Schmitt, Eric Emmanuel - Oscar e la dama in rosa

Jessamine

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TRAMA
Oscar è un bambino di dieci anni. È malato, e i medici non riusciranno a salvarlo. In ospedale, riceve le visite di un'anziana signora, Nonna Rosa, che stringe con lui un formidabile legame d'affetto e lo invita a fare un gioco: fingere che ogni giorno duri dieci anni, e scrivere ogni giorno una lettera a Dio in cui raccontare le avventure e le esperienze di dieci anni, così come le fantasie e le paure, i rapporti con i genitori e i medici, l'amore per Peggy Blue, una bambina ricoverata nello stesso ospedale. Questo piccolo libro è composto da dodici lettere, dodici giorni in cui si concentra la vita di Oscar, giorni scapestrati e poetici, pieni di personaggi buffi e commoventi.

COMMENTO
Temo che le aspettative e gli elogi non abbiano molto giovato al mio apprezzamento di questo libro. Ne avevo sentito parlare così bene che ero quasi sicura che mi sarei innamorata di "Oscar", ma qualcosa non ha funzionato. Non è che non mi sia piaciuto, ma mi è più che altro scivolato addosso. È un libriccino che si legge in un paio d'ore, non di più, e che, ahimé, si dimentica altrettanto velocemente. O per lo meno, io l'ho dimenticato in fretta. E dire che la tematica è a dir poco complessa, profonda e delicata, qualcosa a cui è difficile restare indifferenti. La storia di Oscar e di Nonna Rosa è affrontata con estrema delicatezza e dolcezza, ma sfugge, finisce troppo in fretta, senza dare il tempo al lettore di lasciarsi travolgere a dovere. Oscar è solo un bambino, ma ha il cancro. Oscar vive in un ospedale, il suo soprannome è Testa d'Uovo, e come amici ha Peggy Blue - che è blu per via di una malattia che non permette al suo sangue di circolare correttamente - e Bacon, ospite d'onore del reparto Grandi Ustionati. E poi c'è Nonna Rosa, che racconta d'essere stata una lottatrice e di aver sconfitto donne untissime con un sacco di farina.
Ecco, il tenore del libro è questo: grandi tragedie raccontate con un umorismo che vorrebbe forse ricalcare la spensieratezza dei bambini, ma alla fine sembra solo una grande strizzata d'occhio agli adulti. Per carità, la tematica della malattia è trattata con un rispetto e una consapevolezza che tutti i romanzetti ripieni di tragedie che tanto vanno oggi possono solo sognarsela, ma a fine lettura mi è rimasto addosso un senso di artificio, di giochino retorico, di mancanza di sostanza.
Ecco, ho trovato che questo libro avesse poco di autentico: mi è quasi parso che l'autore, per tutto il tempo, non facesse altro che darmi di gomito gridando: "Hai visto come sono bravo? Come parlo bene di queste cose! Guarda ora come ti faccio piangere, perché la mia idea di presentarti un bambino in fin di vita che scrive lettere a Dio costruite ad arte è troppo geniale, è troppo simbolica, su, disperati!".
Mi è sembrato un libro troppo cerebrale, ma la tematica richiedeva anche tante viscere. Si sono strette anche quelle, ma solo di riflesso. Certo, forse è stato meglio così, perché se avesse puntato dritto allo stomaco, avrebbe potuto essere veramente straziante, ma insomma, non sono rimasta troppo colpita da questo libriccino.
 
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qweedy

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Per me invece è stato un colpo al cuore, lo considero un capolavoro, che affronta con lievità e con linguaggio delicato ma intenso il tema della vita e della morte. Sono solo 90 pagine, si legge in un'ora.
Ho visto che le recensioni negative su questo libro (in Internet) si possono riassumere in: "un libro pieno di ovvietà, fintamente filosofico, fintamente zen". Le stesse critiche che alcuni rivolgono a Il piccolo principe, e a Va' dove ti porta il cuore. A me questi libri sono piaciuti moltissimo. Non so dire se sono "fintamente" filosofici, a mio parere sollevano quesiti essenziali in modo molto semplice.
Il linguaggio di Eric-Emmanuel Schmitt anche negli altri suoi libri è questo, con una leggerezza da bambino esprime verità essenziali.

Ho visto in un bellissimo chiostro antico la versione teatrale, recitata da Amanda Sandrelli, parole e musica intensamente interpretate con grande sensibilità artistica.
Amanda, indossando un pigiama e a piedi nudi, regala un'interpretazione di un'intensità sconvolgente, e con il corpo e con la voce dà vita a tutti i personaggi del libro. La sua bravura lascia senza fiato, 90 minuti di un monologo denso di contenuti filosofici, religiosi, esistenziali, in cui interpreta con straordinaria gestualità sia il piccolo Oscar sia nonna Rosa, la volontaria che lo visita in ospedale.
Ad accompagnarla sono poi la grazia e la leggerezza della musica di Giacomo Scaramuzza, liberamente tratta dallo Schiaccianoci di Tchaikovsky.
Con un'intensità che non immaginavo e che non ho mai visto in un attore mi ha fatto capire che chi fa teatro non lo fa per i soldi, ma per passione.

