Aramburu, Fernando - Patria

estersable88

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Due famiglie legate a doppio filo, quelle di Joxian e del Txato, cresciuti entrambi nello stesso paesino alle porte di San Sebastián, vicini di casa, inseparabili
nelle serate all’osteria e nelle domeniche in bicicletta. E anche le loro mogli, Miren e Bittori, erano legate da una solida amicizia, così come i loro
figli, compagni di giochi e di studi tra gli anni Settanta e Ottanta. Ma poi un evento tragico ha scavato un cratere nelle loro vite, spezzate per sempre
in un prima e un dopo: il Txato, con la sua impresa di trasporti, è stato preso di mira dall’ETA, e dopo una serie di messaggi intimidatori a cui ha testardamente
rifiutato di piegarsi, è caduto vittima di un attentato... Bittori se n’è andata, non riuscendo più a vivere nel posto in cui le hanno ammazzato il marito,
il posto in cui la sua presenza non è più gradita, perché le vittime danno fastidio. Anche a quelli che un tempo si proclamavano amici. Anche a quei vicini
di casa che sono forse i genitori, il fratello, la sorella di un assassino. Passano gli anni, ma Bittori non rinuncia a pretendere la verità e a farsi
chiedere perdono, a cercare la via verso una riconciliazione necessaria non solo per lei, ma per tutte le persone coinvolte.

Questo libro non è facile da leggere. Non lo è per tanti motivi: bisogna superare le difficoltà legate ai tanti termini in Euskera, la lingua diffusa nel Paìs Vasco; bisogna abituarsi allo stile particolarissimo di Aramburu, diretto, spigoloso, “smozzicato” ma funzionale per calarsi nella storia; bisogna mettere in conto le oltre seicento pagine che, credetemi, sono tante se si ha a che fare con una vera e propria guerra di nervi e di proiettili. Se si supera tutto questo, però, si sarà premiati e si conoscerà un ottimo esempio di letteratura moderna, un romanzo duro, uno spaccato di realtà difficile da immaginare che Aramburu tratteggia con estrema schiettezza e lucidità. Quella raccontata in “Patria” è la storia di una terra che per tanto tempo è stata intrisa del sangue dei suoi abitanti, di un popolo – quello basco – che ha esacerbato l’idea di indipendenza innescando, per mano dell’Eta, un vero e proprio conflitto armato. Un conflitto fisico, ideologico e mentale che non si combatteva su un campo di battaglia, bensì per le strade, nei bar, nelle case, nei volti e nei cuori della gente. Se si veniva presi di mira dall’Eta, da un giorno all’altro si diventava indigesti, fastidiosi, bersagli dell’odio, della diffidenza, della vigliaccheria di chi non ha coraggio di dire “No, non mi sta bene, quell’uomo è mio amico”. E così muoiono amicizie di decenni, si sgretola la fama di un uomo buono, si impedisce ai figli di parlarsi, si tagliano di netto tutti i più comuni rapporti di cortesia e questo può uccidere prima e più di un proiettile sparato da un ragazzo del paese in un giorno di pioggia. E chiedere perdono, poi, diventa difficile, specie se si è testardi, orgogliosi e mal disposti ad ammettere di aver sbagliato, di essersi lasciati deviare da un’idea.
Stupende, emergono in queste pagine, le figure femminili: le madri e le figlie, apparentemente forti, ma in realtà fragili, portatrici di idee travolgenti e totalizzanti, giuste o sbagliate che siano.
Un romanzo stupendo, con personaggi che grazie all’ottima caratterizzazione di Aramburu impariamo a conoscere con tutti i loro difetti. Un libro che parla di amicizia, ideali, guerra, amore. Una lettura non facile, ma decisamente meritevole.
 

alessandra

Lunatic Mod
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Possibili spoiler

