Yeonmi Park - La mia lotta per la libertà

elisa

Motherator
Membro dello Staff
Sono estremamente grata per due cose: di essere nata in Corea del Nord e di essere fuggita dalla Corea del Nord. Entrambi gli eventi mi hanno formato, e non cambierei mai la mia vita con una pacifica e tranquilla. Ma c'è molto di più nella storia che mi ha portato a essere quella che sono oggi. [...] Durante il mio viaggio ho visto gli orrori che gli esseri umani sono capaci di infliggersi a vicenda, ma sono stata anche testimone di atti di tenerezza, gentilezza e sacrificio nelle peggiori circostanze immaginabili. So che si può perdere parte della propria umanità per spirito di sopravvivenza. Ma so anche che la scintilla della dignità umana non si potrà mai davvero spegnere e che, grazie all'ossigeno della libertà e al potere dell'amore, potrà tornare a brillare. Quella è la storia delle scelte che ho fatto per riuscire a vivere. Yeonmi Park racconta la sua storia incredibile: dall'infanzia sotto il regime di Kim Jong-il, alla fuga in Cina finita nelle mani dei trafficanti di esseri umani, alla ricerca senza esito della sorella Eunmi, alla traversata del gelido deserto di Gobi seguendo le stelle verso una nuova vita, il suo memoir è un inno senza retorica alla libertà e alla forza dello spirito umano.

Il libro ha un forte valore di testimonianza se pensiamo che è stato scritto da una ragazza giovanissima che ha vissuto tutte quelle vicissitudini durante la sua adolescenza. Traumi fortissimi quelli legati alla fuga dalla Corea, forse maggiori per impatto di quelli vissuti negli anni precedenti perché almeno aveva un'dentità, un paese, un'appartenenza. E' la tratta delle vite umane, la brutalità dei "passeur", l'insensibilità di chi dovrebbe accogliere, ospitare, dare libertà.
Forse è questa la parte più importante che questo libro racconta e bisogna rendere onore alla protagonista di essere diventata una testimone dei diritti dei profughi, dei richiedenti asilo, dei "disertori" (come vengono definiti chi scappa dalla Corea del Nord), di chi scappa dall'inferno e che purtroppo rischia non solo di attraversarne un altro ma di trovarne uno ben peggiore. Una combattente nata. Un esempio per tutti.
 

Kira990

New member
Alla fine non puoi restare distaccata da questo tipo di storie, a prescindere da stili di scrittura o pregiudizi vari. È toccante soprattutto perché è una storia che si sta svolgendo ora, non lontana anni, e quindi io regolarmente confronto quello che leggo con la mia vita in quel momento. È duro leggere di queste cose partendo poi da una ignoranza elevata sull'argomento; è più facile, e forse più diffusa come "abitudine", leggere storie difficili sui paesi arabi, quindi sul discorso Corea del Nord ero proprio impreparata.
Tutto il mio rispetto per Yeonmi e la sua famiglia per voler raccontare la loro storia e ammirazione per essere sopravvissute e voler cercare di fare comunque la differenza. Tanti, raggiunta una parvenza di stabilità, avrebbero vissuto egoisticamente senza cercare altri problemi.
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Concordo con il commento di Kira qui sopra: mai come per quest’opera il contenuto è la cosa fondamentale da commentare, che sia scritto bene o male è del tutto secondario.

I contenuti sono talmente scioccanti che potrebbero essere scritti anche da una bambina di seconda elementare che rimarrebbero comunque impressi.

Bisognerebbe fare un’analisi di ciò che viene detto, capire se gli avvenimenti siano veri, falsi o in parte veri e in parte falsi. Il giudizio, considerando il momento storico, dipende unicamente da questo. Se in tutte le altre zone del mondo esistono rapporti dettagliati di agenzie governative e non, che incrociati tra loro danno certezza di ciò che avviene tra le mura dei vari dittatori, qui la situazione è molto più complessa.