“Ho cercato di spiegare ai miei genitori che la vita è uno strano regalo. All’inizio lo si sopravvaluta, questo regalo: si crede di aver ricevuto la vita eterna. Dopo lo si sottovaluta, lo si trova scadente, troppo corto, si sarebbe quasi pronti a gettarlo. Infine ci si rende conto che non era un regalo, ma solo un prestito. Allora si cerca di meritarlo. Io che ho cent’anni, so di che cosa parlo.”

"L’ospedale è molto gradevole se sei un malato gradito. Io non faccio più piacere. Da quando sono stato sottoposto al trapianto di midollo osseo, sento proprio che non faccio più piacere. Quando il dottor Düsseldorf mi visita, la mattina, lo fa di malavoglia, lo deludo. Mi guarda senza dire nulla, come se avessi commesso un errore. Eppure ho affrontato con impegno l’operazione; sono stato bravo, mi sono lasciato addormentare, ho avuto male senza gridare, ho preso tutte le medicine. (...). Più il dottor Düsseldorf tace con il suo sguardo sconsolato, più mi sento colpevole. Ho capito che sono diventato un cattivo malato, un malato che impedisce di credere che la medicina sia straordinaria."

“Quando mi sono svegliato, ho visto che, naturalmente, mi avevano portato dei regali. Da quando sono ricoverato in permanenza all’ospedale, i miei genitori hanno qualche difficoltà con la conversazione; allora mi portano dei regali e trascorrono dei pomeriggi schifosi a leggere le regole del gioco e le istruzioni per l’uso. Mio padre si accanisce nello studio dei foglietti illustrativi: anche quando sono in turco o in giapponese, non si scoraggia. E’ campione del mondo del pomeriggio domenicale sciupato.”
 

maclaus

New member
Ecco, ho trovato che questo libro avesse poco di autentico: mi è quasi parso che l'autore, per tutto il tempo, non facesse altro che darmi di gomito gridando: "Hai visto come sono bravo? Come parlo bene di queste cose! Guarda ora come ti faccio piangere, perché la mia idea di presentarti un bambino in fin di vita che scrive lettere a Dio costruite ad arte è troppo geniale, è troppo simbolica, su, disperati!".

...se conoscessi la storia personale dell'autore, forse la penseresti diversamente...
 

Jessamine

Well-known member
Ecco, ho trovato che questo libro avesse poco di autentico: mi è quasi parso che l'autore, per tutto il tempo, non facesse altro che darmi di gomito gridando: "Hai visto come sono bravo? Come parlo bene di queste cose! Guarda ora come ti faccio piangere, perché la mia idea di presentarti un bambino in fin di vita che scrive lettere a Dio costruite ad arte è troppo geniale, è troppo simbolica, su, disperati!".

...se conoscessi la storia personale dell'autore, forse la penseresti diversamente...

Ammetto che la mia conoscenza si ferma alle tre righe di biografia su Wikipedia.
Questo è quello che io ho provato leggendo questo libricino, non certo un giudizio di verità assoluta sull'autore e su tutta la sua opera.
A me è parsa una narrazione poco autentica, e non metto in dubbio che la colpa possa essere di una mia lettura superficiale o poco empatica.
Se volessi condividere quello che sai sulla storia personale dell'autore, sicuramente la discussione ne gioverebbe.
 

maclaus

New member
Premetto subito che, come per ogni cosa, i gusti personali sono indiscutibili e che ognuno di noi ha una visione delle cose diversa...In questo caso mi sono permesso di intervenire solo perché non mi sembrava giusto il modo semplicistico e pregiudiziale con cui hai "liquidato" l'opera in argomento.
Nel caso di Eric-Emmanuel Schmitt posso dirti che non c'è nulla di costruito a tavolino o - peggio ancora - di commerciale.
Egli, fino a un certo punto della sua vita, era un laico appassionato di musica e filosofia, lontanissimo da certi temi spirituali... Poi ci fu la conversione, avvenuta una notte nel deserto del Sahara, e da lì la sua vita ebbe tutto un altro senso. A questo proposito, oltre alle altre sue opere (Il visitatore, Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano, Il vangelo secondo Pilato, ecc.) ti consiglio di leggere La notte di fuoco, dove si capisce veramente la sua esperienza personale e quanto di essa trasferirà nelle sue opere successive...
 

