mia madre di anticipare i tempi e disse molte altre cose di questo tipo. Mi sembrava che volesse farle del male, anche se non in senso fisico. Cominciai a chiamarlo Brutta Barba Bianca. Brutta Barba Bianca venne da noi tre, quattro, cinque volte o forse più, perché voleva convincere mia madre a vendere.

Si faccia furba, signora, diceva Brutta Barba Bianca. Mia madre era furba e mia madre era mia madre, per cui non capivo cosa volesse dire con quelle parole.

La città stava arrivando. Stava crescendo e prima o poi sarebbe arrivata anche da noi. Col suo carico di noia e solitudine e lavori ingrati e bolge solitarie e insomma stava proprio arrivando. Tutto stava cambiando nel 2030 o giù di lì. Il mondo era diviso in due e dalla nostra parte, la Parte Ovest, bisognava costruire e ricostruire in modo da garantire a tutti una vita migliore. E c’era un disegno in un qualche ufficio dove si diceva che lì da noi andava fatto qualcosa di importante per la società.

La tesi principale di Brutta Barba Bianca era che prima o poi dovevamo andarcene. Meglio prima e alle sue condizioni, che dopo e a condizioni sfavorevoli. Si avvicinò a me in un paio di occasioni dicendo che ero un bel bambino. Se fossi stato un cane come minimo gli avrei ringhiato. Se Brutta Barba Bianca tornava di continuo, voleva dire che aveva notato delle crepe nella sicurezza di mia madre. Anche se lei diceva che non avrebbe mai venduto e si atteggiava come chi la sapeva lunga, secondo me Brutta Barba Bianca capiva molto del linguaggio del corpo e vide le sue crepe nascoste, tanto che una volta la costrinse ad una piccola lacrima di frustrazione. Si asciugò svelta la guancia e prese i soldi e Brutta Barba Bianca costruì due centri commerciali che oggi sono talmente simili da sembrare uno solo. Ancora oggi vedo la faccia di Brutta Barba Bianca riflessa nelle vetrine, ma è solo un’impressione e nemmeno troppo sgradevole.

I soldi di Brutta Barba Bianca erano tanti e ci trasferimmo altrove, altrove dove non c’erano campi e mia madre acquistò un locale dove organizzò un negozio di gioielli. Quello stesso negozio dove io, Pepe Violenza, e il mio amico Johnny Mirtillo l’avremmo condotta alla morte trent’anni più tardi.
 
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Zingaro di Macondo

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2

Un fanatico fortunato.



Nel 2060 non era possibile viaggiare nel tempo, ma nessuno si lamentava di questa cosa. Le automobili si guidavano da sole, ma non volavano, avevano le ruote come era sempre stato. E i robot non si erano sostituiti all’uomo nelle faccende domestiche. La cosa più rivoluzionaria era la stampante tridimensionale, che però non si rivelò poi così utile. Dopo la folle e furibonda corsa del XX secolo, in cui sembrava che la tecnologia stesse per ingurgitare sé stessa e il mondo intero, e dopo che l’eco dei moniti degli intellettuali, spaventati da tanta umana ansia, si spense con lentezza, il mondo, molto semplicemente, si fermò, chetandosi di colpo come un ragazzo maturo dimentico del bambino capriccioso che era. Finalmente le invenzioni davano il tempo di farsi capire. Le persone non dicevano più che ai loro tempi le cose erano diverse e i film di fantascienza di cinquant’anni prima erano ancora film di fantascienza. La popolazione mondiale era calata a 5 miliardi, a seguito di rigorose politiche di contenimento delle nascite attuate sia nella Parte Ovest che nella Parte Est, le uniche due realtà geopolitiche dopo la grande fusione del ’29. Finirono le guerre, anche se ancora esisteva qualche pazzo che si faceva esplodere sugli autobus per motivi incomprensibili. Ma le guerre, quelle vere, erano cessate nel ’29. Anno in cui gli Stati Uniti di allora mandarono soldati nell’Iraq di allora per la famosa terza guerra del golfo, parliamo del golfo di oggi. Venne sganciata, per la prima volta dopo Nagasaki, una bomba atomica sui civili. A Baghdad, alle 14.22 del 23 aprile del 2029, la gente evaporò. Si concluse così una guerra che per il resto era stata piuttosto noiosa e i cui motivi nessuno capì fino in fondo. Ma le migliaia di cittadini a cui volò via la faccia in diretta diedero da pensare a molti.

