Roth, Joseph - Tarabas. Un ospite su questa terra

bouvard

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Quello che mi colpisce nei libri di Joseph Roth è soprattutto la sua scrittura. La sua capacità di descrivere fatti semplici, quasi banali che già altri scrittori hanno descritto mille volte prima di lui e riuscire a farlo con immagini nuove, sorprendenti e inaspettate. Come un cuoco che con i soliti quattro ingredienti poveri a disposizione riesce a creare non solo un piatto nuovo, ma anche un piatto degno della tavola di un Re.
Ecco quando inizio a leggere un libro di Roth metto sempre in conto di venire sorpresa, perché so che quando meno me lo aspetto lui mi tirerà fuori una descrizione che mi farà interrompere per un attimo la lettura. Una descrizione che mi lascerà a bocca aperta nonostante la sua semplicità e che dopo averla letta mi sembrerà quasi ovvia. Ma solo dopo averla letta e questo mi fa capire ogni volta perché non sarò mai una scrittrice!
Veniamo a questo libro tanto breve quanto denso che mi ha lasciato molti punti interrogativi e mi ha costretto a pormi tante domande. Tarabas è un giovane russo di famiglia agiata – ma di questa famiglia ci viene parlato solo nella parte finale del libro – turbolento, violento e insofferente verso i suoi simili tranne quelli che come lui non amano la vita. E’ un uomo che ama solo la guerra e la violenza e a cui un giorno una zingara predice un destino singolare “…io leggo nella sua mano che lei è un assassino e un santo!”.
Durante la guerra prima e poi nella confusione succeduta alla Rivoluzione d’Ottobre Tarabas diventa davvero uno spietato assassino. Di tanto in tanto le parole della zingara gli tornano in mente perché nonostante tutta la sua violenza è un uomo incredibilmente superstizioso. E tutta la sua violenza, tutta la sua baldanza viene sempre meno alla vista di un ebreo dai capelli rossi…
A leggere queste pagine – soprattutto quelle su un improvvisato pogrom contro gli ebrei della cittadina di Koropta – vengono i brividi a pensare a quello che di lì a qualche anno sarebbe successo davvero. Ho trovato denso il libro anche per tutto quello che vi ho “letto” (magari sbagliando) di non-scritto. Tarabas mi è sembrato infatti il simbolo di quella violenza che di lì a poco per alcuni anni sconvolse il mondo.
Il suo “cambiamento” non ha niente di grandioso, non è frutto di un’illuminazione religiosa, né tantomeno di una presa di coscienza delle atrocità commesse. E’ piuttosto come se la sua violenza avesse toccato un apice, un punto oltre il quale non poteva più aumentare e allora avesse scoperto la sua “debolezza”. Quella componente superstiziosa che in Tarabas non viene mai meno è come se alla fine gli facesse capire tutta la debolezza della sua violenza.
Le pagine finali le ho trovate molto belle, quasi profetiche per quello che – come dicevo prima – sarebbe avvenuto un decennio dopo. E come la violenza di Tarabas anche quella dei nazisti per quanto grande, disumana, e atroce alla fine venne sconfitta.
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