Stefánsson, Jón Kalman - Paradiso e inferno

Meri

Viôt di viodi
Siamo in Islanda un giovane ragazzo e il suo grande amico Bardur sono pescatori. La loro è una vita semplice, ma dura che si divide tra villaggio e mare. Le acque aspre dell'Atlantico spesso fanno rischiare loro la vita.

Un libro che più che un racconto è un insieme di emozioni.
 

bouvard

Well-known member
“Ci sono parole che hanno il potere di cambiare il mondo, capaci di consolarci e di asciugare le nostre lacrime. Parole che sono palle di fucile, come altre sono note di violino. Ci sono parole che possono sciogliere il ghiaccio che ci stringe il cuore, e poi si possono anche inviare in aiuto come squadre di soccorso quando i giorni sono avversi e noi forse non siamo né vivi né morti”

Negli ultimi due anni mi era capitato spesso di imbattermi in commenti entusiastici su questo libro e ogni volta nella mia testa faceva capolino l’idea di leggerlo. Ma poi lasciavo correre, mi dicevo che probabilmente era il solito libro costruito a tavolino per entusiasmare i lettori “dell’ultima ora”, quelli che si credono dei gran lettori solo perché leggono tutti i libri in cima a qualche classifica. E pazienza se in cima c’è del ciarpame!
Paradiso e Inferno non è un libro costruito a tavolino. Niente sesso, niente volgarità, nessuno scandalo, nessun mistero, nessun complotto. C’è solo tanta Islanda. Si avete letto bene Islanda, non Los Angeles, New York o altro posto modaiolo, solo un’isoletta in capo al mondo, sperduta in mezzo all’oceano, dove le persone e i luoghi hanno nomi impronunciabili e dove oltre a pescare merluzzo non c’è molto altro da fare, a parte morire…
Un posto in cui la vita dell’uomo sembra valere meno che in altri posti e in cui la sottile linea che separa la vita dalla morte sembra ancora più sottile che altrove. Il mare, le montagne, il ghiaccio, il vento qui sono gli arbitri della vita umana, sono loro a decidere chi deve vivere e chi morire. Un luogo in cui basta attardarsi un po’ più del necessario a sognare sul verso di una poesia per morire

Or scende la sera/ a deporre il manto / greve d’ombre / su ciascuna cosa, / la scorta il silenzio / Nulla mi è delizia, tranne te (Paradiso perduto, Milton)

“Nulla mi è delizia, tranne te”. Paradiso e Inferno è un libro sulla vita, sulla morte, sul dolore, sull’amicizia, sulla Fede (che mi ha ricordato tanto quella di Al dio sconosciuto di Steinbeck), sull’incertezza della condizione umana. E su tanto altro. E’ un libro di continue domande e nessuna risposta. Perché non ci sono risposte se non quelle che ognuno trova in sé. E’ un libro che ha la dolcezza della poesia e l’amarezza della vita.
Questo libro aveva tutte le carte in regola per diventare uno dei miei libri dell’anima. Per qualche strana ragione si è invece fermato titubante sull’orlo di quell’abisso. Dovrò rileggerlo per afferrare la ragione di quella titubanza. Non capita spesso di chiudere un libro e volerlo immediatamente riaprire.

“Nulla mi è delizia, tranne te”. Toccherà leggere anche il Paradiso perduto…

Consigliato!
 

malafi

Well-known member
Libro che mi ha un po' deluso, forse mi aspettavo qualcosa di diverso.

La 1° parte non ha deluso le mie aspettative, dove la natura forte e selvaggia dell'Islanda emerge in tutte le sue componenti (mare, ghiaccio, monti) e dove la vicenda narrata è strettamente ed intimamente connessa con questi elementi così forti che scandiscono la vita (e la morte) dei protagonisti.
La 2° parte mi ha annoiato, ma proprio annoiato. Capisco che sia Islanda anche questo intreccio di storie semplici degli abitanti di un villaggio, ma non è quello che mi aspettavo ed ho fatto davvero fatica a finirlo.
 