A seguito di questo episodio, il presidente degli Stati Uniti Kong the King venne assassinato da un fanatico islamico che a sua volta venne assassinato da un fanatico anti islamico, che si fece saltare per aria nell’asilo in cui era andato a prendere suo figlio, compagno di classe del figlio della vittima designata. Poi un altro fanatico, questa volta sui generis e che amava sparare a prescindere dall’argomento, approfittando della confusione riuscì a entrare nella Casa Bianca. Aveva capito che il momento era buono per fare un po’ di casino. Con il volto infilato in un passamontagna puntò un coltello da pesca alla gola della figlia quattrenne del defunto presidente. Chiamò a raccolta le televisioni e le televisioni accorsero numerose. Parlò di come il mondo fosse ormai in preda alla barbarie e alla follia, sempre puntando il coltello da pesca alla piccola the King piangente. Un cameraman chiese al fanatico se aveva intenzione di tagliarle la gola e se, nel caso, avesse potuto avvertire con un po’ di anticipo, in modo da permettere l’inquadratura giusta. Il fanatico non rispose alla provocazione e tirò dritto col suo discorso di pace, diritti dell’uomo, degli animali e dei piccoli bambini figli dei presidenti di tutto il mondo. La diretta andò avanti per settantasei ore filate, durante la quale il fanatico si addormentò a tratti abbracciato alla bambina che aveva cominciato a volergli bene. Nessuno aveva fatto niente di eroico, anche se erano state numerose le possibilità di intervento. Con uno che si addormenta nel mezzo di un discorso e che gli cade il coltello di continuo, è un attimo risolvere la situazione. Ma nessuno fece nulla, perché tutti pensarono che la piccola the King fosse ormai al sicuro. Molti cominciarono persino ad ascoltare le parole del fanatico di cui, ancora oggi, si ignorano le generalità.

Finito il discorso lasciò la piccola the King e uscì dalla Casa Bianca tra due ali di folla festante. Qualcuno gli mise in braccio un bimbo per una foto. Il fatto è che quel bimbo era imbottito di tritolo e del fanatico, del bimbo e della persona che mise il bimbo tra le mani del fanatico rimase solo un dito mignolo e un calzino con una fata rosa ricamata. Oggi il mignolo è chiuso in una teca della Sinchimus del Cairo. Quella di Pechino, invece, raccoglie l’unico resto del bimbo, l’ormai famoso calzino con la fata rosa ricamata.

Le Sinchimus sono dei templi pseudo pagani di ultimissima generazione. Ad oggi ne sono state costruite centosei: quattordici nel mondo Ovest e novantadue nel Mondo Est. Dopo la fusione del ’29, si pensò che le religioni monoteiste avessero buona parte di responsabilità nelle recenti umane disgrazie. A dire il vero vennero trovati anche altri motivi, come le partite di calcio o la politica o le moto. Il problema non erano tanto il calcio, la politica e le moto, piuttosto le discussioni che ne venivano fuori. Il calcio, la politica e le moto non vennero aboliti, ma il fatto che tutti sapessero che era meglio non parlarne troppo, aveva risolto parecchi problemi.

Il nocciolo di tante discussioni tra il governatore della parte Ovest e quello della Parte Est, fu che senza il pensiero di Dio la società poteva andare incontro a qualche problema di autostima.

Per ciò le religioni, quantunque ritenute in buona parte colpevoli, non vennero messe al bando. Anche perché sarebbe stato oltremodo pericoloso farlo tutto in una volta. Va bene ribaltare il mondo, avranno pensato i governatori, ma non esageriamo. Si pensò che costruire dei templi in cui riunire tutti i credenti di tutte le religioni sarebbe stata una buona idea. Una specie di simbolo di fratellanza, o qualcosa del genere.

