218° MG - Ebano di R. Kapuściński

francesca

Well-known member
Aperto...
si inizia oggi.
Non sono sicura che il titolo del mini gruppo vada bene, non so a che numero siamo arrivati. Minerva, ci puoi aiutare tu?

Per ora siamo io, Spilla e Valuzza, aspettiamo fiduciose nuove adesioni.

A domani per i primi commenti, spero.

Francesca
 
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Minerva6

Monkey *MOD*
Membro dello Staff
Il numero è esatto, ho corretto il cognome dell'autore, per gli accenti, ma solo per eccesso di pignoleria :wink:, ovviamente facendo copia e incolla :mrgreen:. E vi ho messo in rilievo.
Buona lettura :)
 

Spilla

Well-known member
Eccomi. Stamattina ho letto le prime pagine.
Credo sarà un'ottima lettura perché:
- le descrizioni sono attente ma non eccessivamente lunghe, delineano ambienti e persone con precisione senza cadere nel prolisso
- l'autore inserisce tutto: ambiente, persone, aspetti istituzionali
- i capitoli sono brevi

L'Africa mi interessa, ogni tanto cerco di capire cosa sia (senza mai riuscirci), perciò sono entusiasta di aver scovato questo libro e di poterlo leggere con Francesca.
Io procederò senza fretta.
Francesca, tu come l'hai scoperto?
 

francesca

Well-known member
Eccomi.
Inizio rispondendo alla domanda di Spilla su come ho scoperto questo libro.
Quest'anno per la sfida "mille libri da leggere prima di morire" ho letto "Cuore di tenebra" di Conrad.
E' un libro che mi ha affascinato molto, sia per il contenuto che per lo stile, è stato il mio primo assaggio di Africa profonda, del cuore nero, di "tenebra" di questo immenso continente.
Mi ha dato l'occasione per riflettere su quanto poco conosco l'Africa, questo blocco sconosciuto, impenetrabile che spesso percepiamo come un tutt'uno, ma che in realtà è qualcosa complesso e intricato, non solo nelle sue giungle e deserti immensi, ma anche nella natura dell'umanità che lo popola.
Così quando ho visto il sondaggio per questo GL e ho letto la trama di questo libro, ho capito che faceva al caso mio.
Non riesco molto a concentrarmi a leggere saggi, faccio fatica, non ho molta memoria, la memoria mi si fissa attraverso storie e racconti. Quindi un libro così, che si presenta come un libro che racconta una realtà attraverso incontri con persone e luoghi, sembra proprio fatto per me.
Un'altra cosa che mi ha intrigato è che l'autore fosse polacco, mi sembrava un contrasto forte, un bianco che più bianco non si può, abituato a climi gelidi, immerso in questa negritudine e questo calore.
E devo dire che è amore a prima vista!!!!
Ho letto i primi due capitoli: come ha detto Spilla, stile scorrevole, descrizioni ben fatte e chiare. Ottima la divisione in piccoli capitoli e in paragrafi, aiuta moltissimo la lettura.
Interessante il primo impatto dell'autore con i luoghi e le persone, il suo sentirsi fuori luogo, sgraziato e estraneo, pieno di paure, laddove gli "indigeni" (intesi come gente del luogo) sono a casa, con grazia e naturalezza.
Ed ecco subito il primo incontro con Kofi Baako.
Mi è piaciuto il racconto di questo incontro, perché kapuscinski non dà alcun giudizio, ha uno sguardo preciso e limpido, senza sovrastrutture, descrive il primo ministro della pubblica istruzione del Ghana per quello che è, nella sua ingenuità, nella sua spacconeria.
Penso che l'autore abbia una grande capacità di cogliere l'essenza vera delle persone che incontra e di restituirla intatta al lettore, solo dal racconto del suo incontro.
Illuminante nel II capitolo la descrizione di come gli Africani intendano la realtà, della suddivisione fra cose tangibili, cose spirituali e mondo degli antenati.
Così come bellissimo anche la parte su come viene inteso il tempo da questi popoli, racchiuso in una frase dirompente:
Se ci rechiamo in un villaggio dove nel pomeriggio deve tenersi una riunione e nel luogo stabilito non troviamo nessuno, non ha senso chiedere: "quando comincia la riunione?". La risposta è risaputa: "quando la gente sarà riunita"

Per una come me che per lavoro arriva ad avere fino a 4 riunioni al giorno una frase del genere racchiude molti risvolti.

