Malamud, Bernard - Il commesso

bouvard

Well-known member
L’aver letto solo commenti positivi su questo libro mi spaventava parecchio. In genere quando si hanno delle aspettative alte è più facile venire delusi. Per fortuna però questa volta non è stato così e il mio commento va ad aggiungersi agli altri commenti entusiastici.
Morris Bober mi ha ricordato in più momenti Mendel Singer di Roth, stessa pazienza infinita e stessa fede incondizionata in Dio.

Sgobbava per ore e ore, era l’onestà fatta persona – non poteva proprio sfuggirle, era la sua palla al piede; sarebbe scoppiato se avesse imbrogliato qualcuno; eppure si fidava degli imbroglioni – non invidiava nulla a nessuno e diventava sempre più povero. Più sgobbava (…) è meno sembrava possedere. Era Morris Bober e non poteva avere una sorte migliore. Con un nome così, il senso della proprietà ti era negato, come se il non possedere ce lo avessi nel sangue, nel destino; e se per miracolo ti era dato di possedere qualcosa, eri sempre sul punto di perderlo.

A dire il vero Morris non è un ebreo nel senso ortodosso del termine, uno di quelli che il sabato rispettano il riposo, infatti lui il sabato lavora; non è neppure uno di quelli sempre presenti in sinagoga infatti non ci va mai; e non è neppure uno di quelli maniacali a proposito del cibo "kosher"

Per me non è importante mangiare o non mangiare prosciutto. Per certi ebrei è importante, ma per me no. Nessuno potrà venirmi a dire che non sono un buon ebreo perché una volta ogni tanto quando mi sento la bocca secca assaggio un pezzo di prosciutto.

Per Morris Bober sono altre le cose che fanno un buon ebreo: il rispetto della Legge di Dio e il rispetto del prossimo. Morris si fida talmente tanto degli altri da venir regolarmente imbrogliato. Eppure nonostante sia stato imbrogliato centinaia di volte ogni volta di fronte alla stessa situazione si lascia imbrogliare di nuovo. Qualcuno potrebbe dire che sia uno stupido, ma non è così, è semplicemente un uomo buono e onesto.
Il commesso del titolo non è però lui, ma Frank Alpine. Frank l’onestà non ce l’ha nel dna come Morris e di imbrogliare, rubare e mentire è capacissimo. Salvo poi pentirsene. Uomo complicato Frank, uno che vorrebbe vivere rettamente, ma poi qualcosa gli va sempre storto. Non è un uomo cattivo, tanto che quando decide di darsi al crimine non impiega molto a capire che non è vita per lui quella. D’altronde uno capace di rubare pochi spiccioli a chi gli ha fatto una volta del bene, ma di segnarsi su un pezzo di carta ognuno di quei spiccioli per poterli un giorno restituire non ha proprio la stoffa del criminale.
Si proprio un tipo complicato Frank, uno che vorrebbe sempre scegliere la strada giusta, ma poi talvolta sceglie quella sbagliata, un po’ come Morris seppure per ragioni diverse.

Lo turbava il pensiero della facilità con cui un uomo poteva distruggere tutta la sua vita con un solo gesto sbagliato

E Frank di gesti sbagliati nel libro ne fa davvero tanti. Ma talvolta l’onestà è un frutto tardivo che impiega un po’ a maturare e bisogna avere la pazienza di aspettare…
Bellissimo libro, dalla scrittura semplice di Malamud ai suoi personaggi mai banali tutto concorre a farne un libro assolutamente da leggere

P.S. Una citazione che ognuno di noi potrebbe sottoscrivere!

Nei momenti in cui si sentiva più sola le piaceva trovarsi in mezzo ai libri, sebbene qualche volta fosse deprimente vedere il numero dei volumi che non aveva ancora letto
 

ayuthaya

Moderator
Membro dello Staff
Questo romanzo, mi spiace quasi dirlo, è un Capolavoro.
Perché mi spiace? Perché so che utilizzando certi termini si creano aspettative e, se da una parte un’ottima recensione è un regalo che si fa al futuro lettore, il quale magari è proprio grazie a questa che lo sceglierà, dall’altra si rischia che l’aspettativa troppo elevata venga poi disillusa e ci si resti ancora più male...
Ma come altro definire un libro del genere? Ho voglia di dilungarmi e la prendo alla lontana: un libro “difficile” (mi è capitato di parlarne in modo approfondito ultimamente) se scritto bene, ha tutte le carte in regola per essere definito unanimamente un capolavoro. Che dubbi possono insorgere sul suo valore? Ma un libro “semplice” (che non vuole dire facile)? Non è ancora più difficile farlo assurgere alle alte vette della letteratura? Non sarà ancora più meritato il suo valore, non saremo noi lettori ancora più stupiti di come senza alcuno stile contorto o linguaggio sperimentale lo scrittore sia riuscito a conquistarci completamente?

