Brooks, Kevin - Bunker Diary

Jessamine

Well-known member
TRAMA:
Linus, sedici anni, insieme a quattro adulti e una ragazzina di nove, si trova intrappolato in un bunker, uno spazio claustrofobico da cui nessuno può fuggire.
Sono stati rapiti da qualcuno che si è presentato loro ogni volta in modo diverso e non sanno perché sono stati scelti.
Spiati da decine di telecamere e microfoni perfino in bagno, dovranno trovare un modo per sopravvivere.

"Bunker Diary" è un incubo da vivere sulla propria pelle attraverso le pagine del diario di Linus, in un'escalation di umiliazioni, meccanismi perversi e violenza fisica e psicologica innescati "dall'uomo di sopra".


COMMENTO
Avevo sentito molto discutere di questo romanzo, perché quando è uscito lavoravo sia con i libri che con i ragazzi, quindi si è discusso tanto su quanto un libro del genere potesse essere adatto ad una fascia di lettori molto giovani. Ebbene, forse perché io sono sempre stata una lettrice abbastanza precoce, ma ho sempre guardato con un po' di disprezzo e arroganza ai cartellini con le età da apporre sui libri: ho sempre pensato che le fasce d'età fossero indicative, e che sconsigliare a priori un libro ad una persona molto giovane fosse qualcosa di abbastanza stupido. Ebbene, dopo aver letto questo romanzo, devo dire di aver ridimensionato non poco la mia percezione al riguardo.
“Bunker Diary” è scritto con uno stile semplice e diretto, parla attraverso la voce di un sedicenne, che è sedicenne per davvero, ha i pensieri e il modo di esprimersi di un sedicenne, e parla di cose che effettivamente potrebbero accadere davvero ad un sedicenne, dunque verrebbe da pensare che dei ragazzi ai primi anni di scuola superiore siano esattamente i lettori ideali. Ecco, no. Non dico che non ci siano ragazzi giovani abbastanza forti da leggere questo romanzo senza uscirne estremamente turbati, ma comunque raccomanderei un po' di cautela.
Mi è molto difficile parlare di questo romanzo: mi è piaciuto, mi è piaciuto moltissimo, e al tempo stesso ho odiato leggerlo. L'ho letteralmente divorato in due giorni, e tutt'ora, a distanza di qualche giorno da quell'ultima pagina bianca, provo una sensazione di angoscia ripensando alla sua lettura. D'accordo, io sono una persona piuttosto sensibile, e in questo periodo particolare della mia vita sono emotivamente piuttosto fragile, ma mi sono sempre vantata di essere piuttosto coriacea per quanto riguarda le mie letture: non ho mai avuto grandi problemi a leggere libri con argomenti piuttosto spaventosi o angoscianti, e per quanto possa piangere anche solo con la pubblicità del detersivo, di solito mi riprendo abbastanza in fretta. Ecco, con “Bunker Diary” non è stato così. Per fare un esempio abbastanza significativo, qualche mattina fa ero in sala d'aspetto dall'ortopedico, e stavo leggendo, quando la segretaria mi ha chiesto se dovesse chiamare subito il dottore, perché ero impallidita e pensava mi stessi per sentire male. La colpa era tutta di Kevin Brooks.
Quello che m ha turbato particolarmente di questo romanzo, è la lucidità con cui è scritto: Linus è un ragazzino come tanti, con una storia abbastanza particolare alle spalle, ma privo di chissà quali elementi distintivi, e il suo modo di pensare mi ha scosso nel profondo. Perché quello che gli accade, per quanto incredibile, indicibile, crudele e profondamente ingiusto, è anche estremamente realistico. Le persone che scompaiono sono tantissime, e spesso, semplicemente, non si scoprirà mai cosa è successo loro. Non c'è un perché, non c'è un disegno dietro le loro sofferenze, non c'è uno scopo né una ragione. Semplicemente, spariscono.
Tutto ciò che accade a Linus e ai suoi cinque compagni di disgrazia è terribilmente realistico: non perché Brooks insista morbosamente in particolari violenti o gratuiti (per quanto, comunque, certo non si censuri nemmeno), ma perché il climax delle sensazioni del protagonista è perfetto: la rabbia, la paura, lo sgomento, la voglia di ribellione, l'abbruttimento, e infine quel lento discendere in uno stato di claustrofobica accettazione mi hanno totalmente spiazzata. Tutto, in queste pagine, è vibrante e reale: l'umanità che spinge a creare alleanze, la voglia di proteggere chi ha più bisogno, la cieca follia della violenza che contagia chiunque, quando si tratta di cercare di sopravvivere. E quella terribile verità: ci si abitua ad ogni cosa, dopo un po'.
Ho letto molte recensioni lamentarsi del finale, ma devo ammettere che, superata la frustrazione iniziale, l'ho trovato semplicemente perfetto: una spiegazione, una ragione, un perché avrebbe dato una sensazione di compiutezza che, forse, per un certo aspetto avrei apprezzato maggiormente, ma che mi rendo anche benissimo conto avrebbe del tutto annullato la forza di questo romanzo.
Mi sono anche domandata a lungo se avesse davvero senso scrivere un romanzo così, un romanzo senza risposte, un romanzo che vuole solo mostrare l'insensatezza della crudeltà umana, e una risposta non l'ho ancora trovata. Forse no, forse per certi versi “Bunker Diary” è davvero solo pornografia del dolore, qualcosa di non necessario, ma al tempo stesso non ho mai avvertito quella brutta sensazione che si prova quando sembra che un autore abbia deciso di “giocare sporco”, facendo leva sul patetismo o sulla pietà.
“Bunker Diary” è un libro crudele e asciutto, che non fa sconti a nessuno, che non scende a patti con la finzione letteraria e tutte quelle belle cose che si imparano ad un qualsiasi corso di scrittura creativa. Non c'è nessun viaggio dell'eroe, non ci sono motivazioni, non ci sono messaggi: c'è solo la crudezza di una storia estremamente vivida e dolorosa, in grado di entrare letteralmente sotto le unghie del lettore.
Siate cauti, in questa lettura: se soffrite di ansia, attacchi di panico, disturbi dell'umore, siate consapevoli che molte delle sensazioni suscitate da questo romanzo potrebbero andare a peggiorare la vostra situazione. Se avete a che fare con dei ragazzi giovani, tenete gli occhi aperti: non censurate la lettura, ma state attenti, partecipate, dialogate con i ragazzi. Lo so, sono consigli banali, che non avrei mai pensato di dover dare in un commento ad un libro, ma mi sento di farlo con il cuore in mano: “Bunker Diary” è davvero una lettura significativa, che vorrei consigliare, ma al tempo stesso non credo di essere mai stata turbata così tanto da un libro, non in tempi recenti, almeno.
Ci sono tanti interrogativi etici che mi rimbalzano in testa da quando ho voltato l'ultima pagina di questo romanzo, e avrei voluto riuscire a metterli a fuoco meglio. Credo che “Bunker Diary” sia una lettura che si presta molto a diventare in un certo senso una lettura collettiva, una lettura che mira al dialogo e alla condivisione di riflessioni e discussioni.
Kevin Brooks, con parole semplicissime, è riuscito a scatenare sensazioni che difficilmente avrei creduto possibili grazie ad un'opera di finzione. Indubbiamente è stata una grande scoperta, un autore che nel 2018 sono fermamente intenzionata ad approfondire moltissimo.
 