Jessamine

Well-known member
:? Probabilmente mi sono espressa male nel commento iniziale. Non ho mai voluto mettere in discussione l'autenticità del contenuto spirituale dell'opera, che anzi per un certo verso ho apprezzato, né ho voluto liquidare qualcosa in maniera semplicistica, né avevo pregiudizi di sorta (dato che conoscevo l'autore solo per nome) ma, ahimè, evidentemente devo aver fallito.
Semplicemente lo stile, la costruzione della storia, il modo di affrontare una questione sicuramente complessa e molto sentita dall'autore non mi ha convinta del tutto.
La sua poetica non è nelle mie corde, probabilmente. Come a Qeeedy, anche a me ha ricordato Il piccolo principe, con la differenza che però io, personalmente, non apprezzo questo modo di raccontare storie, perché, per la mia sensibilità, lo trovo poco sincero (di nuovo, a livello stilistico, non certo per i contenuti).
Non so se riesco a spiegarmi, nella mia mente ho ben chiaro il concetto ma probabilmente faccio fatica a esprimerlo decentemente.
Sicuramente è tutt'altro che un'opera commerciale, questo ho cercato di chiarirlo anche nel mio primo commento, e indubbiamente il pensiero di Schmitt è ragionato e profondo, però, almeno per il mio modo di essere, l'ho trovato poco efficace.

Sicuramente è un autore che vorrei però approfondire, magari partirò proprio da La notte di fuoco.
 

maclaus

New member
Visto che ormai siamo in pieno "dibattito" su Schmitt, cara Jess ti consiglio la lettura de "Il visitatore", opera sorprendente (per me), da cui è tratta una bellissima piece teatrale...
ed anche Il vangelo secondo Pilato: un libro intenso ed anche "spiazzante" per certi versi (soprattutto per un cattolico praticante come lo sono io...):D

In ogni caso, stiamo parlando, a mio modesto parere, di un grande autore...:)
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Ringrazio di tutto cuore Qweedy che, in un'altra discussione, ha citato questo libro facendomi venire una gran curiosità.

In genere, pur essendo cattolica credente e praticante, non amo i romanzi in cui la religione e la fede occupano un ruolo preponderante… però per ogni regola ci sono delle eccezioni: Oscar e la dama in rosa è una di queste. Con la sua solita leggiadria, Eric-Emmanuel Schmitt riesce a rendere accettabile anche ciò che non lo è… perché non è accettabile che Oscar, uno sveglio ragazzino di dieci anni stia per morire di leucemia. Non è accettabile che sia confinato in ospedale, senza poter avere il conforto dei propri genitori se non una volta a settimana, e con l'unica compagnia di altri bambini ammalati, infermiere e medici in evidente imbarazzo e dame in rosa. E' proprio una di queste donne che, con i loro camici rosa, portano conforto agli ammalati, a riuscire a spezzare la corazza di silenzio ed impenetrabilità che Oscar ha eretto per difendersi. E' la donna che Oscar chiama Nonna Rose a convincerlo a scrivere a Dio, a rivelare a lui le paure e i pensieri inespressi. «Confidagli i tuoi pensieri. I pensieri che non dici sono pensieri che pesano, che si incrostano, che ti opprimono, che ti immobilizzano, che prendono il posto delle idee nuove e che ti infettano. Diventerai una discarica di vecchi pensieri che puzzano, se non parli». Questo Nonna Rose dice ad un demoralizzato Oscar che ormai ha capito che morirà presto e pensa di non piacere più a nessuno, perché tutti in ospedale lo trattano diversamente. Ed Oscar scrive, confessa tutto a Dio e fa un gioco con lui e con la dama: ogni giorno che gli resta sarà come vivere dieci anni. Ad Oscar la morte fa paura non perché è ignota, ma perché gli farà perdere tutto ciò che conosce… e forse è così anche per tutti noi.
In un libricino di 100 pagine circa è condensato il più grande interrogativo, il più grande spettro della vita umana: la morte; Eric-Emmanuel Schmitt ci offre un'ancora per viverla nel modo migliore possibile, per accettarla come parte stessa della vita. Dio è molto presente in questo libro, ma c'è anche tanta ironia, leggerezza, fantasia… è una fiaba coraggiosa, questa, e come tutte le fiabe serve a rischiarare il buio, il nero delle nostre paure più recondite. E' impossibile non commuoversi davanti alle domande di Oscar, al suo spaesamento di fronte alle reazioni degli adulti; non si può non sorridere leggendo dei suoi "approcci" con le ragazze del reparto… E' un libro che consiglio a tutti perché parla di cose che riguardano tutti, ma occorre tener conto che parla comunque della malattia di un bambino… perciò leggetelo quando sarete nello stato d'animo giusto.
 
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