La Corea del Nord è un paese (parzialmente) autarchico e i racconti dei pochi turisti che ci sono stati sono sempre più o meno gli stessi: ritiro di cellulare in dogana, vietato fare foto in punti militari o politici, vietato parlare con le persone e vietato muoversi in autonomia. Ma ciò che viene detto a proposito delle condizioni delle principali città è spesso oscurato dalla patina pregiudiziale delle varie ideologie. C’è chi vede in Pyong Yang una capitale moderna, attenta all’ambiente ed estremamente funzionale, chi invece scorge un clima da Grande Fratello quasi peggiore del libro di Orwell. Le persone vedono nello stesso identico ambiente cose del tutto diverse; dal punto di vista sociologico questo è piuttosto interessante.

La Corea del Nord oggi è sulla bocca di tutti, anche se la dittatura dei vari Kim dura da settant’anni. Il dubbio che alcuni, o forse tutti, degli episodi raccontati in questo libro siano faziosi è lecito e va sollevato in nome di una libertà di pensiero che la stessa autrice dice di aver anelato per troppo tempo.

La stessa autrice, in molti suoi interventi, si è più volte contraddetta, anche in punti del libro estremamente focali.

Con ciò non intendo fare “apologia” coreana. Ci mancherebbe altro. Dico solo che bisogna leggere questo libro tenendo bene a mente il momento storico in cui è stato scritto e cercare di captare tra le righe ciò che si può, in modo sereno e senza pregiudizi.

Non tutto ciò che ci viene detto in tv e sui giornali è vero, questo ormai lo sappiamo. E se questo vale per i paesi liberi, figuriamoci in quelli dittatoriali, dove, se da una parte viene detta che la verità è del tutto nera, dall’altra si dice che è completamente bianca.

Ricordo ancora un mio viaggio a Istanbul di qualche anno fa. Stava arrivando il papa in visita e il mondo occidentale, del dopo Ocalan, non aspettava altro che mandare in onda orde di barbari turchi che bruciavano la figura del papa o davano fuoco alle bandiere americane. In quei giorni io ero là e mia madre, terrorizzata da ciò che vedeva in televisione, mi chiamava ogni due ore. Il fatto è che la città era perfettamente tranquilla e tutti, dico tutti, attendevano il papa in modo sereno e aperto. La televisione mandava invece filmati di repertorio e non da meno erano gli articoli di giornali che descrivevano situazioni inesistenti. Ripeto: non gonfiati o esagerati, ma completamente inesistenti.

Il fatto è che non so bene a chi credere e questo mi impedisce di dare una valutazione di merito al libro, la cui lettura, comunque, mi sento di consigliare.
 

Tanny

Well-known member
Questo libro mi è piaciuto ma rispetto ad un altro che parla del medesimo tema mi ha lasciato leggermente insoddisfatto, soprattutto per la parte della vicenda che si svolge in Nord Corea, oltre alle vicende personali di lei e della sua famiglia, la descrizione del contesto risulta essere abbastanza scarna, vengono infatti descritte delle situazioni ma non vengono molto approfondite, dando quasi per scontati dei particolari che in realtà non lo sono.
Per quanto attiene le incoerenze che sono state messe alla luce, non posso certo erigermi a giudice di una situazione che non conosco direttamente, ma credo che l'autrice, la ghostwriter del libro e l'editore ci abbiano messo del loro per rendere il libro e la vicenda più appetibili per le fauci dei lettori occidentali, dipingendo il regime nord coreano proprio come viene propinato dai vari media; con ciò non voglio in alcun modo dire che il libro sia pieno di falsità ne tanto meno difendere il regime dei Kim, ma solo dire che quanto già riportato da molti altri rifugiati in questo libro è stato dato un massimo risalto.
Oltre a quanto sopra descritto, la forza narrativa di questo libro la si può trovare non tanto nelle descrizioni del periodo vissuto dalla protagonista in nord corea, bensì in quanto ha dovuto subire per fuggire dal suo paese, a mio avviso il vero dramma sta proprio in quello che i profughi nord coreani devono passare per raggiungere la liberà e pure nella loro difficoltà ad adattarsi ad una civiltà a loro completamente estranea.
Per quanto attiene lo stile del libro è molto giornalistico ma per descrivere una simile vicenda non credo si poteva far altro.
Mi sento quindi di dare a questo libro un voto di 3/5
 
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