Murakami, Haruki - L'arte di correre

Jessamine

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TRAMA
Quando, nel 1981, Murakami chiuse Peter Cat, il jazz bar che aveva gestito nei precedenti sette anni, per dedicarsi solo alla scrittura, ritenne che fosse anche giunto il momento di cambiare radicalmente abitudini di vita: decise di smettere di fumare sessanta sigarette al giorno, e - poiché scrivere è notoriamente un lavoro sedentario e Murakami per natura tenderebbe verso una certa pinguedine - di mettersi a correre. Da allora, di solito scrive quattro ore al mattino, poi il pomeriggio corre dieci o più chilometri. Qualche anno più tardi si recò in Grecia dove per la prima volta percorse tutto il tragitto classico della maratona. L'esperienza lo convinse: da allora ha partecipato a ventiquattro di queste competizioni, ma anche a una ultramaratona e a diverse gare di triathlon. Scritto nell'arco di tre anni, "L'arte di correre" è una riflessione sulle motivazioni che ancora oggi spingono l'ormai sessantenne Murakami a sottoporsi a questa intensa attività fisica che assume il valore di una vera e propria strategia di sopravvivenza. Perché scrivere - sostiene Murakami - è un'attività pericolosa, una perenne lotta con i lati oscuri del proprio essere ed è indispensabile eliminare le tossine che, nell'atto creativo, si determinano nell'animo di uno scrittore. Al tempo stesso, questo insolito libro propone però anche illuminanti squarci sulla corsa in sé, sulle fatiche che essa comporta, sui momenti di debolezza e di esaltazione che chiunque abbia partecipato a una maratona avrà indubbiamente provato



COMMENTO

Sono una persona che ha una profonda ed appassionata relazione con il proprio divano: tutte quelle attività che comportano della fatica fisica, il sudore, lo spingersi almeno un pochino oltre il proprio punto di massimo sforzo non hanno mai fatto per me; mi sento goffa, mi sento scoppiare il cuore dopo un paio di rampe di scale, la mia costanza e determinazione sono pari a zero.*
Non impazzisco per Murakami, ho apprezzato qualcosa di suo, ma gli ultimi approcci mi hanno a dire il vero piuttosto irritata.
Dunque, verrebbe da chiedersi, a che pro leggere un saggio su un argomento lontanissimo da me scritto da un autore che non adoro? Be', perché Murakami è diventato una sorta di porto sicuro. Non mi fa impazzire, eppure so esattamente cosa aspettarmi dai suoi libri, e leggerlo mi dà un senso di sicurezza: so che nei suoi libri troverò diverse cose che non mi piaceranno, so che mi lamenterò sempre delle stesse cose, ma non posso fare a meno di leggere almeno un Murakami all'anno.
E poi c'è la corsa. Ebbene, un paio d'anni fa mi sono ritrovata a cercare di andare a vedere una mostra alla Triennale di Milano, senza avere la minima idea che sarei stata bloccata dalle transenne della Stramilano. Mentre me ne stavo lì a cercare di raccapezzarmi su come fare per attraversare quella maledetta strada, ho cominciato a guardarmi attorno, ed ho imparato alcune cose: ho imparato che c'è gente che partecipa alle corse solo per il gusto di fare pipì davanti a chiunque, senza nemmeno cercare di nascondersi, e anzi, sorridendo allegramente a chiunque abbia la fortuna di incrociare il suo sguardo; ho imparato che durante le corse (o forse, spero, è solo questa ad avere un problemino di organizzazione) si spreca una grandissima quantità di acqua e di plastica, perché lungo il percorso ci sono punti di ristoro pieni di bottigliette d'acqua da cui gli atleti bevono qualche sorso, per poi buttarle come se niente fosse a terra; infine, ho imparato che lungo tutto il percorso di una corsa ci sono persone che non fanno altro che lanciare grida di incoraggiamento ai corridori, a tutti, e ho imparato che ci sono pochissime cose al mondo in grado di commuovermi in maniera così totale e rapida quanto delle persone che compiono un grande sforzo fisico circondate da altre persone che, incessantemente, le incoraggiano.*
Ecco, questa valanga di parole per dire che, forse, "L'arte di correre" non è poi un libro così tanto lontano da me. Perché Murakami parla di corsa, ma non vuole scrivere né un manuale per corridori principianti, né un libro che ogni due pagine grida "hey, alza il sedere e scendi in strada a correre!". Perché Murakami parla di corsa e di scrittura, parla dei suoi libri, lo fa con la voce che ho imparato a riconoscere come familiare, ma senza tutti quegli elementi che mi fanno avvertire come irritante la lettura dei suoi libri.
"L'arte di correre" è un insieme poco organico di ricordi sparsi, aneddoti, riflessioni sulla vita di Murakami, la scrittura e la corsa. Non ha uno scopo preciso, non è particolarmente esauriente, ma probabilmente l'ho apprezzato proprio per questo: Murakami si ritaglia del tempo fra i vari impegni giornalieri per liberarsi di pensieri e riflessioni, senza direttive o progetti di organicità, e da questi pensieri sparsi emerge un libro che si può leggere a spizzichi e bocconi, senza avere un particolare interesse né per Murakami, né per la corsa.
Mi è molto piaciuto, in qualche modo mi ha, posso dir, consolato questo parallelo fra la scrittura di un romanzo e il correre una maratona: per fare entrambe le cose serve concentrazione, serve perseveranza, dedizione, sforzo, esercizio costante; certo una naturale predisposizione serve, ma è rincuorante pensare che la concentrazione sia esattamente come un muscolo. Ed è terribilmente rincuorante sapere che è esistito un uomo che un giorno era un barista sovrappeso che fumava diversi pacchetti di sigarette, ed il giorno dopo è riuscito a diventare scrittore di professione e maratoneta. Soprattutto perché Murakami non si presenta mai come un superuomo, un eroe, qualcuno che stato capace di compiere un gesto straordinario: Murakami resta un uomo con mille difetti, riconosce di essere antipatico a molti, ammette le sue debolezze e i suoi errori, parla del "runner blues" e di tutte le birre ghiacciate che lo hanno tormentato a partire dal trentacinquesimo chilometro.
È ovvio, dopo questo libro non scriverò certamente un romanzo, né mi alzerò ogni mattina alle cinque per andare a correre, però mi resteranno bene impresse nella mente delle immagini piccole ma preziose, come la coda di cavallo bionda di una studentessa di Harvard, la sensazione di non saper respirare mentre tutti attorno si affannano a nuotare, o il gesto semplice di un vecchino a Maratona che toglie un mazzolino di fiori dal loro vaso per porgerli ad un uomo che ha contato i corpi degli animali lungo una statale.
 
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