Oggi ogni Sinchimus è dotata di un altare con un sudario, una pietra venuta dallo spazio, la statua di un ciccione sorridente, una croce di legno e una pallina da golf. Sono edifici di metallo lucente, quadrati e con una grande finestra ovale sopra la porta di ingresso. Una finestra in cui molti scorgono l’occhio di Dio. Ai lati ci sono delle torri uguali in tutto e per tutto a dei minareti, ma nessuno li chiama minareti. L’idea che le Sinchimus dovessero rappresentare la casa universale dei religiosi vecchio stampo non venne colta subito da tutti. Alcuni credevano che si fosse fondata una nuova religione, o qualcosa del genere. Altri pensarono che tutto fosse concesso e cominciarono a pregare nei modi che preferivano il proprio dio, quello che la coscienza gli dettava da tempo. A poco a poco le Sinchimus diventarono qualcosa di ambiguo, una specie di casinò della fede. C’era grande convivialità tra cristiani e musulmani, buddhisti cinesi e birmani, ebrei con la barba e senza barba, questo bisogna ammetterlo, ma le Sinchimus finirono per dare alloggio spirituale anche a persone fino a quel momento prive di identità. Lì dentro ognuno poteva fare ciò che voleva. C’erano persone che si erano portate il loro tacchino preferito da casa, minacciando di metterlo in pentola se non avesse fatto un miracolo di qualche tipo, altri che fumavano erbe strane dentro cartine di foglie essiccate, gente che pregava la propria figura riflessa nel metallo della struttura, altri ancora che bruciavano incensi davanti a tamburi di pelle. Una volta un uomo biondo, alto, con il viso smunto e pallido e con indosso solo un perizoma giallo, iniziò a ciondolare la testa come un cobra, di fronte ad una gigantografia di Elvis Presley.

Tutte le religioni del mondo convengono sul fatto che se qualcuno fa qualcosa di violento all’interno di una Sinchimus va dritto all’inferno assieme alla rispettiva suocera. In mancanza di una suocera, il peccatore è intrattenuto da un gufo di dimensioni umane che lo fissa di continuo con gli occhi sgranati. Questo supplizio dura dieci anni, poi la suocera o il gufo vengono sostituiti da un uomo nudo con la barba, il quale parla all’infinito della storia del cinema polacco. Di tanto in tanto fa delle domande e se il peccatore non è stato attento ricomincia tutto da capo. Si capisce che nessuno ha osato farsi saltare per aria in una Sinchimus.
 
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Zingaro di Macondo

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3

La mia vita prima.

O forse i miei guai iniziarono appunto nel 2060, quando io e Johnny combinammo tutto quel casino. Di preciso non so quale fu il momento in cui il mio destino si infilò in quel mare di pericoli e agitazione e quasi follia. Se ci fate caso non si sa mai quale sia il momento esatto in cui la vita si incastra precisamente dove non vorremmo. Quella sera io e Johnny ci trovammo a casa sua per una serata di sigarette e vino. Non so perché proprio lì e proprio in quel momento e nemmeno so perché parlammo di tutte quelle cose prive di senso. Posso solo dire che Johnny aveva smesso i suoi abiti di sempre e aveva iniziato a vestirsi con un kimono giallo e delle ciabatte verdi. A suo discapito dobbiamo dire che nel 2060 era concesso più o meno di tutto in fatto di abbigliamento.*Il mondo era diventato come una gigantesca fermata della metro londinese, nessuno faceva caso al rosa sugli uomini o al blu mischiato con l’arancio. Figurarsi se Johnny Mirtillo potesse far scalpore per un kimono giallo o per un paio di ciabatte verdi. Che, detto per inciso, indossava anche quando pioveva.

Nel 2060 avevo trentacinque anni, facevo l'insegnante e non potevo lamentarmi di nulla. Potrei dire che filava tutto liscio, soldi, casa, un po' di mutuo, una fidanzata e un lavoro normali. Bollette a parte non avevo troppi pensieri per la testa. Invece Johnny era una persona che rispetto ai canoni di cinquant'anni prima poteva essere definito un po' strano. Visto alla luce dei miei tempi posso confermare che fosse parecchio strano. Gli volevo molto bene e con lui parlavo più o meno di tutto. Con le persone un po’ fuori di testa mi sono sempre sentito a mio agio, parlo spesso con i pazzi in stazione o con gli ambulanti per strada. La normalità può anche essere rassicurante, ma dopo un po' ci si annoia a rispettare gli orari, a mangiare alle ore giuste e a leggere cose intelligenti. Forse Johnny rappresentava per me ciò che avrei voluto essere io, ma non ho mai indagato su questa cosa. Lui diceva che invece ero io ad essere una specie di faro per la sua anima e credo che ci abbia riflettuto molto a lungo, perché quando lo diceva era piuttosto serio. Era uno di quei tizi che se gli stavi simpatico si faceva in quattro per te. E io ero l'unico a stargli simpatico.

Quando affrontai per la prima volta il pensiero della morte lui era lì. Ho l’impressione che questa cosa fu parecchio importante per il nostro rapporto futuro.

