Buck, Pearl S. - Vento dell'est: vento dell'ovest

bouvard

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Questo libro comprende tre racconti, Vento dell’est: vento dell’ovest, La prima moglie e La vecchia madre.
Sono tre bellissimi racconti “al femminile” sul difficile passaggio dalle tradizioni millenarie cinesi alla modernità occidentale. Tre diversi modi di vivere e affrontare questo passaggio e tre epiloghi diversi.
Kwei-lan - la donna del primo racconto - pur dilaniata tra l’educazione e gli insegnamenti ricevuti da sua madre e i nuovi insegnamenti che gli vengono dal marito “occidentalizzato” riesce a trovare una guida sicura nel suo amore. Ben altro è il destino della prima moglie del secondo racconto. Gli insegnamenti ricevuti e le sue abitudini di vita sono troppo radicati per potersi adattare alla nuova situazione che il marito le impone. Meno tragico, ma ugualmente lacerante il destino che tocca alla vecchia madre del terzo racconto.
Vento dell’est: vento dell’ovest è un libro che fa anche sorridere per i pregiudizi dei cinesi verso gli occidentali che poi sono anche i pregiudizi degli occidentali verso le altre culture. Ogni popolo pensa che le proprie tradizioni, i propri usi e le proprie abitudini siano migliori di quelle degli altri. Così come pensa che le proprie teorie in materia di igiene, di malattie e religione siano meno soggette ad errori rispetto a quelle degli altri popoli. Ma in effetti questa convinzione è dettata solo dalla familiarità che abbiamo con le nostre abitudini e basta molto poco per scardinarla. In Oriente come in Occidente.
Se nel primo racconto sono stata completamente dalla parte di Kwei-lan e della sua “modernizzazione”, sinceramente il secondo racconto mi ha messo alquanto in difficoltà e proprio per questo la figura della “prima moglie” è tra le tre donne dei racconti quella che mi è rimasta più nel cuore.

Libro bellissimo, da leggere.
 

ayuthaya

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Questo romanzo, la cui idea alla base di per sè è molto semplice, racchiude una potenza straordinaria. Immaginatevi di avere davanti due concezioni totalmente diverse, direi quasi opposte, della vita, dell’amore, della famiglia, della donna, dei suoi diritti e dei suoi doveri. Ora immaginatevi di incarnare uno di questi punti di vista: non parlo di una semplice immedesimazione, ma dell’essere nati e cresciuti all’interno di questa concezione. Quali sarebbero i vostri sentimenti istintivi e naturali nei confronti di chi incarna la parte opposta?
A ben vedere questo esempio non è mica chissà quanto lontano dalla realtà: noi europei lo abbiamo fatto per secoli e, ogni volta che ci siamo trovati di fronte a una cultura diversa dalla nostra, l’abbiamo considerata strana, se non addirittura folle, e comunque sia sbagliata.
La forza di questo romanzo, almeno per noi occidentali, è che qui la concezione “giusta” è quella “opposta”, e i barbari siamo noi.

Una giovane donna, educata perfettamente secondo i principi della tradizione cinese (completa sottomissione al marito e alla famiglia di lui, chiara consapevolezza della propria inferiorità, mancanza di qualsiasi “diritto” sui propri figli) di ritrova sposata a un uomo, cinese ma istruito all’estero, che non considera questi valori delle virtù, ma pregiudizi inaccettabili e lesivi della dignità della donna. Un po’ come faremmo noi oggi (giustamente). Il punto è che la storia è narrata in prima persona dalla moglie, che resta sconvolta nello scoprire che tutto ciò che ha imparato, anche a costo di grandi sacrifici, non è apprezzato dall’uomo che ha sposato (un matrimonio combinato, naturalmente) e che comunque sente di amare.
Ho trovato davvero bellissimo il ribaltamento di una prospettiva che forse non abbiamo mai messo in discussione: ad esempio come non considerare la pratica della fasciatura dei piedi una barbarie? Eppure quanto ha dovuto soffrire Kwei-lan per accettare il fatto che i suoi piedi naturali, così orrendamente lunghi a vedersi, non intaccassero la sua bellezza? Quanto ha dovuto lottare con se stessa per comprendere che la sua opinione valesse quanto quella del marito?
La lotta interiore della protagonista è ciò che rende questo romanzo davvero unico, perchè se da una parte ci fa comprendere la stupidità di qualsiasi pregiudizio, d’altra parte ci invita a riflettere su quanto la cultura e la tradizione siano parte della nostra esistenza.

Ma ancora più interessanti sono il secondo e il terzo racconto. Devo dire di essere rimasta sorpresa quando ho scoperto che il libro si componeva di tre storie distinte, poichè la prima occupava molto più di metà libro.
E, come scrive giustamente Bouvard, se nella prima vicenda non possiamo che essere grati al marito di Kwei-lan per averle aperto gli occhi e fatto scoprire il vero significato dell’amore, negli altri due casi il dubbio ci viene: chi ha ragione, la voce della modernità o la voce della tradizione? Esiste una ragione?

Il secondo e il terzo racconto ci invitano proprio a riflettere su quanto accennavo prima: la cultura non è un vestito che possiamo smettere per indossarne un altro più adatto all’occasione. E qualsiasi trasformazione ha dovuto subire un popolo nel passaggio da una concezione del mondo all’altra ha portato con sè tante lacrime e tante ferite.
In fin dei conti parlare di “cultura”, “tradizioni” è abbastanza facile: sono comunque concetti astratti che si applicano a entità generiche come “popolo”, “nazione”, ma la realtà è un’altra ed è fatta di singoli individui che si sono sentiti crollare il mondo addosso e che hanno visto la propria vita sacrificata sull’altare dell’evoluzione.

Insomma, un libro semplice e allo stesso tempo di una forza incredibile. Da non perdere se ci si vuole interrogare sul valore dell’Altro.
 
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