Arriviamo al dunque: Il commesso è un libro davvero straordinario, che indaga la vita di tre personaggi diversissimi fra loro – due ebrei, padre e figlia, e un italiano dal passato difficile – e allo stesso tempo accomunati da qualcosa di profondo, che rende il loro legame indissolubile (basti pensare a quante volte Morris, il proprietario della bottega, cerca di “disfarsi” di Frank senza mai riuscirci). Sullo sfondo, un tema talmente importante in questo libro da diventare esso stesso protagonista: “ l’essere ebreo”. Cosa significa essere ebreo? Si può essere ebrei anche senza osservare i rigidi precetti imposti da questa religione? Si può essere ebrei senza soffrire? C’è qualcosa che accomuna gli ebrei ai non ebrei, che tanto si sentono diversi dai primi come i primi da questi ultimi?
Be', un elemento in comune fra Morris, Frank ed Helen a mio avviso c'è ed è uno (un altro) dei fili conduttori del romanzo: la capacità, o l'incapacità piuttosto, di realizzare la propria vita... l'occasione persa, i sogni infranti, ma dovrei dire piuttosto affievoliti di fronte alla realtà. È un argomento che mi sta cuore, molto.

Frank, il commesso, è un bravo ragazzo; lo si sente subito, l’autore non ce lo nasconde e i lettore fa subito il tifo per lui. Ma in sè vive una contraddizione insanabile, che non è quella, solo apparente, fra il mettersi sulla buona o sulla cattiva strada, bensì quella di trovare in sè sufficiente forza per riuscire. Non importa in cosa, riuscire comunque: a trovare un lavoro onesto, a istruirsi, a confessare, a perseverare. A lui questa forza sfugge, ogni volta...
Non mi chieda perché, ma prima o poi tutto quello che mi pare valga la pena d’avere mi scappa di mano in un modo o nell’altro. Lavoro come un mulo per ottenere quello che desidero, e proprio quando sembra stia per averlo faccio qualche mossa stupida, e quello che mi pare ormai di stringere in pugno mi schizza via sotto gli occhi.” E poco più avanti “Quello che voglio dire è che, nel momento in cui ne avrei più bisogno, c’è qualcosa che mi manca, dentro di me o a causa mia.
Questa ammissione, fatta dopo pochissime pagine dall’ingresso di Frank nella storia, pesa come una sentenza. Non si fa fatica a capire che avrà un significato particolare anche all’interno del romanzo stesso.

Dall’altra parte c’è Morris, che incarna il tipico "ebreo della diaspora”, condannato a soffrire per la propria estrema bontà d’animo. Incapace di ribellarsi, Morris è un vero Giobbe biblico: intorno a lui, il tema a cui accennavo prima della natura degli ebrei, della loro “rassegnazione”. Ironiche e illuminanti le parole di Frank:
Che razza d’uomo bisognava essere per seppellirsi in una cassa da morto ammuffita e mai una volta durante il giorno, perbacco, mettere il naso fuori dall’uscio per respirare una boccata d’aria, se non per andare a prendere il giornale yiddish? La risposta non era difficile: bisognava essere ebrei.” E con ancora più sarcasmo: “La sofferenza, pensava, è come una merce. Scommetto che gli ebrei riuscirebbero a cavarne un vestito.
C’è un momento, bellissimo, in cui Morris tocca il fondo (la muta “ribellione di Giobbe” mi verrebbe da definirla) e mette in discussione tutta la sua esistenza, rendendosi pur conto che non sarebbe potuto andare diversamente: “Gli anni erano passati spietatamente, senza profitto. Ma di chi era la colpa? Quello che non gli aveva fatto il destino se l’era fatto da sè. Bastava soltanto scegliere la strada giusta e lui aveva scelto quella sbagliata. Anche quando era giusta, si rivelava sbagliata. La fortuna era un dono.” E Morris questo dono non l’ha ricevuto.

Infine c’è Helen, una giovane piena di desideri, speranze, buona volontà, colta in quel momento della vita in cui, se la vita non offre l’occasione incanalare queste energie e questa positività, queste poco a poco finiranno per spegnersi. Helen è già quasi una disillusa, ma non vuole svendersi, questo no. Piuttosto, si richiuderebbe in se stessa, facendo forse col tempo la fine di suo padre, contro la cui condotta il suo orgoglio di donna giovane e luminosa si ribella. “Povero papà. Non era un santo. In qualche modo era un debole”.
E verso Helen, che dei tre protagonisti è quella che si pone più sullo sfondo, tende il “futuro” della storia, quello che il romanzo non ci narra.
Se Morris è condannato dalla propria onestà e dalla propria inettitudine, per la figlia, che non ha mai smesso di coltivare il sogno di potersi elevare culturalmente e spiritualmente, non tutto è perduto. “Solo migliorando se stessa avrebbe potuto dare un significato all’esistenza di Morris, perché, in un certo senso, lei gli apparteneva.