Avrò avuto quattro o cinque anni ed erano i tempi in cui gli adulti stavano risistemando il mondo. Baghdad si era appena sciolta in un vento caldo, ma io vedevo Baghdad come qualcosa di lontano e non me ne preoccupavo più di tanto. Invece il fatto che il mio cane Ben smise di correre fu il trauma peggiore della mia vita. Non me l’aspettavo. Non me l'aspettavo proprio. Mia madre mi portò in giardino e mi fece vedere Ben disteso dentro una cassetta di legno. Duro, di un duro che non dimenticherò mai. E freddo, di un freddo che non aveva nulla a che vedere con il contrario del caldo, perché quello era un freddo che scottava, per così dire. Ricordo una gran confusione in testa, una specie di bomba di idee, e il fatto che mia madre fosse disperata e il fatto che Ben non sembrasse intenzionato a tornare a correre, mi diedero in pasto ad uno sconosciuto vuoto universale. Mi arrabbiai con mia madre, perché ero abituato a vederla risolvere i guai e invece se ne stava lì a piangere. Credevo che Ben fosse rotto o qualcosa del genere e invece di aggiustarlo mia madre si limitò a confermarmi che si fosse guastato. Mi spiegò che era come rotto, ma rotto per sempre, il che equivaleva a dire morto. Mi spiegò che quando uno si rompe per sempre, muore.
-Anche tu un giorno ti romperai per sempre?- le chiesi con una specie di ultima speranza disegnata in volto. In cuor mio ero ancora convinto che una cosa del genere non fosse possibile, ma preferivo sentirmelo dire.
E invece mia madre non aveva nessuna risposta da darmi e Ben era rotto e con tutta probabilità anche lei si sarebbe rotta e nessuno mi aveva preparato a quella cosa e c’erano delle lacrime che venivano da chissà dove. Corsi fuori nei campi immersi nella rugiada del primo mattino. Faceva freddo, anche se era estate e mi fermai solo quando Johnny, il bambino di due anni più grande di me con cui giocavo a fare le strade sulla ghiaia, mi si parò davanti e mi disse:

-Non ti preoccupare- . E smisi di preoccuparmi, perché i suoi occhi erano freddi e tranquilli, al contrario di quelli di mia madre che erano come palle perse nel vuoto.

Poi ci fu quella volta in cui Johnny fece esplodere un'ala della scuola perché un professore voleva interrogarmi. Non ho mai capito come fece, so solo che un pezzo dell’edificio prese fuoco. Questa cosa mi sollevò dal pesante incarico di domande e risposte, perché fu più importante uscire per strada che essere interrogati.

A parte dare fuoco alle scuole, sapeva anche leggere i libri. Mi parlava dei grandi autori francesi e dei grandi autori russi. Ricordo intere giornate, verso il 2050 o giù di lì, a leggere sotto grosse piante con lunghi rami cascanti.

Un certo giorno ci innamorammo della stessa ragazza, e quando lei decise di stare con me, Johnny rimase lì, perfettamente immobile e senza rabbia. Il fatto è che io ero più bello *di lui e certe cose le ragazze tendono a notarle. Lui era troppo alto e troppo magro, con i capelli troppo lunghi e troppo crespi. Se ne andava in giro come se avesse avuto un grosso peso sulla schiena, curvo come un vecchio senza pensieri e con due occhiali tondi che gli davano un'aria profondamente inutile. Se almeno avesse avuto gli occhi azzurri o verdi e, invece, erano di un anonimo castano spento. Johnny possedeva come un gigantesco alone di profonda bruttezza, una bruttezza che era quasi da ammirare. Ho sempre pensato che non può essere nato da un atto d’amore, ma questo non gliel’ho mai detto.

Siamo sempre stati diversi e non solo per questa cosa della bellezza. Abbiamo frequentato le stesse scuole, elementari e medie. E anche le superiori, che lui però non ha finito, perché alla terza volta che tentò di incendiare la palestra lo sospesero per tre giorni. E lui non tornò più, anche perché in quei tre giorni morirono i suoi genitori. Non aveva altri parenti, o forse li aveva ma facevano finta di niente, probabilmente nascosti nelle loro tane per paura che gli venisse affidato un ragazzo del genere.

Rispetto alla sua mania del fuoco, devo dire che bruciava solo le cose, mai piante o animali e nemmeno le persone.