Francesca
 

Spilla

Well-known member
Anche io sono colpita da questi aspetti dell'Africa, che ho talvolta incontrato nei racconti di qualche missionario. Una diversa concezione del tempo, del lavoro, di cosa significhi "obiettivo". Credo che avremmo tutti moltissimo da imparare dall'Africa :? (e invece l'Africa si sta occidentalizzando... che disastro :??)
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Anche io sono colpita da questi aspetti dell'Africa, che ho talvolta incontrato nei racconti di qualche missionario. Una diversa concezione del tempo, del lavoro, di cosa significhi "obiettivo". Credo che avremmo tutti moltissimo da imparare dall'Africa :? (e invece l'Africa si sta occidentalizzando... che disastro :??)


Ho già letto questo libro e vi seguirò con grande interesse.

E' vero; oggi l'Africa si sta occidentalizzando, ma credo che sui lunghi tempi saremo noi ad "africanizzarci". E l'Africa tornerà a essere Africa, anche se un po' meno rispetto a oggi. Le condizioni di vita dell'Africa nera sono inimmaginabili e quando avranno assaggiato la "bella vita" non torneranno manco morti a fare quella che fanno oggi.

I motivi di una tendenza a rovescio, secondo me, sono svariati e tutti legati l'uno all'altro: la tendenza demografica, innanzitutto, parla chiaro. Non voglio sparare cifre di cui non sono a conoscenza, ma tra qualche generazione l'Europa, come storia, come cultura, come "luogo sociale", non esisterà più. Sarà qualcosa da studiare sui libri di scuola. Nel terzo mondo si fanno cinque (?) figlia a coppia, nel primo zero virgola qualcosa. Se a questo aggiungiamo il fatto che la nostra terra è più ricca, climaticamente migliore, più adatta alle coltivazioni e ci sono condizioni sociali decisamente migliori rispetto all'inferno su terra che vediamo nei telegiornali, il conto è fatto.

A me dispiace che l'Europa sia destinata a sparire. Così come mi dispiacerebbe se sparisse la cultura centro africana, quella iraniana, quella araba o quella cinese. Dirò una cosa originale: il mondo è bello (bellissimo) perché vario. E perdere la varietà è sempre un peccato.

Non solo a causa di pressioni esterne l'uomo europeo sparirà. Nel breve tempo, credo, dovrà reinventarsi e avvicinarsi a quei modelli che molti guardano con gli occhi fuori dalle orbite e che invece erano i nostri di cent'anni fa. Non si può più andare avanti così, con questo modello di vita basato sull'usa e getta. Devo semplificare, diversamente scrivo fino a domattina. Non rimpiango i tempi che furono e che non ho mai visto. Anzi. Ma è indubbio che oggi, da noi, le situazioni, i contesti, i consumi, i modi di vivere siano improntati a un consumismo sfrenato che rappresenta la vera novità dei nostri tempi.

Non è solo l'ambiente, in quanto ecosistema, a risentirne. Anzi. L'ambiente direi che se ne frega. Ha tempi talmente lunghi che le nostre scoreggine di auto e industrie di qualche decennio gli fanno un baffo. Siamo noi le vittime e i carnefici di noi stessi. Abbiamo inventato la plastica, che è un prodotto rivoluzionario meraviglioso, e la utilizziamo in modi paradossali. La plastica è un elemento praticamente infinito e noi la utilizziamo proprio a rovescio. Per il "packaging" come si dice oggi. Per le buste, gli involucri, le superfici. Che buttiamo subito. Utilizziamo un prodotto straordinario, infinito, per l'usa e getta. Stessa cosa per il vetro. A volte siamo così stupidi da non crederci. E' il modo di utilizzo della plastica a essere completamente errato, non la plastica in sè.

Anche nei rapporti umani buttiamo tutto; i matrimoni, gli amici, i genitori.

