De Marchi, Emilio - Il cappello del prete

bouvard

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La ragione per cui De Marchi scrisse questo libro di un genere inusuale nel panorama letterario italiano di fine Ottocento – potremmo definirlo una spy-story o un “noir” - è spiegata direttamente da lui all’inizio del libro. La ragione era dimostrare che i cosiddetti romanzi d’appendice non erano un genere letterario appannaggio solo degli scrittori francesi. Ma che anche gli scrittori italiani, se solo si fossero cimentati nel genere, avrebbero potuto scrivere libri altrettanto belli, avvincenti e intriganti. E se devo giudicare da questo libro devo dargli perfettamente ragione!
Il cappello del prete è tutti gli aggettivi che ho usato prima e in più è anche divertente ed ironico. E’ vero qui De Marchi ha giocato facile ambientandolo a Napoli, cosa che secondo me lo fa partire già con una marcia in più. Anche se per un lombardo come lui questo poteva anche essere un grande rischio, in quanto poteva facilmente scadere nei soliti cliché su certe “debolezze” napoletane.

TRAMA: Il barone di Santafusca è un libertino, donnaiolo, giocatore incallito e squattrinato cronico. Per non annegare nei debiti fa un po’ il gioco delle tre carte, si fa prestare i soldi da uno per pagare i debiti che ha con un altro e così via. Ma capita che i soldi li prenda anche in modo illegale e così si sente intimare tra capo e collo di restituirli. C’è davvero da che perdere il senno. Poi c’è un prete avaruccio, usuraio e “assistito” cioè uno che ha la capacità di dare numeri vincenti al lotto. Il barone ha così un’idea per salvarsi, ci vuole del fegato per metterla in pratica, ma la situazione è talmente disperata che…

Non aggiungo altro sulla trama per non rischiare di spoilerarvi qualcosa e rovinarvi la lettura. Vi dico solo di leggerlo se vi capita fra le mani perché ne vale la pena nonostante il linguaggio dell’autore risenta talvolta dell’età. Ma questo è il guaio degli autori che non vengono tradotti. Un Dickens, un Dumas o anche un Dosto sorprendono sempre per la modernità del loro linguaggio, ma basterebbe prendere una vecchia traduzione per rendersi conto che la modernità è tutta del traduttore!
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