Mentre lui incendiava le porte della scuola, io studiavo, ma solo perché così mi era stato detto di fare. E mentre io mi imponevo questa cosa, lui leggeva, leggeva e cresceva, cresceva e dava fuoco alle porte. Mi sono laureato a forza di studio, invece Johnny aveva i libri in mano per scelta consapevole. Io *guardavo le cose passare con gli occhi degli altri, lui le osservava con i suoi, di occhi, i quali, benché curvi e stanchi, erano suoi e solo suoi.

La sua fissazione per il fuoco allontanava le persone. La gente tendeva a evitarlo. Gli stavano alla larga quando lo vedevano uscire tra le fiamme, triste e dinoccolato. Per me invece non era un grosso problema, non mi spaventavo se lo vedevo buttare un fiammifero acceso dentro una bottiglia di alcol.

Johnny aveva un’anima bella densa. Diceva spesso cose intelligenti, anche se adesso come adesso non me ne viene in mente nemmeno una.

Io ho cominciato la carriera scolastica in una scuola superiore e lui quella del giardiniere. Dentro quella sua prima professione mise una cura infinita. Spesso guardava in silenzio le piante che soffrivano e si vedeva che un po’ soffriva con loro. Poteva guardare per ore le foglie secche di un nocciolo contorto, alla ricerca di una soluzione per farlo stare meglio. Poi diceva - ora ci penso io -, o qualcosa del genere. E accarezzava con aria compassionevole le foglie che ingiallivano. Quando trovava la soluzione si metteva all’opera e diventava complessivamente un po’ meno brutto. Con la giusta posizione, il vaso perfetto, la terra buona, salvava quasi sempre la pianta con cui aveva instaurato un rapporto di profonda amicizia. A me questo suo lato piaceva e con lui mi trovavo bene come ci si trova bene con i cani. Un giorno che fece morire un ficus per un travaso sbagliato si licenziò e cominciò a fare il killer.

Ma non fu una scelta dettata dal dolore per aver fatto morire il ficus, o qualcosa del genere. Iniziò ad uccidere perché aveva sbagliato il suo precedente lavoro, tutto qui. Rispose ad un annuncio su un giornale in cui si cercavano persone disposte a fare qualsiasi cosa. Johnny travisò l’annuncio, ma siccome letteralmente aveva ragione chi aveva fatto l’annuncio, per onestà iniziò il nuovo lavoro. E lo fece con lo stesso zelo che avrebbe messo se avesse dovuto sistemare piante o vendere frigoriferi.

Quello che voglio dire, con queste storie di piante sofferenti e scuole bruciate, è che io e Johnny ci stavamo vicini come due grandi amici che devono percorrere una strada che non porta da nessuna parte, una strada chiamata vita. Bisogna pur farsi forza, in queste condizioni, e io e Johnny ci siamo fatti forza a vicenda con grande senso di unione. Per questo ritengo di non doverlo mettere sotto accusa più di tanto se ha sparato a mia madre.
 
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velmez

Active member
bè certo ora vorrei sapere perché ha sparato a tua madre!!

a parte questo, ad essere sincera l'ho trovato poco omogeneo... ti dico le cose che a parer mio stonano:
- dovresti riguardare le concordanze verbali, in particolare l'uso dell'imperfetto mi è parso ostentato (è vero che vieni dalla pianura padana...)
- non mi sono piaciute le critiche, poco velate, alla società che avanza, alla tecnologia e al cambiamento in genere (adoro invece il tono sarcastico alla Benni :wink: )
- l'introduzione mi fa pensare più a un racconto di Steinbeck che non a una vicenda che dovrebbe svolgersi nel 2030
- occhio a virgole e apposizioni

io sono decisamente pignola, non prenderla sul personale! comunque voglio sapere come continua! :MUCCA
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
bè certo ora vorrei sapere perché ha sparato a tua madre!!

a parte questo, ad essere sincera l'ho trovato poco omogeneo... ti dico le cose che a parer mio stonano:
- dovresti riguardare le concordanze verbali, in particolare l'uso dell'imperfetto mi è parso ostentato (è vero che vieni dalla pianura padana...)
- non mi sono piaciute le critiche, poco velate, alla società che avanza, alla tecnologia e al cambiamento in genere (adoro invece il tono sarcastico alla Benni :wink: )
- l'introduzione mi fa pensare più a un racconto di Steinbeck che non a una vicenda che dovrebbe svolgersi nel 2030
- occhio a virgole e apposizioni

io sono decisamente pignola, non prenderla sul personale! comunque voglio sapere come continua! :MUCCA

Assolutamente mai sul personale, tutt'altro!

Grazie per aver letto e per aver criticato.

Il tono è volutamente gergale, alcune concordanze sono sconcordate di proposito.