E Frank? Cosa gli riserva il futuro? A voi scoprirlo…

Quel che è certo è che Il commesso è insieme un romanzo straordinario sugli ebrei e un libro che parla di tutti noi, dei nostri desideri e dei nostri fallimenti, della forza e della debolezza, della “condanna” che può significare la nostra natura, sia essa buona o malvagia, dell’occasione che può costituire l’incrociarsi di un’altra vita sul nostro cammino... Non perdetevelo.
 
Ultima modifica:

c0c0timb0

Pensatore silenzioso 😂
Brava Ayu. Che altro hai letto di uno dei miei scrittori ebrei preferiti?

È interessante e intrigante anche Gli Inquilini. Non è famoso come, che ne so, L'Uomo di Kiev (altro capolavoro davvero), ma sono certo che non ti deluderebbe se lo leggessi. Ha molta psicanalisi e i personaggi sono anch'essi bisognosi di prendere coscienza di loro stessi. C'è il problema del conflitto razziale e delle minoranze, sebbene a quanto mi pare di ricordare, portati dai due protagonisti principali che si trascinano in mezzo a sofferenze, dubbi e angosce mentre "combattono" il loro duello senza esclusione di colpi.

Il romanzo quasi subito cattura il lettore non appena l'amicizia fra lo scrittore ebreo e l'intellettuale nero si tramuta in attrito stridente farcito con dispetti vari e scontri indiscutibilmente più seri.
Fammi sapere...

Ciao
Sandro

PS: dimenticavo che se ti è piaciuto Il Commesso, ti piacerà molto probabilmente anche Una Nuova Vita. Non conosco, mi accorgo solo ora, un brutto romanzo di Bernard Malamud... Ottima cosa mi sembra, no?
 

Grantenca

Well-known member
Un vecchio negoziante ebreo che gestisce un piccolo negozio di alimentari sempre più in declino, al punto che gli incassi faticano a coprire le spese, una moglie disillusa che pensava con il matrimonio di avere raggiunto una tranquillità economica che non esiste, una figlia avvenente, giovane ma non giovanissima, che lavora per concorrere a far quadrare il magro bilancio familiare, un ladruncolo di lontane origine italiane che cerca di far ordine nella sua vita. Questi i protagonisti di questo romanzo di B. Malamud, il primo che leggo di questo scrittore ebreo americano che per la mia ignoranza non sapevo neanche che esistesse.
Il vecchio ebreo non sa come uscire da questa situazione, è molto onesto e probabilmente non tagliato per la spietata concorrenza commerciale che propone l’America di quei tempi (qui siamo a Manhattan), ed è rammaricato ed amareggiato soprattutto per non aver potuto dare alla figlia la qualità di vita che sognava per lei e la possibilità di accedere agli studi universitari, e spera che essa possa fare un buon matrimonio per poter raggiungere lo stato sociale che egli non è riuscito a garantirle.
Alla figlia non mancano i corteggiatori, anche qualche buon partito, ma vuole qualcosa di diverso nella sua vita che un agiato matrimonio, e non riesce ad accantonare il sogno di frequentare gli studi universitari. Sono questi gli ingredienti principali di questo magnifico libro, scritto in maniera magistrale con una prosa lineare e accattivante, ma anche sobria ed essenziale. E qui bisogna dare il giusto merito anche ai traduttori. Non nego che questo tipo di narrativa (le storie di gente comune) sia la mia preferita e che quindi il mio giudizio ne possa essere influenzato, ma devo dire che, per me, questo è un grande libro, forse il migliore che ho letto quest’anno. Ci sono molte cose, anche la descrizione di un ebraismo all’acqua di rose ma che comunque non riesce a staccarsi dalle sue consuetudini e tradizioni, ma soprattutto piccole storie di vita reale che ti sembra di toccare con mano. Ho apprezzato anche la descrizione di un funerale ebreo, per le reazioni dei familiari del defunto all’omelia del rabbino, e molto altro. Devo quindi consigliare a tutti la lettura di questo testo che sarebbe forse l’ideale per un “gruppo di lettura”. Non so se leggerò qualcos’altro di questo scrittore, mi frena il timore di restare deluso talmente tanto è l’apprezzamento che ho avuto per questo libro.
 

malafi

Well-known member
Anch'io l'ho trovato un libro straordinario, tra i migliori letti negli ultimi anni.
Mi ha colpito e quoto questa frase di Ayu

un libro “difficile” (mi è capitato di parlarne in modo approfondito ultimamente) se scritto bene, ha tutte le carte in regola per essere definito unanimamente un capolavoro. Che dubbi possono insorgere sul suo valore? Ma un libro “semplice” (che non vuole dire facile)? Non è ancora più difficile farlo assurgere alle alte vette della letteratura? Non sarà ancora più meritato il suo valore, non saremo noi lettori ancora più stupiti di come senza alcuno stile contorto o linguaggio sperimentale lo scrittore sia riuscito a conquistarci completamente?