In Africa non si butta via niente e se vogliamo sopravvivere a loro (dal punto di vista culturale intendo) che comanderanno in Europa entro breve, dovremo tornare e essere gli africani che siamo sempre stati, mentre loro tenderanno a esserlo un po' meno.

Scusate l'invasione, ma l'argomento è di quelli che mi appassiona.
 

Spilla

Well-known member
Sono d'accordo con te, Ziggy, ma mantengo la perplessità sulla'"africanizzazione" dell'Europa. Temo che invece sia il nostro stile, così semplificatorio rispetto a questioni etiche e relazionali, così vantaggioso (sul breve termine) quanto a comodità di vita... chi non vorrebbe abbracciarlo?

Leggendo Kapuscinski mi ha colpito sentir definire gli Africani "un popolo di immigrati" (scritto 60 anni fa!!!), perché l'abitudine antica è spostarsi dove le occasioni sono migliori, le risorse più abbondanti.
Sto leggendo con grande interesse. A volte il testo è poco approfondito, per i miei gusti, ma questo rende più semplice la lettura.
 

francesca

Well-known member
Complici le ferie, finalmente iniziate, sto procedendo a un buon ritmo di lettura per i miei standard. Ho finito di leggere il capitolo: Il mio vicolo, 1967.
La lettura mi piace molto e mi sta dando molti spunti di riflessione.
Forse ha ragione Spilla quando dice che in alcuni punti il libro sembra trattare alcuni argomenti superficialmente. Ma non aspettavo molto di più questo. Per ogni singola situazione ci -polito sullsarebbero da fare considerazioni infinite, ma il libro mi sembra quasi un diario di viaggio più che un trattato socio-politico sull'Africa. Le considerazioni, le riflessioni hanno la freschezza e l'immediatezza delle idee pensate di getto, che nascono spontanee da situazioni vissute e forse per questo sono di immediata comprensione.
Come "Bianco" Kapuscinski vive la duplice sensazione di essere visto come appartenente alla casta delle divinità crudeli che per secoli hanno assoggettato l'Africa, ma di essere anche estremamente fragile e debole in una natura che non dà scampo a chi non è perfettamente adattato. Il suo stato di Polacco, che ha vissuto la dominazione straniera, che ha combattuto per secoli per l'indipendenza, considerato "razza inferiore" dai popoli dell'Europa fino a gran parte del XX secolo, non è merce di scambio con le popolazioni che l'autore incontra nel suo viaggio, non lo redime dalla sua colpa di Bianco.
Solo durante la II guerra mondiale, quando la gente delle colonie è stata mandata a combatter in Europa, i neri hanno visto i loro carnefici bianchi a loro livello, morire, implorare, aver fame. Ed è da lì, secondo l'analisi di Kapuscinski che è nata la spinta indipendentista che ha pervaso tutto il continente africano dalla metà del XX secolo in poi.

Il libro alterna capitoli in cui vengono raccontanti incontri di tutti i generi, da quello con il cobra, a quello con Patel che lo cura dalla malaria, il dottor Doyle, Arnol e Felix, altri giornalisti come lui, a capitoli di taglio più giornalistico, tipo "anatomia di un colpo di stato".
Ne "Il mio vicolo, 1967 " la narrazione raggiunge livelli descrittivi magistrali, si avverte tutta l'angoscia del vivere in quel vicolo, l'estraneità, il senso di profonda incomprensione nell'osservare questa umanità dolente che vive non si sa di cosa, non si sa per cosa.

Zingaro, non ho capito cosa intendi nel dire che l'Europa si sta "africanizzando".
Nel senso che abbiamo qui molti immigrati e che alla fine il loro numero prevarrà su quello degli europei?
O nel senso che l'idea di una crescita continua che è alla base del nostro modello capitalista non può durare e dobbiamo tornare ad una cultura di crescita più sostenibile che ci riporterà più che ad un modello "africano" di società, ad una società più simile a quella che avevamo all'inizio del '900?
Culturalmente parlando mi sembra che la nostra società sia sempre più avviata alla multiculturalità. La sfida sarà trovare metodi di convivenza fra le diverse spinte culturali, pena il vederne prevalere l'una sulle altre, con tutto ciò che ha sempre significato nella Storia in termini di intolleranza e mancanza di diritti delle minoranze.