Cosa intendi con "poco omogeno"?

Grazie ancora per avermi dedicato del tempo, riflettero' su
ciò che mi hai detto
 
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ila78

Well-known member
Ziggy lo sai che ti voglio bene e che è l'inizio di un romanzo meraviglioso vero?

Leccata preliminare per dirti che confermo il fatto che lo trovo intrigante però....però....mi sembra un tantino "frammentato", anche la separazione tra i paragrafi contribuisce a dare una sensazione di "slegatura", è voluto :?

E' voluto anche il fatto che ripeti in continuazione che siamo nel 2060? Non è un po' pesantino? :?
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Ziggy lo sai che ti voglio bene e che è l'inizio di un romanzo meraviglioso vero?

Leccata preliminare per dirti che confermo il fatto che lo trovo intrigante però....però....mi sembra un tantino "frammentato", anche la separazione tra i paragrafi contribuisce a dare una sensazione di "slegatura", è voluto :?

E' voluto anche il fatto che ripeti in continuazione che siamo nel 2060? Non è un po' pesantino? :?

Sì la frammentazione è voluta. Rifletto su tutto.

Tanti tanti Thanks
 

ila78

Well-known member
Sì la frammentazione è voluta. Rifletto su tutto.

Tanti tanti Thanks

Trovo molto interessante la parte sui ricordi d'infanzia, magari potresti svilupparla un po' di più e, senza svelare nulla della trama, farci capire di più il rapporto tra Pepe e Johnny.
Parere da lettrice ignorante sulla scrittura eeh....vedi tu.:wink:
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Trovo molto interessante la parte sui ricordi d'infanzia, magari potresti svilupparla un po' di più e, senza svelare nulla della trama, farci capire di più il rapporto tra Pepe e Johnny.
Parere da lettrice ignorante sulla scrittura eeh....vedi tu.:wink:

Questo tipo di commento mi è estremamente utile. Sapere cosa è bene sviluppare di più e cosa tralasciare perché magari disordinato.

Non ringrazio più, altrimenti facciamo la fiera del grazie, ma sappiate che questa cosa per me è di grande utilità.
 

Vitt96

Member
Dal punto di vista tecnico, non essendo esperto del settore, non saprei dare un giudizio utile; mi sento soltanto di consigliarti di rivedere il testo e provare a renderlo più "snello", ad esempio:

"Diceva spesso cose intelligenti anche se, ora come ora, non me ne viene in mente nemmeno una."

al posto di:

"Diceva spesso cose intelligenti, anche se adesso come adesso non me ne viene in mente nemmeno una."

Piccoli accorgimenti che secondo me renderebbero la lettura più fluida. Trovo lo stile di scrittura scorrevole, in quanto non ti perdi in lunghe descrizioni e riflessioni (che personalmente non mi dispiacciono). Questo però può avere sia un lato positivo sia negativo perché rende sì la lettura facile e piacevole, ma tende a rendere il racconto frammentato giacché si passa velocemente da una "scena" all'altra.
Ci sta anche bene, secondo me, questo passare velocemente gli avvenimenti "in raccolta" all'inizio; come una sorta di pellicola della vita che passa velocemente davanti agli occhi dei lettori se poi nello svolgimento del racconto concedi al lettore di tenere in mano la pellicola e di dare uno sguardo da vicino ai singoli fotogrammi, quindi andare ad approfondire diversi aspetti del racconto ad esempio, l'amicizia tra Pepe e Jonnhy, l'infanzia del protagonista, magari anche dal punto di vista psicologico.
In ogni caso prendi quanto ti dico con le pinze :HIPP

Mi piace il tono sarcastico che utilizzi e la trama l'ho trovata interessante; spero tu approfondisca la situazione globale di questo ipotetico futuro che è sì ipotetico ma non impossibile. Riporto una frase che mi è molto piaciuta:

Dopo la folle e furibonda corsa del XX secolo, in cui sembrava che la tecnologia stesse per ingurgitare sé stessa e il mondo intero, e dopo che l’eco dei moniti degli intellettuali, spaventati da tanta umana ansia, si spense con lentezza, il mondo, molto semplicemente, si fermò, chetandosi di colpo come un ragazzo maturo dimentico del bambino capriccioso che era.

