Faulkner, William - Gli invitti

ayuthaya

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Ho letto che Gli invitti è considerato una delle opere “minori” di Faulkner (termine strano... che vuol dire “opera minore”?), mentre altri critici affermano che si tratta di uno dei suoi “capolavori”. Possono essere vere entrambe le cose?
“Minore” è sicuramente il tono, non sommesso ma nemmeno urlato, infuriato, come altri romanzi che ben conosciamo. In queste pagine nessuno alza la voce, anzi, per tutta la durata del libro si prova la strana sensazione di vivere situazioni e sentimenti gravi, profondi – come la guerra, la morte, la vendetta, il tradimento – come se non si trattasse di qualcosa di reale, che fa male, solo-quello-e-basta, ma qualcosa di diverso, aggiunto, sublimato: si combatte per onore, si uccide per dovere, si ruba per misericordia. Agli occhi di questo Sud, e di questo bambino (poi ragazzo) del Sud, tutto sembra dettato dalla necessità, e la necessità dai princìpi, e i princìpi dall’orgoglio. E i princìpi e l’orgoglio sono un’eredità alla quale non si vuole rinunciare, pesante come la cassa delle posate d’argento che si continua a sotterrare nel vano tentativo di custodirla. Non ci sono mostri in questa guerra, i nordisti sono i “nemici” e per questo “cattivi”, ma persino i nordisti sono capaci di rispetto, la dignità umana viene prima della guerra. O pretende di giustificare la guerra?

Questo è in qualche modo il percorso di maturazione che compie il protagonista, unica voce narrante a differenza di altri romanzi faulkneriani. Bayard Sartoris, figlio di un comandante dell’esercito sudista, racconta gli eventi a cui assiste in presa diretta e, anno dopo anno, episodio dopo episodio (dalla fine della guerra ai primi rozzi tentativi di ricostruzione politica), cresce e matura sotto i nostri occhi fino a diventare pienamente uomo, cosciente e libero.
Leggendo questo libro sembra di essere in un film. Lo svolgimento ha uno stampo prettamente cinematogafico: un susseguirsi di scene di forte impatto (a quanto pare il romanzo è nato dalla fusione di nuclei narrativi nati come racconti) che ci restano impressi per la loro vividezza. Piccoli particolari (il semplice e significativo gesto di lavarsi la bocca col sapone, a cui il protagonista e il suo compagno-fratello di colore sono costretti dalla nonna ogni qualvolta commettono un peccato, fosse anche una piccola bugia) che, acquistando forza nel loro ripetersi, preludono a un epilogo scenografico, tragico o grottesco, che chiude il capitolo e fa girare pagina. E così ogni volta, in un crescendo non di azione ma di consapevolezza. Il filo rosso che racchiude questi capitoli/racconti c’è: è la presa di coscienza del giovane Sartoris, che si fa largo non attraverso pensieri, introspezioni o flussi di coscienza che dir si voglia, ma attraverso l’evoluzione del suo dominio sui puri fatti.

Tutto il romanzo è un susseguirsi di fatti: l’amicizia con Ringo, il rapporto ambiguo col padre, la condotta della nonna – figura memorabile – l’anticonformismo di Drusilla, la sorte degli schiavi, “sedotti” e poi abbandonati dai nordisti. Nessun commento a questi fatti, che pure come ho detto sono narrati in prima persona, ed è la cosa che mi è piaciuta di più, perché questa “assenza di giudizio” mantiene il ritmo incalzante, la narrazione imprevedibile. Lo stile è asciutto, scarno, a noi il compito di ricostruire sentimenti e intenzioni; poche interessanti trovate, come quella (non abusata) di anticipare di una o due pagine le “tracce” di un evento, in modo da disorientare, incuriosire e trascinare il lettore alla scoperta di ciò che è accaduto. E lungo questo procedere serrato verso gli esiti di una Storia che già conosciamo, Bayard costituisce se non la svolta, almeno un passaggio importante: dalla fatale immobilità della società sudista, "invitta" perché non sa di essere vinta, alle nuove prospettive politiche e sociali che la fine della guerra porta con sè. Un momento emblematico nella storia degli Stati Uniti raccontato in modo epico e travolgente, da “capolavoro”.
Un ottimo e inaspettato Faulkner, perfetto per chi dovesse approcciarsi a lui per la prima volta temendo le sue opere più impegnative.
 
Ultima modifica:

c0c0timb0

Pensatore silenzioso 😂
No, non è affatto un'opera minore. Anzi racchiude un insieme di stili che hanno precorso i tempi. Faulkner è sempre geniale e imprevedibile. Perfetti i personaggi, (la nonna. Addirittura comiche le sue "malefatte"!) intrigante la prosa, apparentemente sconclusionata ma sempre affascinante.
Uno dei miei preferiti assieme al poco considerato La paga del soldato.

Bellissima la recensione!
 
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