Malamud, Bernard - L'uomo di Kiev

elisa

Motherator
Membro dello Staff
[FONT=&quot]Basato su una vicenda realmente accaduta, "L'uomo di Kiev" è la storia di uno sconcertante caso giudiziario. È il 1911 e la Russia zarista è attraversata da frequenti scoppi di violenza antisemita. Jakov Bok è un ebreo che si guadagna da vivere come tuttofare; lasciato dalla moglie, cerca fortuna a Kiev dove.spacciandosi per "gentile", riesce a farsi assumere in una fabbrica di mattoni. Sarà l'inizio di un dramma giudiziario che ha dell'incredibile. [/FONT]

Grande romanzo, grande scrittore, grande scrittura, uno degli esempi più fulgidi dell'insegnamento kafkiano, non emula il maestro ma si avvicina assai. La cosa incredibile di questo romanzo è come l'autore riesca a rendere del tutto plausibile una storia vera che ha dell'incredibile se letta con la logica umana ma che è perfettamente veritiera se la leggiamo con gli occhi del pregiudizio. Consigliata la lettura a tutti.
 

bouvard

Well-known member
Alcuni mesi fa avevo letto Il commesso e mi ero “innamorata” di Malamud e devo dire che L’uomo di Kiev ha confermato questo mio innamoramento. In questo libro Malamud narra una storia assurda per tanti versi kafkiana, e la cosa più assurda è proprio il fatto che sia una storia vera. Se la si legge senza saperlo si pensa che l’autore sia uno dotato di molta fantasia, anzi troppa, e la storia appare assurda nel senso di impossibile. Quando invece si scopre che la storia è vera allora si capisce che paradossalmente è proprio l’essere una storia vera a farne una storia assurda.
Un uomo, anzi un ebreo, viene accusato del delitto per scopi rituali di un bambino russo. L’uomo, un poveraccio che dalla vita ha avuto un carico di sfortune degne di Giobbe, è innocente e contro di lui non ci sono prove, ma una parte della Giustizia gli si accanisce contro perché è il capro espiatorio perfetto.
Questo libro ci ricorda innanzitutto una cosa che molto spesso sembriamo dimenticare: l’Olocausto non è un’idea partorita all’improvviso dalla mente di un singolo pazzo. Non fu infatti la prima persecuzione che gli ebrei subirono nel corso della Storia e neppure la prima nel corso del Novecento. In Russia i pogrom all’inizio del secolo scorso erano quasi un fatto naturale. L’Olocausto fa impallidire le persecuzioni precedenti solo per la sua “sistematicità” e per il livello di perfezione raggiunto.
Yakob Bok non è un uomo con grandi sogni, è uno a cui piace il suo lavoro di tuttofare perché è incapace di starsene fermo con le mani. Uno che desidera avere dei figli più di ogni altra cosa e a cui tocca invece una moglie sterile, o meglio che lui considera tale. Un uomo a cui un giorno tocca un incredibile colpo di fortuna che si rivelerà essere invece l’inizio di infiniti guai. Dio mette a dura prova la sua pazienza per misurarne la fede come a suo tempo fece con Giobbe. Ma Yacob che ama definirsi un “libero pensatore”, è uno che legge Spinoza – un altro che con la religione ebbe i suoi buoni problemi – e non ama implorare un Dio che quando si ha bisogno di lui guarda sempre da un’altra parte…
Leggetelo perché L’uomo di Kiev vi farà molto riflettere su tante cose.
 

malafi

Well-known member
Un libro bellissimo che metto sullo stesso piano de Il Commesso letto subito prima.

