D'Urbano, Valentina - Non aspettare la notte

estersable88

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Sinossi:
Giugno 1994. Roma sta per affrontare un'altra estate di turisti e afa quando ad Angelica viene offerta una via di fuga: la grande villa in campagna di suo nonno, a Borgo Gallico. Lì potrà riposarsi dagli studi di giurisprudenza. E potrà continuare a nascondersi. Perché a soli vent'anni Angelica è segnata dalla vita non soltanto nell'animo ma anche su tutto il corpo. Dopo l'incidente d'auto in cui sua madre è morta, Angelica infatti, pur essendo bellissima, è coperta da cicatrici. Per questo indossa sempre abiti lunghi e un cappello a tesa larga. Ma nessuno può nascondersi per sempre. A scoprirla sarà Tommaso, un ragazzo di Borgo Gallico che la incrocia per caso e che non riesce più a dimenticarla. Anche se non la può vedere bene, perché Tommaso ha una malattia degenerativa agli occhi e sono sempre più i giorni neri dei momenti di luce. Ma non importa, perché Tommaso ha una Polaroid, con cui può immortalare anche le cose che sul momento non vede, così da poterle riguardare quando recupera la vista. In quelle foto, Angelica è bellissima, senza cicatrici, e Tommaso se ne innamora. E con il suo amore e la sua allegria la coinvolge, nonostante le ritrosie. Ma proprio quando sembra che sia possibile non aspettare la notte, la notte li travolge…

Valentina D’Urbano è, sin dal suo primo romanzo, una certezza: mi piace il suo stile, mi piacciono i temi che tratta e come li tratta. Ho cominciato a leggere questo libro ieri mattina presto, in preda all’insonnia e l’ho terminato stanotte: non ho potuto staccarmene per tutto il giorno, c’era una forza magnetica che mi teneva incollata a questa storia. Mentre leggevo, le sensazioni erano le più diverse: dapprima interesse per la vicenda di Angelica, che porta sul corpo i segni indelebili di un “incidente” d’auto avvenuto anni prima e nel quale sua madre è rimasta uccisa; poi stupore per la somiglianza tra me e Tommaso (eh sì, mi sarei aspettata di ritrovarmi nella protagonista femminile e invece no!); poi rabbia per l’evoluzione della storia, poi speranza ed infine trepidazione perché volevo assolutamente sapere come andava a finire tra questi due dannatissimi ragazzi!
Angelica e Tommaso hanno vent’anni e sono molto diversi: lei è ricca, è la proprietaria di una bellissima villa sulle colline toscane, non ha amici, è scostante con tutti e può sembrare snob, ma in realtà è solo molto, molto spaventata. E’ spaventata dal giudizio degli altri, ha paura di soffrire ancora: il suo corpo e il suo bel viso sono sfigurati da quel tragico incidente che ha cambiato la sua vita per sempre. Lui, Tommaso, è bello e sveglio, è ben voluto da tutti in paese, ma si porta dietro il fardello di una malattia rara che gli ruba il tempo e la luce: sta per diventare completamente cieco, passa giorni buoni in cui riesce a distinguere i contorni delle cose e giorni cattivi in cui anche le azioni più comuni diventano difficili. Proprio in questi giorni Tommaso usa la sua Polaroid con cui ferma le immagini che gli sembrano interessanti per rivederle con calma, nei giorni buoni. E mentre scatta foto alla villa dei Gottardo, la famiglia più ricca del paese, Tommaso incontra Angelica. Da piccoli si conoscevano, giocavano insieme, ma ora nessuno dei due si ricorda dell’altro: fra quei tempi felici ed il presente è passata una vita e tante cose sono cambiate. Eppure Tommaso è folgorato da questa ragazza sfigurata che nelle sue istantanee appare bellissima, senza cicatrici e non può fare a meno di cercarla, di starle accanto. Ben presto, nonostante le remore di Angelica, la vitalità di Tommaso ha la meglio: i due si innamorano, diventano inseparabili, le loro anime scheggiate si trovano e formano qualcosa di bellissimo. Ma quando tutto sembra andar bene qualcosa si rompe… la fiducia tradita, un chiarimento che non arriva… tutto sembra compromettersi. Angelica sposa un altro, la malattia di Tommaso peggiora rapidamente, troppo rapidamente… è ancora lecito sperare?
Non mi risulta facile parlarvi di questo romanzo… c’è molto di me in queste considerazioni, forse perché sono emotivamente coinvolta: Tommaso, il coprotagonista di questa storia, è affetto da una grave e rara forma di retinopatia degenerativa che lo porta progressivamente verso la cecità. Io, invece, sono non vedente dalla nascita quindi, in qualche modo, posso capirlo. Non nego che in alcuni tratti, soprattutto verso la fine quando la malattia peggiora, mi sono anche un po’ risentita con lui perché non reagiva, si era chiuso in se stesso, si era lasciato andare. Avrei voluto dirgli:”Ehi, testone! Alzati, vestiti, esci di casa, parla con le persone, si vive bene ugualmente, è solo diverso… ok, a volte è più difficile, ma basta imparare!”. Poi ho capito… io la mia condizione l’ho accettata perché la conosco e ci convivo da sempre. Tommaso no! La sua situazione non è definitiva e poi lui prima vedeva! Lui i suoi familiari li ha visti, non li ha solo immaginati! E lo stesso dicasi per il suo paese, gli amici, Angelica! Assimilato questo concetto, ho cominciato a tifare apertamente per lui. Perché vi racconto questo? Magari ora non vi interessa, ma è un concetto fondamentale per capire il romanzo e per non confondere il pietismo con la realtà: Valentina D’Urbano, com’è suo solito, è stata bravissima nell’affrontare questo tema difficile perché quella che in apparenza potrebbe sembrare commiserazione è, invece, profonda comprensione della difficoltà di questo ragazzo. La stessa comprensione che, specularmente, ha dimostrato per Angelica e per il suo corpo segnato. Quest’autrice ha dimostrato, sin da “il rumore dei tuoi passi”, un’abilità particolare nel raccontare le vite degli altri, specialmente quelle vite ammaccate, che arrancano come il Ciao di Tommaso; sa scostare quel velo di apparenza per indagare a fondo nell’animo umano e lo fa sempre a viso aperto, prendendo i problemi di petto. Lo dimostra il suo stile particolarissimo, diretto, senza fronzoli, infarcito (quando serve) di espressioni colloquiali che esprimono perfettamente la quotidianità descritta. Ancora una volta, quindi, complimenti a quest’autrice. Un unico, piccolo, appunto: vista la puntualità della narrazione avrei voluto qualche pagina in più per il finale, bello ma forse un po’ sbrigativo… ma probabilmente è solo la mia ingordigia di lettrice.
Una lettura, comunque, che vi consiglio con particolare calore!
 