Francesca
 

francesca

Well-known member
Conferenza sul Ruanda

Dopo aver letto questo capitolo ho capito che in effetti non sapevo veramente niente sulla tragedia del Ruanda.
Solo confuse notizie raccolte nel mio distratto ascolto dei TG. Vero che nel mio immaginario Ruanda e Burundi sono sempre stati associate a parole quali: tragedia, genocidio, massacro, Tutsi, Hutu, guerra etnica ecc...
Non avevo proprio capito che in realtà Tutsi e Hutu sono due caste di una stessa popolazione, né tanto meno che nel groviglio di lotte, rivendicazioni, stragi e genocidi, sia praticamente impossibile distinguere i carnefici e le vittime, né tanto meno avevo capito quanto le potenze occidentali avessero favorito l'innescarsi di una tale guerra civile.

L'Africa, così come ce la descrive Kapuscinski, sembra davvero una terra in cui le nostre categorie non funzionano, alle cui vicende non possiamo applicare i nostri paradigmi.
Un cultura, una società che ci è profondamente estranea e impossibile da conciliare con qualsiasi parte della nostro essere Europei.
A questo proposito, in questo capitolo, mi ha colpito questa frase:
"Mentre nei sistemi hitleriani e staliniani la morte era inferta da carnefici di istituzioni specializzate come le SS o l'Nkdv e il delitto era affidato ad opposite formazioni operanti in luoghi segreti, in Ruanda si voleva che la morte fosse inferta da tutti, che il crimine fosse il prodotto di un'iniziativa di massa e, per così dire, popolare.
Quello che mi piace di Kapuscinski è che si stanca di voler capire, indagare, catalogare, rendere comprensibile al lettore ma prima di tutto a se stesso, senza mai darsi per vinto.

Francesca
 

Spilla

Well-known member
Francesca, sto leggendo i tuoi commenti con molto piacere, sono profondi ed argomentati.
Anche a me il libro sta piacendo, sono un po' più indietro, K. sta raccontando la figura del dittatore ugandese Amin.
Anche io sono colpita dall'inconciliabilità tra mondo africano e mondo europeo. Ma anche la incredibile articolazione di etnie, gruppi, clan, tribù è poco comprensibile, e sembra un ostacolo ineliminabile se si vogliono realizzare modalità di convivenza e di sviluppo pacifiche e "democratiche" (non ho un termine migliore per indicare un sistema politico "equo", ammesso che una cosa simile possa esistere).
Insomma, il colonialismo ha colpe immense (che peraltro gli Europei hanno rimosso: chi ne parla mai?), tuttavia l'Africa sembra non avere le risorse per trovare una via verso il progresso sociale e civile. Drammatico, anche perché l'Africa avrebbe potenzialità incredibili...
 
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estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Scusate l'intrusione, stavolta non posso unirmi al gruppo, ma questo libro e questo tema mi interessa. Perciò vi leggo con piacere. Buona lettura!
 

francesca

Well-known member
Hai proprio ragione Spilla.
Il libro non fa nessuno sconto giustamente alle colpe del colonialismo europeo e delle successive ingerenze occidentali che hanno segnato così profondamente la lotta dell'indipendenza di gran parte degli stati africani.
Ma nello stesso tempo traccia l'immagine di una società, di una cultura, che sembra non trovare in sé vere ragioni per questa indipendenza e democratizzazione.
Lo schiavismo e il colonialismo hanno spinto l'Africa su una strada senza via di ritorno: impensabile tornare al periodo delle tribù e dei clan sparsi e dispersi sul continente africano, in continuo movimento per sfuggire a carestie, siccità, epidemie e trovare migliori condizioni ambientali. Un tempo in cui i contatti fra le diverse etnie erano sporadici e le guerre condotte con armi rudimentali, in qualche modo "commisurate" ed "equilibrate" al livello di sviluppo dei diversi popoli.
Ma adesso, sicuramente complici le ingerenze occidentali, l'Africa non sembra trovare una sua via per lo sviluppo.
Mi chiedo se per caso la natura di questo continente sia così poco domabile dall'uomo da non consentire altro che certe forme di cultura.
Come dice all'inizio Kapucinski, l'uomo africano è completamente adattato al suo ambiente e forse lo è anche la sua cultura, o meglio le sue numerose culture.
Come quella degli amba, che credono negli stregoni e che l'unica cosa che sanno fare quando un loro parente si ammala, è cercare di cambiargli di posto con la complicità della notte, in modo che lo stregone che ha lanciato il sortilegio non lo possa ritrovare al mattino.

