Jessamine
Well-known member
Nella cittadina di Holt, in Colorado, Dad Lewis affronta la sua ultima estate: la moglie Mary e la figlia Lorraine gli sono amorevolmente accanto, mentre gli amici si alternano nel dare omaggio a una figura rispettata della comunità. Ma nel passato di Dad si nascondono fantasmi: il figlio Frank, che è fuggito di casa per mai più tornare, e il commesso del negozio di ferramenta, che aveva tradito la sua fiducia. Nella casa accanto, una ragazzina orfana viene a vivere dalla nonna, e in paese arriva il reverendo Lyle, che predica con passione la verità e la non violenza e porta con sé un segreto. Nella piccola e solitaria comunità abituata a espellere da sé tutto ciò che non è conforme, Dad non sarà l'unico a dover fare i conti con la vera natura del rimpianto, della vergogna, della dignità e dell'amore.
Kent Haruf affronta i temi delle relazioni umane e delle scelte morali estreme con delicatezza, senza mai alzare la voce, intrattenendo una conversazione intima con il lettore che ha il tocco della poesia.
COMMENTO
La "febbre Haruf" ha contagiato anche me: complimenti a NNE per l'ottima campagna pubblicitaria, continua ma non pressante, che ha saputo incuriosirmi senza nausearmi. Dopo qualche mese di attesa (mi fa molto piacere sapere che Kent Haruf abbia così tanti lettori, un po' meno sapere che solo due biblioteche nel mio sistema ne siano a conoscenza) finalmente il prestito interbibliotecario ha fatto il suo corso, e io ho potuto lasciarmi Denver alle spalle per inseguire le luci sperdute di Holt.
Mi aspettavo qualcosa da questo romanzo, mi aspettavo di venire scossa e di non restare indifferente nemmeno per un secondo, ma non avrei mai immaginato che tutto questo potesse accadere in manieracosì tanto*intensa. Credevo non sarebbe stato il momento adatto per una lettura del genere, perché avevo ancora nella testa l'eco dolorosa delle parole della Robinson, in bocca la polvere della sua Gilead, e credevo che "Benedizione" avrebbe avuto molto da spartire con quest'altro romanzo: un padre malato che aspetta di morire, il calore secco e ostile della pianura, una cittadina di provincia, la vita di un pastore, storie di persone che si disvelano lentamente, e un'infinita tristezza. Ebbene, certamente tutti questi elementi sono presenti in entrambi i romanzi, ma pensare di sovrapporli e confonderli è una follia.
Kent Haruf ha una scrittura estremamente lineare e misurata, asciutta, eppure con poche frasi riesce a costruire una vita intera. Ho letto "Benedizione" in maniera immersiva - per quanto immersiva possa essere una lettura fatta nel momento peggiore della sessione d'esami - e nonostante l'estrema stanchezza non ho avuto la minima esitazione nel calarmi completamente nelle case di Holt. "Benedizione" è un racconto corale, dove le voci si levano piano piano, quasi in sordina, ma ammaliano il lettore e lo costringono ad una bellissima operazione di astrazione da sé, per non solo*osservare*la vita di ogni personaggio, ma per*viverla*per davvero, almeno per una manciata di pagine. Inizialmente le voci si sovrappongono e io mi sono lasciata trasportare passivamente, spesso confondendomi, senza volere a tutti i costi capire gli intrecci e le sovrapposizioni; le ho imparate a conoscere lentamente, queste voci, proprio come fossero persone vere: all'inizio ascoltando solo quello che volevano raccontarmi, poi imparando a distinguere le variazioni di tono e le incrinazioni dovute all'emozione. E quello che ho trovato alla fine è stato un bellissimo mosaico, una composizione i cui dettagli sono splendidi da osservare da vicino, ma acquistano una luce diversa nel momento in cui vengono considerati nel loro insieme.
E la luce, è straordinario quanto possa essere luminoso un romanzo che promette di parlare di oscurità. È la luce che emerge dall'accettazione del dolore, una luce soffusa e circoscritta, ma meravigliosamente calda. Haruf ci fa conoscere una manciata di personaggi, e lo fa in maniera diretta e semplice, senza mediazioni o introduzioni: ci sono storie, c'è dolore, ma c'è soprattutto genuinità. E non c'è mai, mai quella compassione un po' stucchevole dell'autore che un po' si crogiola nell'autocompiacimento, sapendo che certe storie strapperanno*per forza*una lacrima al lettore: ogni personaggio nasconde la sua buona dose di dolore e rassegnazione, rabbia, rimpianti e solitudine, ma non perché Haruf volesse scrivdre un romanzo sul dolore, ma perché quella che viene celebrata in "Benedizione", nonostante la quarta di copertina, è la vita. E la vita è fatta di figli che tornano al paese natale per assistere il padre moribondo, ma anche di figli che restano in California, perché "quelli come noi finiscono tutti là"; è fatto di ragazzine che si rimettono sempre e comunque al volere altrui e che devono imparare ad andare in bicicletta grazie alle vicine di casa; è fatta di donne anziane dalla chioma folta e lucente, di amori soffocati sotto un cuscino, di guance annerite con la cenere dei fiammiferi e di pastori che non riescono a confortare nemmeno la propria famiglia.
Temevo che avrei trovato tanta retorica e la polvere nascosta dietro la facciata di una bella casa, e invece ho trovato tutto il dolore che può esserci nella mascella irrigidita di un padre che non è mai riuscito a parlare con suo figlio, ma in fondo al cuore non ha mai smesso di farlo. Temevo avrei trovato le piccole meschinità di un paesino in provincia, e invece ho trovato un gruppo di donne strette l'una all'altra con una dolcezza e una serenità radiose, ho trovato la confusione pacata del lutto ancora fresco e per nulla elaborato, ho trovato il conforto.