Un libro che fa della semplicità la sua forza, nel quale l'autore scandaglia a fondo il carattere dei personaggi senza pensieri complessi, ma con uno stile semplice, pacato ma privo di sbavature. Insomma davvero rischiava di passare inosservato. E' invece anche secondo me è un capolavoro. Un inno alla perfezione della prosa. Mi ha ricordato, seppur ancora in meglio, Fallada.

E' il secondo libro che leggo di Malamud (il primo è stato Il Migliore e non mi è piaciuto) ma a differenza di Grantenca non vedo l'ora di leggerne altri.
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Per anni, proprio qui sul forum, ho sentito parlare di Bernard Malamud, elogiare Bernard Malamud, consigliare Bernard Malamud. E mi chiedevo: cos'avrà di così speciale quest'autore non famoso ma su cui non ho ancora mai letto una sola critica negativa? Tra l'altro era un autore ebreo, cosa che me lo rendeva ancor più appetibile… insomma, Malamud mi attirava, mi chiamava da tempo. Tra i vari titoli c'era questo "Il commesso" che saltava sempre all'occhio, così, rinfrancata dalla calma settembrina e libera dalla frenesia estiva, ho deciso di leggerlo… e ho scoperto cosa rende Malamud un autore così amato: è un narratore bravissimo, racconta con semplicità una storia in realtà intricata; affronta le emozioni, i sentimenti, le ansie e le passioni umane con grande tatto e rispetto, ma soprattutto, io l'ho trovato molto ma molto rassicurante. Non ci si staccherebbe mai dalle pagine perché la prosa di Malamud trascina il lettore dentro la storia, dentro la vita dei personaggi e lo fa senza clamori, senza sensazionalismi o colpi di scena, proprio come accade nella vita di ogni giorno. Il commesso racconta la conoscenza apparentemente fortuita tra l'ebreo Morris Bober – droghiere, proprietario di una cupa botteguccia in difficoltà per la concorrenza e i pochi affari – e Frank Alpine, giovane, intraprendente e inquieto vagabondo e ladruncolo di origine italiana. Un bel giorno, chissà come e chissà perché, Frank si trova nei pressi del negozio di Bober proprio quando questi, reduce da un incidente, ha bisogno d'aiuto. Da quel momento Frank comincia ad imporre la sua presenza, a rendersi utile con piccoli lavori, a chiedere espressamente di lavorare, ad offrire il suo aiuto, finché Morris, un po' per bisogno un po' per pietà, lo lascia fare il commesso. Da qui in poi vedremo crescere questo ragazzo che nella vita ha sbagliato tanto, lo vedremo fare ammenda, innamorarsi, aiutare, prodigarsi, soffrire, cercare di diventare un uomo onesto, provare con tutto se stesso a cambiare vita. E si snoda così il parallelo tra le vicende di Frank e quelle della famiglia Bober che sono, inevitabilmente, inestricabilmente legate. Un romanzo bellissimo, imperneato sulle emozioni, sulla sofferenza e la volontà di farcela, sulla rassegnazione e la bontà d'animo. Un ottimo punto di partenza per conoscere un autore che, ora ne sono sicura, mi riserverà ancora storie memorabili.
 

Minerva6

Monkey *MOD*
Membro dello Staff
Caspita... Ora mi avete fatto venir voglia di leggerlo. Ovviamente non ho approfondito le vostre recensioni per non anticiparmi troppo, ma ho capito lo stesso che voglio leggerlo.
Appena finirà la sfida RC lo farò.
 

qweedy

Well-known member
Caspita... Ora mi avete fatto venir voglia di leggerlo. Ovviamente non ho approfondito le vostre recensioni per non anticiparmi troppo, ma ho capito lo stesso che voglio leggerlo.
Appena finirà la sfida RC lo farò.

Malamud è assolutamente da leggere, per me questo libro è stato il primo, ma non sarà certo l'ultimo!
 

MonicaSo

Well-known member
Ho impiegato un po' prima di decidermi a leggere Il commesso, chissà perché non avanzava mai nella mia lista dei desideri.
Ora che l'ho letto posso dire che ho scoperto un bravissimo scrittore che ha saputo raccontarmi in modo semplice ma chiaro le emozioni e il sentire più profondo dei protagonisti della storia. Non ci si ferma ai fatti ma si viene portati a condividere motivazioni, paure, desideri.
Bello, da consigliare.
 
Alto