Ho inserito questo libro nella mia wishlist non perchè mi interessasse particolarmente fare la conoscenza di Zerocalcare (sebbene una certa fama avesse iniziato a incuriosirmi), nè perchè volessi provare a tutti i costi una lettura alternativa (sebbene... perchè no?!), ma per l’argomento trattato. Talmente grande sta diventando la mia passione letteraria per le “porte aperte sulla Storia” (che sia passata, recente o contemporanea non ha importanza, basta che mi offra l’occasione di imparare qualcosa di nuovo), che il racconto di un viaggio a Kobane, nel cuore della resistenza curda, non poteva non attirare la mia attenzione.
Intendiamoci, non consiglierei mai questa graphic novel a chi sia interessato ad approfondire seriamente la vicenda del Kurdistan e della guerra in Siria. Zerocalcare non ha scritto un testo di geopolitica e ne è ben consapevole: più volte chiede scherzosamente perdono a noi lettori per le necessarie semplificazioni, che riducono anni, persino decenni di Storia a poche vignette volutamente ironiche, che lui stesso definisce “pipponi”... D’altra parte penso che, per chi non conoscesse questo autore, così come non lo conoscevo io, iniziare da Kobane calling non sia proprio la scelta più adatta. Ma mettiamola così: se non mi fossi imbattuta in questo titolo, forse non avrei mai letto questo autore e sarebbe stato un peccato, perchè indubbiamente Zerocalcare ha del talento. Non posso paragonarlo ad altri fumettisti essendo la prima volta che leggo una graphic novel, però mi è piaciuto, mi ha divertito, mi ha coinvolto dalla prima all’ultima pagina. E mi ha aiutato a superare un certo pregiudizio che innegabilmente nutrivo per un genere che non è annoverato proprio fra quelli di “alta letteratura”.
Ma torniamo al contenuto: mea culpa sapere così poco di un argomento così importante e soprattutto così vicino, nel tempo e nello spazio. Imperdonabile quindi che io mi sia ridotta ad apprendere alcune informazioni fondamentali da questo libro e non dai giornali/telegiornali... Ma, fatto il danno, questa è stata la mia modesta espiazione: venire a sapere, anche se solo a grandi linee, cos’è il Rojava, cos’è il confederalismo democratico e quali sono i valori su cui si fonda, chi è Ocalan (ne ricordavo solo vagamente il nome), chi sono i PKK e qual è il ruolo della donna in questa battaglia che non è solo la rivendicazione del diritto all’autodeterminazione di un popolo, ma a principi sacrosanti quali l'uguaglianza di genere,la sostenibilità ambientale, la tolleranza per le diversità religiose, culturali e politiche. Utopia? Se lo è, è l’utopia più concreta e coraggiosa di cui abbia sentito parlare, almeno in tempi recenti. Ma preferisco parlare di un progetto, di una sfida tutt’al più, una sfida che molti, quasi tutti (a quanto ho capito) sostengono a parole e nessuno nei fatti.
Troppi dubbi, troppe domande ha suscitato in me la lettura di questo libro, e fin da subito ho cercato (magari in modo semplicistico) di trovare alcune delle risposte che riescano a colmare le mie enormi lacune in materia. Non sarà certamente sufficiente, ma avevo bisogno di una spinta a iniziare, di un’occasione, e questa l’ho trovata in Kobane calling.
Mi soffermo ancora qualche riga per dire che, a prescindere dal contenuto, lo stile di Zerocalcare mi è piaciuto molto: senza mai prendersi troppo sul serio, offre spunti di lettura di tutto rispetto. Tante, tantissime volte non ho potuto trattenere vere e proprie risate leggendo la difficoltà del protagonista di adattarsi a un’esperienza indubbiamente forte ed estrema, delle sue paure di giovane adulto “qualsiasi”, del suo continuo rapportarsi, anche nelle situazioni più difficili, alla sua personale realtà, che non è Roma, ma Rebibbia: il micromondo che resta il suo incrollabile punto di riferimento persino a un tiro di schioppo dai militanti dell’ISIS. Ad esempio mi sono piegata in due di fronte alle vignette che rappresentavano la sua crisi di astinenza da merendine occidentali, solo mitigata dall’insorgere di una nuova droga tutta locale: il chai.
L’unica pecca, che mi ha sinceramente infastidito, è stato il profluvio di parolacce... ho capito lo stile e il linguaggio “giovane” a tutti i costi, ma magari si riesce ad essere ugualmente moderni e divertenti con qualche parolaccia in meno!