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renzo77

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Lettura soddisfacente

Letto qualche mese fà, il testo scorre via bene anche se l'ho trovato più adatto ad un pubblico adolescenziale.
 

alessandra

Lunatic Mod
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Questo libro ha suscitato in me sensazioni contrastanti e infatti questo commento sarà molto contraddittorio.
La sera non avevo nessuna voglia di prendere in mano il romanzo ma, una volta che lo prendevo, non riuscivo più a staccarmene.
Non avevo mai letto niente di Valentina D'Urbano, la quale mi ha dato l'impressione di una scrittrice brava, con buone potenzialità, ma forse ancora un po' ingenua. E, ancora di più dopo aver letto la bella recensione di estersable, mi è rimasto un dubbio: sarà così o sarò io a non avere la sensibilità giusta per provare un'empatia maggiore con lei e con i suoi personaggi? E' vero che negli ultimi anni, da buona vecchiaccia inaridita, è molto difficile che le storie d'amore mi coinvolgano (ma questa non è una storia d'amore, non solo!).
Il prologo è folgorante e l'idea è buona, anche se forse presa di per sé non originale: un ragazzo e una ragazza, ciascuno con un diverso problema fisico, uniscono le loro solitudini. Almeno, per un periodo. (Però qui mi chiedo: è necessario che entrambi abbiano problemi di questo genere, affinché si riconoscano e si capiscano? Forse perché entrino in empatia tra loro fino in fondo sì ...). Questa è la mia impressione: i protagonisti non sono superficiali - ho provato una grande simpatia per Tommaso -, ma nemmeno profondi come potrebbero essere. (Eppure ho tifato per loro, eccome). Forse sono stati i personaggi di contorno (si fa per dire) come Guido o Maddalena a "disturbarmi", un po' troppo stereotipati, prevedibili. Credo che questa storia sia bella, ma che potrebbe esserlo di più. Lo so che può sembrare una sciocchezza, che sono tanti i libri o le storie che potrebbero essere "più belle", eppure qui questa sensazione l'ho provata forte. Come se il libro recasse in sé qualcosa di importante, ma mancasse qualcosa di altrettanto importante. O forse, semplicemente, non mi ha dato quanto mi aveva promesso all'inizio.
E comunque leggerò ancora la D'Urbano, e magari neppure le prossime volte riuscirò a staccarmi dai suoi libri.
 
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