Singer, Isaac Bashevis - Keyla la rossa

Kira990

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Sinossi
Non era affatto sicuro, Singer, di voler pubblicare questo romanzo in una lingua che non fosse lo yiddish: perché dentro ci sono cose che esitava a mettere sotto gli occhi dei lettori americani, e del resto del mondo. C'è, per esempio, il «lato oscuro» di quella via Krochmalna da lui resa un luogo letterariamente mitico, dove viveva, in condizioni di estrema miseria, la comunità ebraica di Varsavia (e la sua stessa famiglia): i bassifondi, i bordelli, i covi dei ladri, dei ricattatori e dei magnaccia; e un accenno a un argomento tabù: il traffico, a opera di malavitosi ebrei, di ragazze giovanissime, che dagli shtetl dell'Europa orientale venivano mandate a prostituirsi in Sudamerica; e, come se non bastasse, un ebreo che va a letto sia con gli uomini che con le donne: atto ignominioso, inammissibile. Ma tutto questo, per noi lettori di oggi, passa in secondo piano rispetto al nucleo incandescente del romanzo, che è una doppia storia di amour fou: quella tra Keyla la Rossa, una irresistibile puttana quasi trentenne, e suo marito Yarme, un seducente avanzo di galera; e quella, ancora più straziante e furibonda, tra la stessa Keyla e Bunem, il figlio diciannovenne di un rabbino, che con lei riuscirà a raggiungere l’America, la terra di tutte le speranze e di tutte le disillusioni. Sullo sfondo, la vita brulicante, ardente, odorante e maleodorante di via Krochmalna, prima, e poi delle miserabili strade di New York dove vivevano gli emigrati all’inizio del secolo scorso: affreschi possenti, che non a caso molti hanno accostato a quelli ottocenteschi di Dickens e Dostoevskij.


Allora in linea di massima il libro mi è piaciuto e lo consiglio ma, non so perchè, non sono entrata in empatia con i personaggi. E' stata una lettura distaccata ma che mi ha lasciato comunque un alone di tristezza alla fine.

-ATTENZIONE SPOILER -
Mi ha infastidito molto Bunem. Mi ha dato l'idea del ragazzino che fa i capricci, che si crede grande, scappa e poi scopre che la realtà è ben peggiore di quello che si era immaginato e, soprattutto, non c'è nessuno a dirgli cosa fare e quindi si trova spaesato e non sa cosa fare. Piuttosto che cogliere l'occasione per crescere, prendersi la resposabilità di decidere qualcosa e pagarne poi le conseguenze (nel bene e nel male), preferisce non far nulla. Non potrà mai avere una evoluzione positiva un personaggio simile.

Su Keyla non so bene cosa pensare. Non l'ho trovata una donna forte, una classica "eroina" dei romanzi, ma non è nemmeno un personaggio negativo. Ho apprezzato che lei ci prova a migliorare, ad uscire dalla sua condizione, ma essendo umani si ricade facilmente nelle spirali negative che ci portano verso il basso. Non apprezzo però l'esasperazione in questi momenti di "down", questi sbalzi di umore in cui un momento è tutto talmente nero da non vedere soluzioni oltre la morte al un momento dopo andrà tutto a meraviglia inizieremo un'altra vita migliore in un altro posto.

Inoltre la sinossi del libro inizia così: Non era affatto sicuro, Singer, di voler pubblicare questo romanzo in una lingua che non fosse lo yiddish: perché dentro ci sono cose che esitava a mettere sotto gli occhi dei lettori americani, e del resto del mondo. C'è, per esempio, il «lato oscuro» di quella via Krochmalna
Ero curiosa di questo aspetto, ma io non ho visto niente di questo. Si sono un gruppo di ebrei e si in via Krochmalna non sono propriamente dei cittadini modello, ma non è descritto niente di diverso da altri quartieri. L'essere ebreo è in sottofondo, è il contesto generale ma non è che siano dei malviventi migliori o peggiori di altri...
 

qweedy

Well-known member
Primo romanzo che leggo di Isaac Singer (premio Nobel per la letteratura nel 1978), e l'ho trovato stupefacente.
Racconta l'amore e la passione, racconta l'umanità povera e umile dalla vita maleodorante del ghetto di Varsavia al quartiere degli immigrati ebrei più poveri di New York nei primi anni del Novecento. Protagonista è un quartetto di ebrei polacchi, una prostituta, un avanzo di galera, un aspirante rabbino, un avventuriero. A tenerli insieme è Keyla: “era bellissima. I capelli rossi, gli occhi verdi con la pelle candida facevano pensare ad un dipinto.”
Pubblicato a puntate sul quotidiano yiddish di New York nel 1976-77 affronta alcuni tabù: i mascalzoni che spedivano ragazze ebree a prostituirsi in Sud America e l’ignominia di un ebreo che andava a letto con uomini e donne.
Keyla la rossa è il personaggio più positivo e affascinante del romanzo, è grandiosa nei suoi slanci di fiducia e ingenuità, cade e si risolleva, non si arrende mai, è piena di candore nel suo desiderio di riscatto. I personaggi maschili sono schiavi della passione intesa come possesso, egoisti e meschini, e tutti sfruttano Keyla. Nonostante la continua discesa nel fango, Keyla è l'unica che conserva la purezza che deriva dal suo buon cuore.
Si sente lo sguardo di compassione con cui Singer descrive i suoi personaggi, ebrei devoti ed ebrei erranti, nel silenzio di Dio.


Consigliatissimo! Voto 5.


“Keyla aveva vissuto nel peccato per tanti anni, abbandonata da Dio e dagli uomini, ma le usanze ebraiche non le aveva dimenticate così come la forma più sordida del desiderio.”.

«Capitava di rado che una femmina già passata per tre bordelli si sposasse ... Era un segno del cielo inviato a tutte le puttane di Varsavia: non dovevano perdere la speranza, l'amore avrebbe continuato a governare il mondo».
 
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bouvard

Well-known member
Questo libro non è il più bello di Singer che ho letto, ma a me è piaciuto ugualmente molto. Keyla al di là di essere una prostituta è soprattutto una donna che cerca di riscattarsi da quella vita.
Non chiede molto a Dio, solo un po’ di tranquillità, un uomo che la ami e non fare più la puttana. E cerca in tutti i modi di realizzare questo suo sogno, aggrappandosi disperatamente ad ogni possibilità che la tenga lontano dalla strada. Ma non sempre le cose vanno come si vorrebbe.
Ma se da un lato Keyla è una donna che lotta, non si rassegna, dall’altro è dominata da uno schiacciante senso di fatalismo, quasi fosse per forza costretta a dover soffrire in quanto ebrea. Come se appunto la sofferenza, il dolore e il dover sopportare fossero parte stessa del dna del suo popolo. E ogni volta che ricade negli sbagli del suo passato ritorna anche il suo fatalismo, salvo poi aggrapparsi disperatamente alla speranza…
Bello
 
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