Brodkey, Harold - Primo amore e altri affanni

Jessamine

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Nel 1958 appare per la prima volta in volume una raccolta di racconti che lo scrittore Harold Brodkey aveva pubblicato periodicamente negli anni precedenti sul New Yorker. Era già considerato, a meno di trent'anni, la più grande promessa della narrativa americana e più tardi Harold Bloom l'avrebbe definito il Proust d'America. "Primo amore e altri affanni" fu l'opera che lo consacrò e lo fece conoscere a tutto il mondo. Un volume nel quale affiora l'ossessione autobiografica dell'autore per la memoria impietosa delle situazioni famigliari, la vita nel college, l'infanzia perduta, il matrimonio, l'ambiguità sessuale, il romanticismo. Nelle dieci storie di "Primo amore" la cronaca interiore diventa epica, ogni sentimento un labirinto di sentimenti. È l'amore dei primi turbamenti, quello eversivo, mozzafiato, devastante, che capovolge la vita, a essere al centro: una pulsione innocente che dà i brividi, la fiamma vitale che torce lo stomaco, l'ebbrezza adolescenziale che toglie il respiro e che dà da pensare, perché se si esaurisce, ecco che si trasforma in affanno. Primo amore è l'epopea dell'animo umano, una raccolta scritta in una prosa trasparente che intrappola il lettore in un dolce, lungo sogno, in cui ogni dettaglio, ogni piccolo frammento di un tempo perduto diventa commovente, appassionante. Perché quell'amore giovane, in qualche modo, ce lo ricordiamo tutti.

COMMENTO
“Esiste una particolare gradazione di mattoni rossi - un rosso cupo, quasi melodioso, profondo e venato di blu - che è la mia infanzia a St. Louis. Non l'infanzia vera: ma quella finta, che si estende dal primo albeggiare della consapevolezza, fino al giorno in cui si lascia la casa per entrare all'Università.”
Inizia così questa raccolta di racconti di un autore che, fino a qualche settimana fa, mi era completamente sconosciuto. Leggendo queste poche righe, non ho potuto fare altro che sentire il cuore allargarsi un po': forse “Primo amore e altri affanni” non è la raccolta di racconti perfetti, forse Harold Brodkey non è l'autore migliore che io abbia mai letto, ma indubbiamente c'è qualcosa, nella sua prosa così ricca, avvolgente ed estremamente visiva, che fa risuonare le corde più istintive del mio piacere per la lettura.
Purtroppo ho letto questi racconti in un periodo abbastanza complicato, quando avevo tante cose per la testa e tanti cambiamenti da affrontare, dunque mi rendo conto che la mia soglia dell'attenzione non è stata elevata quanto questo libro meriterebbe. Ed anche ora, a distanza di qualche settimana dal momento in cui ho terminato la lettura, sto cercando di mettere insieme una recensione decente, perché Harold Brodkey merita parole ben ponderate, ma temo che dovrò limitarmi a qualche impressione sparsa.
E' chiaro che la penna di questo autore sia uno strumento estremamente raffinato, lo si avverte ad ogni fraseggio, ad ogni costruzione perfettamente equilibrata di suono, senso e sensibilità estetica. Eppure, non si avverte mai l'artificiosità della lima dell'autore, ma tutto sembra fluire in un unico, grande sospiro, come se le parole fossero semplicemente sgorgate in maniera spontanea sul foglio.
A volte mi chiedo se, alla fin fine, nei libri io non faccia altro che leggere ciò che riesce a parlarmi, perché questo è un periodo in cui sono affamata di gentilezza, ed è già la seconda volta in poco tempo che mi ritrovo a scrivere una recensione parlando proprio di gentilezza. Eppure, non farlo mi parrebbe una forzatura: Harold Brodkey dipinge delle solitudini inquiete, e lo fa con una gentilezza commovente. Non fa sconti ai suoi personaggi, dispensa difetti ed errori con molta sincerità, ma non lo fa mai con il rimprovero in punta di penna. Le sue sono solitudini molto lucide, ma i contorni affilati di questi affanni e queste sofferenze sono smussati da una compassione genuina, autentica e per niente stucchevole. Ci si riconosce in queste figure imperfette che si affacciano nel mondo dei sentimenti con gambe tremanti e movenze goffe, ma lo si fa con il sorriso benevolo di chi ha imparato a perdonarsi.
Ecco, questa gentilezza, questo sorriso un po' amaro e un po' pieno di speranza al tempo stesso mi hanno scaldato un po' il cuore.
Il racconto che ho sicuramente apprezzato di più è stato “Educazione sentimentale”, con quella tensione che si accumula verso un finale che forse si poteva intuire già dalla prima riga, ma che, forse proprio per questo, ha reso la lettura un'esperienza ancora più intimistica, più vissuta.
Mi hanno convinto meno invece i racconti su Laura e sulla sua famiglia, ma ammetto che potrebbe essere solo una questione di tempistiche sfortunate, dal momento che li ho letti nel momento in cui potevo dedicare loro meno energie intellettuali.
L'unica cosa che mi ha fatto accapponare la pelle (e qui il povero Harold non ha la minima responsabilità) è una particolare scelta di traduzione dell'edizione Serra e Riva: la figlia di Laura si chiama Fede, e fin qui tutto tranquillo (anche se, d'accordo, non credo che Federica sia esattamente il nome più diffuso in America). Peccato che, leggendo alcune recensioni inglesi, abbia capito che in realtà questa povera marmocchia si chiama Faith. Non pensavo che nel 1988 i nomi propri venissero ancora tradotti.
Sottigliezze a parte, ho apprezzato veramente molto questa raccolta di racconti, e cercherò al più presto di recuperare tutto quello su cui riuscirò a mettere le mani di Brodkey. E' sorprendente che un autore tanto bravo goda di così poca attenzione, spero che la nuova edizione Fandango contribuisca a portarlo sotto gli occhi di più lettori.
 
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