Non ti faccio domande sulla trama perché aspetto di leggere come prosegue :DTUNZZZ


P.S. Da quando ho letto del presidente degli Stati Uniti non posso fare a meno di immaginarmi Obama che si batte prepotentemente il petto emettendo vari "uh uh uh" mentre ingurgita una banana dopo l'altra; poveri americani... :mrgreen::mrgreen:
 

bouvard

Well-known member
Mi permetto di dire anch'io la mia, spero senza offesa.

1) Troppi CHE.
Sicuramente la forma diretta in cui ha scelto di raccontare la storia non ti aiuta ad evitarli, ma sono decisamente troppi ed almeno qualcuno si potrebbe evitare, esempio:

"Un giorno CHE fece morire un ficus per un travaso sbagliato..."

Si potrebbe scrivere:

"Il giorno IN CUI fece morire un ficus per un travaso sbagliato..."

oppure la frase:

"E lo fece con lo stesso zelo CHE avrebbe messo se avesse dovuto sistemare piante o vendere frigoriferi"

potrebbe diventare:

"E lo fece con lo stesso zelo CON CUI avrebbe sistemato piante e venduto frigoriferi"

Sicuramente i tuoi CHE danno la sensazione a chi legge che il personaggio stia "parlando" direttamente con lui, ma - secondo me - ripeto sono un pochino troppi.

2) Concordo con Velmez su alcuni imperfetti (ed io non sono una maniaca della grammatica :mrgreen:)
 

gamine2612

Together for ever
:? l'impressione primaria è che non riesco a comprendere se esiste una trama.
Sono andata un po' in confusione.
Ogni sensazione, azione, stato è talmente dettagliato che richiede una rilettura, perché ci si perde lungo la strada.
:) questo è cosa ho provato leggendo.
 

malafi

Well-known member
Io Ziggy ho già espresso il mio parere su questa tua vena che, per la verità, si scontra con le mie inclinazioni e dunque il mio non può essere un parere oggettivo (ma il parere non è oggettivo per natura).

Non mi piacciono i romanzi distopici, non mi sono piaciuti nemmeno i grandi romanzi distopici. Dunque parto male.

Tu hai la rara capacità di descrivere le situazioni per sentimenti invece che per immagini e questa è, secondo me, la tua grande forza. Hai la rara capacità di descrivere situazioni dalle quali il lettore è attratto per una sorta di calamita empatica. Leggi e ti ritrovi a dire: ma è proprio vero, quante volte l'ho provato anch'io. Oppure: anch'io avrei provato la stessa cosa in quella situazione.

Questa tua abilità ha poche possibilità di emergere in un romanzo distopico, a meno che tu non ci calchi la mano volontariamente, ma poi non so se risulterebbe coerente col tema del romanzo.

Forse la scelta del romanzo distopico condito con la vena sarcastica (efficace, ma misurata e mai eccessiva) è più semplice e soprattutto più moderna del romanzo interiore. Ma, a mio parere, non fa emergere il lato migliore di te.

Sullo stile non mi esprimo. La correttezza lessicale o la fluidità dei periodi non credo sia un valore assoluto in questo tipo di romanzo.

Se ho curiosità di leggere il resto?

DAI CA.ZZ.O muoviti a scrivere 'sto romanzo :mrgreen:
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Nel ringraziare il mio carissimo amico Mal per il suo ultimo commento, approfitto per lanciare l'ennesimo thanks a tutti.

Le vostre parole sono utilissime e, spendendo tempo ed energia per leggere e commentare questa roba, mi state facendo un grandissimo regalo.

Ps le discordanze dei tempi e il lessico gergale sono ovviamente una scelta, alla Goliardia Sapienza (tanto per volare bassi con i paragoni:HIPP).

La quale scelta può ovviamente non piacere.
 

SALLY

New member
Io non ti posso dire nulla sulla grammatica perchè non sono assolutamente competente, sono una lettrice che va a sensazioni...a me piace, non ho difficoltà con i racconti frammentati, mi è piaciuto l'incontro del bimbo con la morte, e la fine della folle corsa tecnologica, il fatto che non dimentichi gli animali :mrgreen: manca giusto qualcosa di più introspettivo sui personaggi, com'è realmente la mamma di Pepe e il rapporto tra i due?! ...e perchè Jonnhy è un piromane? che gli è successo? ...oddio, io sono curiosa, magari hai tutto in serbo per dopo. Ottimo il tono sarcastico...a me sai chi ricorda il tuo modo di scrivere....non Steinbeck, come dice Velmez, ma G.G. Marquez :mrgreen:
 

c0c0timb0

Pensatore silenzioso 😂
Siamo tutti portati a fare dei paragoni. Quindi solo poche righe...
Quello che mi ricordano questi tre capitoli è un miscuglio (assolutamente non inteso in senso negativo) fra I. Allende, I. Welsh e, la parte sulle religioni, un po' di Englander e Auslander (un pizzico di maligna derisione di quest'ultimo ci starebbe forse bene, in modo che vada a braccetto con il resto, che così eliminiamo Nathan Englander dal gruppo di confronto :wink:).

