Gide, André - I sotterranei del Vaticano

elisa

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Provocare e inquietare il lettore è stata per Gide quasi una bandiera, certo una parola d'ordine. E I sotterranei del Vaticano, pubblicato nel 1914, l'anno stesso in cui prendeva il via l'immane e gratuito massacro di tutta una generazione, resta il più provocatorio, il più inquietante dei suoi tanti interventi. Questa sotie aggressiva ed "enorme" è satira e farsa, romanzo e pamphlet, sberleffo e manifesto; e la sua irriverenza non cessa di far centro, più di qualsiasi altra opera di questo scrittore così amato, così odiato, così discusso da vivo e così ingiustamente trascurato dopo la sua morte. La commedia degli inganni coinvolge: una banda di truffatori tra Francia e Italia, maestri del raggiro e del travestimento; dei borghesucci cattolici convinti di dover accorrere dalla quieta provincia francese a liberare il Papa, a Roma, dalla presunta e terribile prigionia in cui lo costringerebbe l'onnipossente Massoneria nei "sotterranei del Vaticano" (colui che appare pubblicamente come Papa sarebbe solo un sosia, un impostore); scienziati ferocemente atei e positivisti, bensì di facilissima e altrettanto fanatica conversione alla fede; scrittori che della fede sono i portavoce, mossi dalle peggiori delle vanità e sconvolti dai più atroci dei dubbi; e infine lui, Lafcadio, il bellissimo figlio segreto e ribelle di tanta ipocrita e sfibrata società borghese. (Feltrinelli.it)


Non c'è moltissimo da dire su questo romanzo, proprio per lo stile che lo caratterizza, una grande farsa, satira sociale e forte presa di posizione filosofica, si pensa a Nietzsche, Dostoevskij al Decadentismo, mentre lo si legge. Ma anche l'ambiguità che contraddistingue la realtà rappresentata dallo scrittore, dove si soccombe se si è ingenui, senza schermi. La storia è proprio una rappresentazione di una società in sfacelo in cui Gide fa prova di cercare la verità.
 

ayuthaya

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Il mio approccio a Gide non sarebbe dovuto avvenire con I sotterranei del vaticano, ma, secondo i miei programmi, con I falsari, un romanzo (se ho capito bene) non facile, costruito su più livelli, semanticamente complesso. Da qui, di conseguenza, una certa idea di Gide in quanto autore, senza che poi questa fosse supportata da nessuna ragione particolare e, anzi, non considerando la sua collocazione storica, con opere pubblicate anche a fine Ottocento o – come questa che sto commentando – nei primi decenni del Novecento.
Questo per dire che poco o nulla sapevo su Gide e quando ho iniziato a leggere I sotterranei del Vaticano mi sono sorpresa di avere a che fare con un linguaggio abbastanza "tradizionale" la cui forza – almeno in quest'opera – risiede non nella complessità, ma nella costruzione rigorosa, l'intreccio perfettamente congegnato, la natura “teatrale” dei personaggi, l'ironia che non cede mai al sarcasmo o all'amarezza (mentre, al contrario, ci regala alcuni passaggi davvero esilaranti).

Fin dall'inizio si resta incollati alle pagine, facendosi convincere, “libro” dopo “libro” (in tutto sono cinque), che il protagonista di volta in volta sia il cinico e anticlericale Anthime, o piuttosto il suo bigotto cognato Julius, o ancora l'affascinante e ambiguo Lafcadio... Libro dopo libro, le ipotesi vengono smentite e il lettore spiazzato: come in una rappresentazione teatrale i personaggi escono di scena e cedono il posto ad altri. Fra loro solo deboli legami parentali, mentre le vere “relazioni” sono quelle che prendono vita sotto i nostri occhi, nel confronto diretto, nei dialoghi, nella contrapposizione anche “focosa” fra chi è servo di una menzogna e chi di un'altra. I personaggi sono ritratti in poche pennellate; a volte basta un gesto, uno sguardo, una sola frase (come nel caso della piccola Julie). E venendo a contatto l'uno con l'altro generano la storia, la plasmano.

Esiste davvero un complotto ai danni del papa? Evidentemente no, ma cosa cambia se chi ci deve credere non lo mette in dubbio? Proprio perché lo svolgersi di questa storia è l'esito di una serie di singoli incontri, di singole scelte e azioni (come quella del povero Fleurissoire di partire per Roma per salvare la cristianità), il valore di quest'opera sembra risiedere tutto dentro la storia stessa, nella sua narrazione. Non credo nell'esistenza di una “morale”, di un messaggio “altro” rispetto al romanzo stesso, fosse anche di denuncia.
Voglio dire: I sotterranei del Vaticano è intriso di filosofia; la condanna di un certo tipo di “fede” ipocrita e bigotta è evidente, il prevalere degli interessi di pochi "sottili"* sull'ingenuità dei "crostacei"* (*per la comprensione del significato di questi due termini rimando al dialogo fra Lafcadio e l'avvocato Defouqueblize...) non lascia spazio alla speranza; il troppo rispetto “acceca”, come comprende Julius al cospetto niente popo' di meno che del papa (vero o presunto che sia) e se, come nel caso di Julius, un evento “miracoloso” nella sua tragicità potrebbe avere il potere di aprirci gli occhi, ecco che l'ennesimo inganno ci fa ricadere nella consueta cecità...
Eppure quello che resta al lettore (almeno nel mio caso) non è sconforto, amarezza, derisione, ma l'estrema piacevolezza di una narrazione avvincente e coinvolgente, molto “dostoevskijana” nella parte finale.

Sulla variopinta e vividissima folla di personaggi che animano il racconto, eccelle la figura di Lafcadio, imprendibile perché sembra rifuggire a qualsiasi definizione: fino alla fine non si sa bene quale azione potrebbe compiere, quale sentimento agita il suo animo... Lui è il “dostoevskijano” per eccellenza, a cui si aggiungono grazia e bellezza, in un mix conturbante e destabilizzante. Il finale vero e proprio (di cui non parlerò per evitare spoiler) è davvero riuscitissimo nel mostrare allo stesso tempo l'inconsistenza di qualsiasi "verità" incontestabile e la bellezza insita nel romanzo stesso, la piacevolezza della lettura, che se non è fine a sé stessa comunque basta e avanza.
Se proprio dovessi elevare a “messaggio finale” una frase del libro, sarebbe proprio una rivisitazione del carpe diem che congiunge vita e letteratura: “Sì, è questo ciò che mi sembra tanto bello nella vita: bisogna dipingere di getto. Cancellare è proibito.
 
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