Shoshin

Goccia di blu
Il mio tempo intimo si è fermato e
non sono più stata nella mia vita.
Sono entrata nel mondo silenzioso
e ghiacciato raccontato da Jon.
Nessuno ad aspettarmi.
Tranne la poesia .
E la poesia non ha bisogno di niente altro che di se stessa per descrivere il cammino di un uomo.
Il cammino degli uomini tra i giorni della vita e la notte della fine.
Il mare è il padre dei versi.
Dal mare il ritmo lento o assordante e veloce delle parole.
Non trovo modo per dire meglio quanto mi sia piaciuto questo libro.
Cerco ancora la chiave per riaprire la mia porta e tornare a casa.
Ma dalla poesia spesso si resta rapiti.



Scrive Silvia Cosimini traduttrice dei romanzi di Stefánsson

"La sua scrittura ha lo stesso impatto di una coscienza collettiva,di uno scrigno in cui il passato non è un rimpianto nostalgico verso qualcosa che non esiste più.bensì un presente rivissuto,il modo per dare un senso e un valore agli eventi di una vita."
 

ayuthaya

Moderator
Membro dello Staff
Paradiso e inferno è il primo romanzo che leggo di questo scrittore e l’ho scelto non solo perchè mi è stato consigliato da una persona di cui mi fido, ma anche perchè sono stata in Islanda e mi sono innamorata della sua natura selvaggia e quasi incontaminata. In effetti, a essere vividamente resi non sono tanto i paesaggi, come mi aspettavo, ma la natura stessa, selvaggia e primitiva, di quest’isola.

Qui avviene lo scontro di elementi primordiali: le aspre montagne e il profondo mare, la vita e la morte, l’Inferno e il Paradiso. Mi ha colpito il fatto che il mare stesso sia fonte di vita e portatore di morte: sembra impossibile che proprio i pescatori, che nelle sue acque trascorrono gran parte della loro esistenza, spesso non siano capaci di nuotare e perciò si debbano totalmente affidare alla sorte, o a una fede animista, per tornare sulla terraferma sani e salvi.
Anche nella vita di Bárdur e del suo giovane amico si affrontano due forze opposte: da una parte la dura realtà, il bisogno di sopravvivere, dall’altra l’ambizione a vivere che passa attraverso la passione per la letteratura, piuttosto insolita per un povero pescatore di merluzzi.

Ci sono parole che hanno il potere di cambiare il mondo, capaci di consolarci e di asciugare le nostre lacrime. Parole che sono palle di fucile, come altre sono note di violino. Ci sono parole che possono sciogliere il ghiaccio che ci stringe il cuore, e poi si possono anche inviare in aiuto come squadre di soccorso quando i giorni sono avversi e noi forse non siamo né vivi né morti. Ma le parole da sole non bastano e finiamo a perderci nelle lande desolate della vita se non abbiamo nient’altro che una penna cui aggrapparci”.

Le parole insegnano a vivere, non bastano però a sopravvivere. Il dramma di Bárdur, che non ha avuto il diritto di scegliere, si riversa sul giovane amico, che vede improvvisamente crollargli il mondo addosso. Cosa fare, allora? meglio la vita o la morte? L’Inferno o il Paradiso? Il suo sarà un viaggio di iniziazione, un vero “percorso di risurrezione” che lo porterà a contatto con qualcosa da cui prima si sentiva quasi estraneo: l’umanità. A parte Bárdur, infatti, il ragazzo non ha più nessuno al mondo; imparerà quindi che le persone esistono e agiscono nel mondo, nel bene e nel male: a volte sembrano tenere in mano il proprio destino, più spesso sono sopraffatte dagli eventi, ma comunque vivono, o sopravvivono. E forse alla fine sopravvivere significa imparare a vivere.

Uno stile molto suggestivo e poetico, che mi ha ricordato Saramago, e che trasmette grandi emozioni. (Non basterebbe una marea di citazioni per dimostrarvelo, per cui leggetelo!)
 
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