Collet-Serra, Jaume - Paradise Beach: dentro l'incubo

Des Esseintes

Balivo di Averoigne
Paradise Beach: dentro l’incubo (The shallows, 2016) di Jaume Collet-Serra

Nancy è una studentessa americana di medicina che ha deciso di recarsi in un’incantevole spiaggia messicana dove potrà fare surf e onorare la memoria della madre morta (nel medesimo posto era stata mentre era incinta di lei).
Nancy si misura subito con le onde e con la forte corrente contraria facendo pure amicizia con due surfisti locali. In una pausa sulla spiaggia ha una conversazione con la sorella e il padre e, a causa del bisticcio con quest’ultimo, decide di concedersi un ultimo passaggio in acqua. Mentre i due surfisti stanno abbandonando la conca isolata la tavola di Nancy viene urtata da un grande squalo bianco e la ragazza sbalzata in acqua; l’unico rifugio disponibile è la carcassa di una megattera nelle vicinanze…

Debbo premettere con molta onestà che non amo molto i film ambientati in mare quindi ammetto d’aver iniziato la visione senza molte aspettative e discretamente prevenuto.
Il timone dell’operazione è stato affidato allo spagnolo Jaume Serra-Collet, già noto al grande pubblico per il discreto “Orphan” e per l’ottimo lavoro nell’action-thriller “Unknown – Senza identità”. A giudicare dagli incassi al botteghino (spesi 17 milioni di dollari, guadagnati 120) e dalle critiche sparse in ogni angolo del web, l’operazione parrebbe riuscitissima. Qualcuno ha persino parlato di nuova ridefinizione dello “shark movie”; infatti si galleggia in quelle zone anche se qui si assiste pure ad un “one woman show” in cui un’indifesa donzella cerca di sopravvivere abbarbicata a un piccolo scoglio.
La protagonista è la scultorea Blake Lively e bisogna ammettere che, nonostante qualche perplessità iniziale, regge bene la pellicola per tutti e 80 i minuti. A farle da spalla, quantomeno per un terzo di film, c’è un piccolo gabbiano con un’ala lussata. La sceneggiatura ha cercato, con successo, di costruire un adeguato, ma stucchevole, background (la morte della madre, i problemi con lo studio) per rendere il personaggio credibile nella sua ferrea caparbietà. Nancy ha una gamba messa malissimo, si arrangia col poco a disposizione, nuota dalla megattera a uno scoglio e poi a una boa e riesce a far nascere un sentimento d’empatia presso lo spettatore (non per me, io tifavo lo squalo senza ritegno).
In una pellicola del genere il problema principale è il come mantenere la tensione a un livello accettabile e qui la sinergia tra regia e sceneggiatura riesce abbastanza bene in questa operazione anche grazie a una colonna sonora incisiva ma mai sopra le righe firmata dal prolifico Marco Beltrami. Invece il ritmo, vista la situazione presentata, non è fenomenale, però la corta durata aiuta e le apparizioni dello squalo, specie nel finale, giungono graditissime e scacciano la noia. Sono presenti anche un paio di morti supplementari, seppur non tanto spettacolari e poco sanguinose.
Direi che il risultato finale è più che dignitoso, probabilmente verrà amato da coloro che apprezzano il genere survival-pelagico (anche gli amanti del surf gradiranno i primi 15 minuti). Secondo me il difetto più grosso è riscontrabile nel fatto che non fa paura, mette solo un poco d’angoscia; d’altronde con un feroce squalo, una donna ferita e una placida distesa d’acqua non si possono fare miracoli.
Nota di demerito per gli italici traduttori: come si può pensare di tradurre “The shallows” (che suona tipo “acque basse”) con “Paradise Beach”? (che dovrebbe essere il nome della spiaggia segreta dove si svolge il tutto; peccato che nel film coloro a cui viene chiesto non lo rivela mai). Senza infamia e senza lode.

VOTO 6
 
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