Della prosa non mi pronuncio; non sono assolutamente in grado di criticare o analizzare in profondità. Tra l'altro, oramai, chi ci bada più?
Pertanto ciò che mi sento di suggerirti sono i racconti.
Racconti, racconti e ancora racconti!
Penso che tu abbia le qualità per sintetizzare e mantenere il sarcasmo e l'ironia che hai usato finora. Percepisco un bel po' di materiale e idee inespresse; le userei appunto per scrivere novelle che fanno sorridere man mano che le leggi, come è capitato a me mentre, con lo sguardo divertito da ebete, sorridevo ad ogni passaggio divertente.

Il bello è che fra le righe, con i racconti e il tuo modo quasi innocente di esporre le vicende narrate, riesci a far riflettere scrivendo di argomenti appena accennati ma, se vogliamo, profondi. E, per i cuori teneri come il tuo e di molti (e mi ci metto di mezzo), mai banali.
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Devo una birra a tutti (e un pappone di quinoa a Sal), sinceramente non mi aspettavo tanti riscontri. Indaffarati come siamo, è difficile trovare tempo per fare dei favori al prossimo.


Prossimamente posterò altre pagine, sulle quali spero avrete voglia di fare la stessa cosa. Saranno poche, poi non romperò più, promesso.

Faccio un appunto: non ditemi che non avete le competenze, perché non mi interessano i vostri titoli accademici. Ho bisogno invece delle vostre personali opinioni.

La grammatica non è in gioco, è in gioco una scelta stilistica che vorrei sapere se vi piace o non vi piace. Ditemi, per favore, se è un modo di scrivere che fa o non fa per voi. Se vi annoia o vi irrita. Se vi stimola ed eventualmente cosa vi stimola:paura:

Fino a qualche anno fa non avrei mai fatto leggere niente di mio a nessuno. Credo per paura di fallire o per qualcosa che aveva a che fare con una stupida forma di orgoglio infantile.

Invece oggi ho deciso di affrontare le mie voglie, prima che si trasformino in ossessioni scaraventandomi in qualche istituto per matti. Forse c’entra anche una specie di narcisismo recondito.


Un domani saranno quelli come voi le vittime che avrò nel mirino. Ci vogliono lettori avidissimi per spendere soldi e tempo in scritti inutili. Non è modestia, è un dato di fatto. Il mercato è talmente saturo che non c’è bisogno di altri papponi. Di libri ne abbiamo tutti da qui all’eternità e sono certo che nessuno sentisse l'esigenza di conoscere Pepe Violenza e Johnny Mirtillo. L'unico che ha bisogno di vederli camminare e parlare sono io, probabilmente per razionalizzare qualcosa che mi gira dentro come un serpente.


Grazie grazie grazie grazie grazie, non saranno mai troppi.
 

c0c0timb0

Pensatore silenzioso 😂
Continua e vediamo come si sviluppa la storia. Ricorda che se scrivi per te stesso è un conto; se poi piace anche agli altri ti procurerà grande soddisfazione. Ma se il tuo scopo è di sorprendere i lettori, allora, come diceva mi pare Bukowski, le prime pagine saranno puro genio, una goduria, ma il resto... duro lavoro. O una cosa del genere.
Non sfilacciare la struttura! Mi pareva che in qualche punto ci fossi andato vicino. Acchiappa e adotta uno stile e usalo fino alla fine. Sei portato per un linguaggio esilarante per quel poco che ho letto. Se non scrivi solo per te, se puoi, infarcisci con qualche aneddoto divertente ma non dimenticare che ogni personaggio, te ne accorgerai, imparerà a camminare da solo. Non permettergli di fare quello che vuole. Beh, non sempre ad ogni modo.
Togli, aggiungi, lima, riscrivi e non buttare mai nulla. Dopo molto tempo, se il tuo lavoro rimarrà nel cassetto, lo potrai risuscitare e magari optare per una nuova stesura (senza mai buttare la/le precedenti). Le riletture sono sempre sorprendenti, vedrai...

Dài! Il seguito dov'è?
 
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