Ho trovato la vita, brulicante e turbolenta, la vita che prende il sopravvento su qualsiasi altra cosa: forse le luci di Holt, così tremule e isolate, hanno saputo guidare verso casa anche me.
Kent Haruf affronta i temi delle relazioni umane e delle scelte morali estreme con delicatezza, senza mai alzare la voce, intrattenendo una conversazione intima con il lettore che ha il tocco della poesia.
COMMENTO
La "febbre Haruf" ha contagiato anche me: complimenti a NNE per l'ottima campagna pubblicitaria, continua ma non pressante, che ha saputo incuriosirmi senza nausearmi. Dopo qualche mese di attesa (mi fa molto piacere sapere che Kent Haruf abbia così tanti lettori, un po' meno sapere che solo due biblioteche nel mio sistema ne siano a conoscenza) finalmente il prestito interbibliotecario ha fatto il suo corso, e io ho potuto lasciarmi Denver alle spalle per inseguire le luci sperdute di Holt.
Mi aspettavo qualcosa da questo romanzo, mi aspettavo di venire scossa e di non restare indifferente nemmeno per un secondo, ma non avrei mai immaginato che tutto questo potesse accadere in manieracosì tanto*intensa. Credevo non sarebbe stato il momento adatto per una lettura del genere, perché avevo ancora nella testa l'eco dolorosa delle parole della Robinson, in bocca la polvere della sua Gilead, e credevo che "Benedizione" avrebbe avuto molto da spartire con quest'altro romanzo: un padre malato che aspetta di morire, il calore secco e ostile della pianura, una cittadina di provincia, la vita di un pastore, storie di persone che si disvelano lentamente, e un'infinita tristezza. Ebbene, certamente tutti questi elementi sono presenti in entrambi i romanzi, ma pensare di sovrapporli e confonderli è una follia.
Kent Haruf ha una scrittura estremamente lineare e misurata, asciutta, eppure con poche frasi riesce a costruire una vita intera. Ho letto "Benedizione" in maniera immersiva - per quanto immersiva possa essere una lettura fatta nel momento peggiore della sessione d'esami - e nonostante l'estrema stanchezza non ho avuto la minima esitazione nel calarmi completamente nelle case di Holt. "Benedizione" è un racconto corale, dove le voci si levano piano piano, quasi in sordina, ma ammaliano il lettore e lo costringono ad una bellissima operazione di astrazione da sé, per non solo*osservare*la vita di ogni personaggio, ma per*viverla*per davvero, almeno per una manciata di pagine. Inizialmente le voci si sovrappongono e io mi sono lasciata trasportare passivamente, spesso confondendomi, senza volere a tutti i costi capire gli intrecci e le sovrapposizioni; le ho imparate a conoscere lentamente, queste voci, proprio come fossero persone vere: all'inizio ascoltando solo quello che volevano raccontarmi, poi imparando a distinguere le variazioni di tono e le incrinazioni dovute all'emozione. E quello che ho trovato alla fine è stato un bellissimo mosaico, una composizione i cui dettagli sono splendidi da osservare da vicino, ma acquistano una luce diversa nel momento in cui vengono considerati nel loro insieme.
E la luce, è straordinario quanto possa essere luminoso un romanzo che promette di parlare di oscurità. È la luce che emerge dall'accettazione del dolore, una luce soffusa e circoscritta, ma meravigliosamente calda. Haruf ci fa conoscere una manciata di personaggi, e lo fa in maniera diretta e semplice, senza mediazioni o introduzioni: ci sono storie, c'è dolore, ma c'è soprattutto genuinità. E non c'è mai, mai quella compassione un po' stucchevole dell'autore che un po' si crogiola nell'autocompiacimento, sapendo che certe storie strapperanno*per forza*una lacrima al lettore: ogni personaggio nasconde la sua buona dose di dolore e rassegnazione, rabbia, rimpianti e solitudine, ma non perché Haruf volesse scrivdre un romanzo sul dolore, ma perché quella che viene celebrata in "Benedizione", nonostante la quarta di copertina, è la vita. E la vita è fatta di figli che tornano al paese natale per assistere il padre moribondo, ma anche di figli che restano in California, perché "quelli come noi finiscono tutti là"; è fatto di ragazzine che si rimettono sempre e comunque al volere altrui e che devono imparare ad andare in bicicletta grazie alle vicine di casa; è fatta di donne anziane dalla chioma folta e lucente, di amori soffocati sotto un cuscino, di guance annerite con la cenere dei fiammiferi e di pastori che non riescono a confortare nemmeno la propria famiglia.
Temevo che avrei trovato tanta retorica e la polvere nascosta dietro la facciata di una bella casa, e invece ho trovato tutto il dolore che può esserci nella mascella irrigidita di un padre che non è mai riuscito a parlare con suo figlio, ma in fondo al cuore non ha mai smesso di farlo. Temevo avrei trovato le piccole meschinità di un paesino in provincia, e invece ho trovato un gruppo di donne strette l'una all'altra con una dolcezza e una serenità radiose, ho trovato la confusione pacata del lutto ancora fresco e per nulla elaborato, ho trovato il conforto.
Ho trovato la vita, brulicante e turbolenta, la vita che prende il sopravvento su qualsiasi altra cosa: forse le luci di Holt, così tremule e isolate, hanno saputo guidare verso casa anche me.