Francesca
 

Spilla

Well-known member
Sì, hai ragione, ambiente ostile, cultura tribale, senso di inferiorità atavico, tutto sembra rendere impossibile uno sviluppo dell'Africa. L'elemento nuovo è questa improvvisa esposizione dell'Africa alla cultura occidentale, importata attraverso i nuovi mezzi di comunicazione. A cosa potrà portare un contatto che di fatto non si è mai realizzato -se non nelle forme della sopraffazione del nero da parte del bianco- fino ad ora?
Ancora una volta, non credo ci possa essere un'africanizzazione dell'Europa. Ma di sicuro qualche cosa di epocale sta accadendo.
 

francesca

Well-known member
Il Libro è uscito nel 1998 e racconta la storia dell'Africa nella II parte del '900.
Mi chiedevo cosa e se è cambiato qualcosa in questi ultimi 15 anni.
Solo ieri ancora leggevo di carestie in Ciad, in Somalia... sembra veramente che l'Africa sia scivolata in un inferno dal quale non riesce ad uscire e ancora tutto dipenda sempre e solo da quanto i paesi occidentali intervengano nelle varie situazioni.

Riporto un brano del capitolo "Svegliarsi nel buio" ancora sulla differenza fra occidente e Africa:

- temo che le società africane non siano in grado di assumere un atteggiamento autocritico, e da questo dipendono molte cose.
...........
La forza dell'Europa e della sua cultura, al contrario di molte altre culture, risiede nella sua capacità critica e soprattutto autocritica, nella sua arte di indagare e analizzare,
nelle sue continue ricerche, nella sua inquietudine. La mentalità europea riconosce di avere dei limiti, accetta le sue imperfezioni, è scettica, dubbiosa, si pone interrogativi. Le altre culture sono prive di spirito critico. Anzi tengono alla boria, a considerare perfetto tutto ciò che è loro, in poche parole sono acritiche nei propri confronti. Attribuiscono la colpa di tutto esclusivamente agli altri, a forze estranee (congiure, agenti, dominazioni straniere sotto varie forme).
..........................
Ciò li rende culturalmente, strutturalmente e durevolmente incapaci di progredire, di creare in sé una volontà di trasformazione e di sviluppo.


Non so se questo ragionamento mi convince molto.
Può darsi che le culture africane non abbiano sufficiente spirito autocritico, ma mi sembra che ci sia un problema ancora più radicale e cioè la mancanza totale di cultura, nel senso di alfabetizzazione. Se in una società la maggioranza delle persone non sa nemmeno scrivere il proprio nome, vive in balia di una natura di cui non conosce assolutamente i meccanismi di funzionamento, perché ogni cataclisma è accettato con rassegnazione e attribuito a forza soprannaturali, come può sviluppare un senso autocritico? Mancano gli strumenti basilari.
Nemmeno mi convince tanto la presunta superiorità dell'Europa in questo senso. La storia europea è costellata di conquiste di altri paesi e popoli: sto pensando allo scempio fatto in America del Sud dai conquistadores, in America del Nord con gli Indiani, in Australia con gli indigeni, in Africa con il colonialismo. Non vedo in quale situazione l'Europa abbia esercitato un senso di autocritica nell'approcciarsi alle nuove culture che ha incontrato.
Ha sempre e solo imposto la propria cultura, senza preoccuparsi di caipre le altre, nella certezza che fossero comunque inferiori e non degne di essere capite e salvaguardate, spinta solo del desiderio di sfruttare le immense risorse dei paesi conquistati.
Forse il senso autocritico è qualcosa che si sta sviluppando da qualche decennio, forse veramente la tragedia della II Guerra Mondiale ha innescato un processo di ripensamento dei valori fondanti le varie culture europee, ma è una processo lento e relativamente recente.
Che ha ancora molti lati oscuri, basta pensare alle reazioni ai flussi migratori che stiamo subendo da una trentina d'anni. Non so quanto spirito autocritico l'Europa stia mostrando nel gestire questa situazione.
 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
libro che ho apprezzato molto quando lo lessi, mi colpì soprattutto il racconto dove rubano la padella, illuminante.
 