E' un libro che farei leggere anche alle nuove generazioni - che a volte credono che gli ebrei siano una razza, tanto sono ignoranti - per fare capire come profondi siano le radici dell'odio e del pregiudizio verso il popolo ebraico e come l'antisemitismo non sia un'invenzione del dittatore baffuto, ma abbia ben altra origine. D'altronde qualcuno si sarà chiesto cosa fossero e perchè esistessero i ghetti ebraici? Ghetti che risalgono spesso al XV/XVI secolo ed in alcuni casi - come nella mia città - furono istituiti con editto papale!
Pensate dunque a quante giustificazioni storiche e precedenti abbia l'antisemitismo (e il fatto 'sono quelli che uccisero Gesù Cristo' è rimasto solo un alibi per troppo tempo).
Ma quello che più mi ha colpito - e di cui non ero al corrente - sono i tremendi pregiudizi che aleggiavano intorno al popolo ebraico: pregiudizi che agli inizi del '900 (quando è ambientato il libro) erano ancora ben presenti nel popolo, se politica e magistratura della Russia zarista potevano far leva su di essi per giustificare una persecuzione di sapore politico-sociale.

Sul romanzo c'è poco da dire: è un'altra prova della capacità di Malamud di saper usare una prosa semplice e lineare per tratteggiare vicende e personaggi indimenticabili.
 

Grantenca

Well-known member
E’ il secondo libro che leggo di questo autore. Sono sempre stato interessato alla persecuzione degli ebrei non avendo mai creduto, penso abbastanza ragionevolmente, che il “deicidio” fosse la causa principale delle loro disgrazie.
Qui siamo nell’ultima Russia zarista, poco prima della rivoluzione d’ottobre, e già il regime sente nell’aria qualcosa che tende a rompere lo stato delle cose, è nervoso perché sente vacillare la sicurezza delle istituzioni. In questo contesto, A Kiev, succede un fatto abominevole , l’uccisione di un innocente ragazzino di 12 anni con armi da taglio.
Naturalmente è un fatto che sconvolge l’opinione pubblica, e le autorità di polizia fanno di tutto per trovare, il più celermente possibile, un colpevole. Viene quindi accusato, senza lo straccio di una prova, un giudeo, la cui unica colpa era di lavorare sotto falso nome, fingendosi un russo , in un quartiere della città interdetto agli ebrei. Ora, talmente orrendo era stato il delitto, che non poteva essere stato perpetrato da un russo: cosa di meglio si poteva trovare che accusare un ebreo, la cui razza era invisa sia al popolo che alle autorità? E qui comincia il calvario, di un uomo qualunque, che viene trattenuto per oltre due anni in carcere, in condizioni che definire “inumane” è poco prima che sia formalizzato una accusa che le autorità non sanno come confezionare.
E’ un crescendo angosciante di torture, soprusi, delazioni, finalizzate a fargli “confessare” un delitto che non ha commesso, con promesse di libertà a patto che, confessando il delitto, riversi la responsabilità sull’intera casta ebrea. Ma il “tuttofare” (questa era la sua professione) intuisce che confessando firmerebbe la sua condanna a morte e resiste. Alla fine si arriva al giorno di inizio del processo, ma l’autore non va oltre. Ora, dal momento che le autorità hanno fatto di tutto per condannare a morte il protagonista prima di iniziare a celebrare il processo si potrebbe dedurre che sia stata applicata la giustizia, ma è solo una mia deduzione.
Più che dal punto di vista letterario questo libro mi ha colpito per la durissima accusa contro questo tipo di regime, un’amministrazione che pur di mantenere i suoi privilegi non esita a spazzar via, senza pietà, anche i suoi figli più onesti e capaci. Oltre a questo c’è naturalmente la persecuzione degli ebrei, con motivazione abbastanza simili a quelle future del nazismo. Perché questo? Forse questo popolo che si riteneva (o forse si ritiene ancora?) eletto, dal momento che eccelle nelle arti, professioni e nell’economia, per suoi meriti di intelligenza, costanza e senso del sacrificio, volendo sempre ribadire questa su “diversità “ con le altre razze con cui pur convive suscita nei momenti difficili grandi invidie e rancori che sono sfociati, troppo spesso, in una violenza cieca, irrazionale e spietata.
 
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