Assolutamente il mio voto va a Buzzati.
Non capisco come il sopravvalutatissimo Levi possa esser davanti...
Buzzati parla di qualcosa che è insito in tutti noi, "Se questo è un uomo" parla di un qualcosa che può capire a fondo solo chi l'ha vissuto... (nessuno dei presenti nel forum).
I libri sul ricordo, sull'olocausto, ecc, sono indubbiamente importanti da un punto di vista storico-sociale ma non li trovo interessanti a nessun livello, sono buoni solo per rattristare...
Anche Primo Levi parla di qualcosa che riguarda tutti noi. Non parla di Olocausto, non in senso stretto per lo meno. Prima di tutto parla di noi. Perché noi tutti siamo vittime e noi tutti siamo carnefici. E lo siamo ogni giorno, e ogni giorno dovremmo farci delle domande su chi siamo. Siamo uomini? E cos’è l’uomo? Da cosa si differenzia dal resto del mondo animale, dove, pare, la violenza sia il segno distintivo dell’evoluzione?
Chi più chi meno, siamo tutti forti coi deboli e viceversa. E’ un meccanismo psichico innato che estremizzato porta alle conseguenze nefaste di cui il nazismo fu solo la punta dell’iceberg.
Quando la sconfitta si fece vicino Hitler disse che non aveva fatto nulla di male. E aveva ragione. Non aveva fatto altro che proiettare sugli ebrei (e non solo) la volontà dell’uomo di prevaricare fino ad uccidere. Prima di Hitler l’umanità aveva commesso atrocità del tutto simili, anche se fu solo con il il Nazismo che la volontà di sterminare “gli altri” raggiunse livelli parossistici, esemplificati dall’industrializzazione della morte.
Distruggere il nemico non era più una cosa istintiva, ma era diventata parte del processo evolutivo, al pari di costruire automobili o case.
Hitler disse che fino al giorno prima avevamo fatto le stesse cose, in ogni parte del mondo e sotto ogni bandiera. Per cui lui era un uomo come un altro, che aveva solo portato mezzi moderni a bisogni primitivi.
Se questo è un uomo.
Se noi siamo uomini.
Che cosa sono gli uomini?
Primo Levi parte subito forte. E dice che, in fondo in fondo, il nazismo non ha rappresentato nulla di nuovo, nulla di eccezionale. C’è sempre stato, e ci sarà sempre, un tempo in cui gli uomini odieranno i diversi, gli stranieri. Lo scrisse all'interno del campo, nel lontano 1945. Perché siamo questi, siamo fatti per innalzarci abbassando gli altri, non siamo uomini, gli uomini non dovrebbero fare questo. L’uomo è dotato di coscienza, dovrebbe capire meccanismi elementari che per il resto del mondo animale rimarranno sempre un mistero. Non ha senso odiare chi viene da fuori. Non ha senso a livello
antropologico, intendo. Ma campi di sterminio e guerre tribali, sono proprio un tratto distintivo dell’uomo-non uomo. Che non potrà mai capire le ragioni dell’altro. L’uomo non è un uomo. L'uomo si crede un uomo, ma in realtà è peggio delle bestie, che uccidono per puro istinto. L'uomo, come i gatti con i topi, uccide per puro divertimento.
La straordinarietà del libro di Levi, al di là dell’essere scritto divinamente, sta nel fatto che la domanda non domanda del titolo non è accusatoria. Ed è un miracolo che un prigioniero di Auschwitz non si faccia dominare dalla rabbia.
Non si chiede in modo retorico se il secondino nazista addetto ai forni crematori possa o non possa essere definito "uomo". Ma si fa anche la domanda a rovescio. Il detenuto di Auschwitz che ruba la rapa al vicino è forse un uomo?
Levi vide atteggiamenti, da parte dei morti viventi, che non avevano nulla di umano. Persone che rubavano il cibo a bambini in fin di vita o gente che, per un piatto di minestra, faceva fucilare il prossimo sulla base di false delazioni. Questi erano forse uomini?
Così come non giudica i nazisti, allo stesso modo non giudica, per ovvie ragioni, chi, da prigioniero compiva atti del genere.
La grandezza di questo libro, che, non dimentichiamolo, è un diario in presa diretta, sta nel fatto che è come il racconto di un’analisi chimica di una strana reazione. C’è una profonda riflessione su cosa significhi essere uomo, e non troverai nessuna riga “triste”, come dici. Non c’è tristezza in “Se questo è un uomo”, c’è, semmai, consapevolezza e descrizione degli istinti. Analizzati per quello che sono. Come se lui fosse parte di un processo ineludibile.
Il 99% di noi, messi in quelle condizioni e in quel determinato contesto, avrebbe fatto ciò che hanno fatto gli aguzzini. Dobbiamo smetterla di porci la domanda “com’è stato possibile?”, come se noi non c’entrassimo e come se fossimo superiori, come se i nostri meccanismi e i nostri modi di agire non fossero gli stessi di chi ha fatto cose che non comprendiamo. Aveva ragione la Harendt quando disse che il male è banale, anche se lo disse per motivi per nulla condivisibili.
Se il male, il male estremo, perverso, è banale, davvero possiamo definirci uomini?
E se sì, allora cos'è un uomo?
Perché se io, te, il nostro capo ufficio, il gerarca nazista, l'ebreo morente, siamo tutti uomini, allora è il caso di rivedere le categorie che credevamo immutabili.