Spilla

Well-known member
La tesi della capacità di autocritica europea fa acqua da tutte le parti, tanto è vero che non mi pare di averla mai letta altrove :boh:
Però la situazione africana, così come la presenta K., è davvero desolante.
A mio parere manca un "pezzo". Quello degli ultimi due decenni, nei quali l'Africa è entrata in contatto con il "resto del mondo" attraverso i media. Il cambiamento epocale (che credo spieghi in gran parte anche il movimento migratorio) è strettamente legato a questo. Chi, sapendo che esiste un mondo "comodo" e "tranquillo" come il nostro, continuerebbe volentieri a rimanere nell'inedia e nella sofferenza? Meglio partire, anche a rischio della vita, che comunque laggiù pare non valere granché. Perché, se il tentativo va bene, i vantaggi sono incredibili.
E, al tempo stesso, questo nuovo contatto sarà un forte motivo di cambiamento per l'Africa. Non credo si possa prevedere quale cambiamento, né se sarà positivo o meno. Ma sono certa che tra 50 anni l'Africa sarà molto diversa da quella che K. descrive. Di sicuro il cambiamento sarà più radicale laggiù che in Europa. Almeno, io mi immagino un futuro di questo genere. :boh:
 

francesca

Well-known member
Finito

Piaciuto moltissimo.
Era proprio come speravo, forse un po' frammentario, ma sicuramente in questo modo dà la possibilità di farsi un'idea delle tante realtà che compongono l'Africa.
Ammetto che prima di leggere questo libro, avevo un'idea confusa dell'Africa, la vedevo quasi come un blocco unico, impenetrabile come i suoi deserti e le sue foreste.
Questo libro mi ha aiutato a carpirne almeno in parte la complessità, anche se non può bastare per un'analisi approfondita.
Come ho già avuto modo di dire in qualche post precedente, quello che mi è piaciuto è che Kapuscinski abbia scelto di parlare della situazione sociale, economica, ambientale di questo paese non attraverso lo stile saggistico, giornalistico (tranne magari in qualche sporadico caso), ma servendosi di racconti di incontri, di luoghi, di sue esperienze personali.
Ne viene fuori un affresco vivo, in cui l'Africa appare bellissima, ma anche spaventosa, irraggiungibile e incomprensibile fino in fondo per noi bianchi.
Rimangono mille interrogativi aperti su quanto continuino a pesare le colpe del colonialismo e post colonialismo sull'arretratezza di questo continente, su quanto invece contino le condizioni naturali e climatica, e ancora su quale invece sia il peso delle differenti indoli dei popoli che ci vivono.

Bellissimo il capitolo finale, questo dipinto della vita attorno al baobab, che mi sembra sottolineare ancora una volta come già in altre parti del libro, l'imprescindibile legame fra questi popoli e la terra su cui vivono, nel bene e nel male, un legame che sicuramente nella nostra società europea, così dinamica, veloce, spesso cinica e disincantata, non ha la stessa forza.

Francesca
 

Spilla

Well-known member
Finito anche io :)
Sì, bel libro, articolato e capace di restituire con vividezza una situazione che per noi è lontana quanto Marte :paura:
Ho amato molto i racconti di ambienti e incontri: il deserto, l'umanità, la morsa del caldo che costringe tutti all'inattività...
Ho trovato caotiche le descrizioni delle guerre e dei colpi di stato, anche perché non esiste, nel libro, un filo conduttore né geografico né temporale. Ma pazienza: in questa mia esatta iper-stanziale, posso ben dire di essere stata in Africa!
Grazie, Francesca, per avermi fatto compagnia :).
 

francesca

Well-known member
Grazie a te Spilla
è stato un piacere leggere con te questo libro.
Spero di avere presto l'opportunità di un'altra lettura insieme

Francesca
 
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