qweedy

Well-known member
Alla faccia dello young adult!
Destabilizzante, angosciante, claustrofobico. Il male allo stato puro, senza un perchè. L'ho letto d'un fiato, perchè volevo capire, avere una spiegazione. Non potevo fermarmi.
E' un libro disturbante, mi ha rammentato le stesse sensazioni avute leggendo Room di Emma Donoghue, o Cecità di Saramago, o Condominium di Ballard, si rimane turbati anche dopo.
Ho sempre molta curiosità quando si tratta di persone diverse rinchiuse in una stanza senza contatti con l'esterno, mi affascina leggere cosa avviene nella psiche, come si regredisce velocemente alla lotta per la sopravvivenza e in questo libro direi che il percorso psicologico sia spiegato molto bene, è tutto molto reale.
Il finale è perfetto: credo sia questo finale che lo rende così destabilizzante anche dopo aver letto l'ultima pagina, la mancanza di un senso. I protagonisti soffrono, senza un perchè. E' dura da accettare, si vorrebbe poter dare un senso al dolore, al male, alla violenza.

Come voto darei 3/5


Pensavo fosse cieco. E’ così che mi ha preso.
E’ pazzesco, come ci sono cascato.
Quando stamattina mi sono svegliato era ancora buio. Appena ho aperto gli occhi ho capito subito dov’ero.
Mi trovo in uno spazio rettangolare, col soffitto basso, tutto di cemento imbiancato.
Lungo il corridoio principale ci sono sei stanzette. Non ci sono finestre. Non ci sono porte.
L’unica via di entrata o di uscita è l’ascensore.
Cosa vuole farmi? Cosa posso fare io?
Se ho calcolato bene, l’ascensore dovrebbe scendere fra cinque minuti. E infatti.
Solo che stavolta non è vuoto…


Qui luci accese alle otto, ascensore che arriva alle nove, ascensore che riparte alle nove di sera, luci spente a mezzanotte. Tante lunghe ore a non far nulla. Ad aspettare, a pensare, a starsene seduti, a sdraiarsi, ad alzarsi di nuovo, a camminare in tondo. Non mi piace, ma mi ci sto abituando e quando ti abitui a qualcosa poi non lo trovi più pesante come l’inizio.
 
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