Tanizaki, Junichiro - L'amore di uno sciocco

bouvard

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L’amore di uno sciocco: mai titolo di libro è stato più azzeccato di questo! Joji Kawai è uno sciocco, inutile cercare di giustificarlo, o trovargli delle scusanti. D’altronde lui stesso lo riconosce, anche se poi pur essendone consapevole non reagisce e non cerca in alcun modo di non comportarsi da sciocco, e questa è forse la cosa che più mi ha irritato in tutto il libro. Joji è talmente infatuato della sua Naomi – mi dispiace, ma per me non si tratta di amore – da idealizzarla, attribuendole qualità che non ha e sminuendone volgarità e bassezza. Si lascia soggiogare dai suoi tratti vagamente occidentali al punto da pensare di poterla “plasmare” e farne la sua donna ideale, quasi Naomi non avesse una propria personalità. Ed invece questa personalità Naomi ce l’ha, per quanto pessima e riprovevole. Perciò non impiega molto a capire che può essere lei a plasmarlo, infatti l’accondiscendenza di lui ad ogni suo capriccio le dimostrano solo quanto “potere” ha su di lui. E questo è la fine per il nostro povero Joji! Basta leggersi i capitoli finali per rendersi conto di quanto sia grande questo potere, è per capire fino a che punto lui sia una marionetta nelle mani di lei. Per quanto Naomi sia odiosa, insopportabile, per quanto per tutto il libro si avrebbe voglia di prenderla a sberle, nei capitoli finali non si può non ammirarla. Naomi è coerente con il suo personaggio fino in fondo, p…. e manipolatrice, gioca tutte le carte che ha a sua disposizione e le gioca davvero bene e soprattutto con una faccia tosta davvero incredibile. Conclusione Naomi sarà pure un personaggio insopportabile, ma Joji resta solo uno sciocco.
Ci sarebbe poi da fare tutta una discussione sull’apertura del Giappone alla cultura occidentale, è quindi sul tentativo/desiderio delle donne giapponesi di imitare quelle occidentali, sul diverso modo di concepire e di “usare” il corpo, ecc. ecc. ma per questo fate prima a leggervi i libri di Tanizaki che sicuramente sono più esplicativi delle mie parole.
 

ayuthaya

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Mi sono piaciuti questo autore e questo libro, che pagina dopo pagina si rivela meno “banale” di quanto possa sembrare all’inizio. Questo perché sebbene lo svolgimento dei fatti sia per certi versi scontato – l’ inarrestabile degradarsi e umiliarsi di uno “sciocco” innamorato – non lo è il modo in cui questo viene raccontato e analizzato, soprattutto a partire da metà libro, quando, per quanto “sciocco”, il protagonista e narratore è capace di guardare dentro se stesso e riconoscere non solo le proprie colpe, ma anche la propria volontà di accettare la sua sottomissione, fino alle estreme conseguenze.
Il libro si apre sulla più classiche delle situazioni: un uomo non particolarmente bello nè colto, ma sicuro di sé e del “potere” che gli deriva da una situazione di relativa superiorità sociale, decide di prendere sotto la propria ala una giovane e affascinante cameriera, Naomi, la quale in apparenza acconsente a farsi “plasmare” da lui in segno di riconoscenza.
A ben vedere, fin dall’inizio Joji è consapevole della disparità su cui si basa la propria relazione, ma non sembra darsi troppa pena per questo, anzi: fa di tutto per sottolineare la diversità del loro rapporto rispetto alle convenzioni sociali giapponesi, dal cui giogo entrambi tentano di liberarsi. L’unico motto che sembra ispirarli è rompere la tradizione, guardare all’Occidente. L’anticonformismo, la presunta modernità della loro vita, persino dopo il matrimonio, è motivo di orgoglio e quasi di ostentazione per entrambi e soprattutto per Joji, fiero di poter “esibire” una moglie così bella, seducente e “occidentale”.
Ben presto, però, l’uomo si rende conto che non si può “comprare” la fedeltà, e nemmeno la gratitudine. Se le cose cominciano a degenerare, in fin dei conti la colpa è soprattutto sua, di questo “sciocco” non solo perché si fa prendere in giro da una donna sempre più scaltra, che gliela fa sotto gli occhi senza che lui se ne accorga, ma perché a indirizzarla sulla “cattiva strada” – quella che mira a renderla altro da se stessa – è stato lui.
Per cui, come accennavo all’inizio, quella che sembrava delinearsi come la tipica situazione di dominazione amorosa – folle d’amore lui, cinica e astuta lei – in realtà si rivela essere qualcosa di meno banale, di più profondo e tragico: l’illusione di poter imitare qualcuno (in questo caso il “modello occidentale”, assunto come non plus ultra di bellezza e modernità) senza perdere se stessi. E a perdersi, in questo romanzo, saranno entrambi: Joji, lo “sciocco”, e Naomi, la “prostituta”, colei che vende se stessa, la sua “autenticità” di donna e di giapponese al miglior offerente.
Le pagine centrali, nelle quali Tanizaki indaga l’animo di Joji (o per meglio dire Joji indaga se stesso) mi sono piaciute molto, e ancora di più mi sono piaciute le pagine finali, in cui Naomi, ormai perfettamente padrona di sé e del “metodo” per ottenere ciò che vuole, dà prova di tutta la sua maestria: per quanto si possa averla detestata fino a questo momento (mai come Joji, però!), alla fine non si può non riconoscere il suo assoluto e – perché no? – meritato trionfo.

Scrittura raffinata, interessante, molto “giapponese”. È certo che proseguirò nella conoscenza di questo autore.
 
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