Non proprio a breve, comunque eccomi qui :mrgreen:
Una sola cosa mi ha lasciato perplessa, o forse due: il finale un po' troppo affrettato (ma perdonabile) e la gestione dell'aspetto storico-politico. Anzi, più che lasciarmi perplessa, quest'ultima cosa mi ha portato a pormi delle domande. Premesso che è la prima storia che leggo che abbia come protagonista negativa l'ETA, ambientata in quel luogo e in quel periodo, e che so ben poco dell'argomento, le cose sono andate davvero così? Mi spiego: dando per scontato che si tratta di un'organizzazione armata che ha provocato crimini e stragi e pertanto è - inutile dirlo - moralmente oltre che giuridicamente condannabile, era davvero gestita da giovani inconsapevoli e ignoranti che non avevano quasi nessuna nozione di storia o di politica? O sono io l'unica ingenua che pensa che dietro un'organizzazione rivoluzionaria, seppur criminale, debbano esserci delle teste pensanti (folli, ma pensanti) e magari qualche idea di base originariamente sana e poi portata avanti in modo sbagliato, distorto, atroce? Leggendo questo libro si pensa proprio alla "banalità del male".
Quanto al romanzo nel suo complesso, per me sì, è un capolavoro. E' una saga densa, viva, ricca di sfaccettature riguardo alla psicologia e ai rapporti tra i personaggi - in questo Aramburu è autore di rara attenzione e sensibilità, li ha resi pari a persone vere, non c'è nessuno stereotipo - oltre che lo sfondo storico.
Ottima l'idea delle due famiglie prima amiche e poi rivali, di quella più povera che gode dell'emarginazione dell'altra, mostrando un'invidia fino a quel momento latente. Bello il modo in cui è stata sottolineata l'assurdità della situazione: in un paese in cui quasi tutti fanno il "tifo" per i rivoluzionari in qualsiasi modo agiscano, sono le vittime a essere emarginate. Bello, profondo il modo di descrivere i punti di vista e le reazioni delle singole persone, così diverse, all'interno della stessa famiglia. I loro cambiamenti, spesso radicali. Ho adorato Arantxa e il suo carattere, la storia della sua malattia e il modo coraggioso e vivace con il quale viene raccontata. Di certo le donne di questo libro non si piangono addosso, né la spigolosa Miren, né la coraggiosa Bittori. Però ho amato anche alcune figure deboli, come quella di Joxian, che accetta passivamente gli aspetti più drammatici della situazione - la perdita delle persone più care, che si possono perdere in diversi modi - ma non riesce a far altro che piangere, seguito dai rimbrotti della moglie. Anche gli uomini hanno la loro personalità, seppur più nascosta, e ognuno sceglierà la sua strada, compresi i figli maschi di entrambe le famiglie. Devo ammettere però che, a distanza di tempo, restano meno impressi. Lo stile mi è piaciuto, è volutamente confusionario e il linguaggio è molto diretto; non vi sono indicazioni riguardo ai salti temporali, ma ho trovato il tutto molto scorrevole e comprensibilie. Non voglio spoilerare oltre, ma sarebbe un bel libro di cui discutere in un GdL, gli spunti sono innumerevoli. Leggetelo comunque, anche da soli!
 

estersable88

dreamer member
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Alessandra... solo per dire che, riguardo alla domanda che ti poni, la penso anch'io così, ossia che quella dei giovani ignoranti e infiammati dalla rivoluzione è solo una scusa, una giustificazione forse, uno specchietto per le allodole. Certamente in un'organizzazione così capillare e - scusa la tautologia - organizzata ci deve essere per forza un gruppo originario di "teste follemente pensanti". E credo, traspare in alcuni punti del libro, che anche Aramburu sarebbe di quest'idea.
 

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Alessandra... solo per dire che, riguardo alla domanda che ti poni, la penso anch'io così, ossia che quella dei giovani ignoranti e infiammati dalla rivoluzione è solo una scusa, una giustificazione forse, uno specchietto per le allodole. Certamente in un'organizzazione così capillare e - scusa la tautologia - organizzata ci deve essere per forza un gruppo originario di "teste follemente pensanti". E credo, traspare in alcuni punti del libro, che anche Aramburu sarebbe di quest'idea.

E' possibile, magari dovrei rileggerlo a distanza di tempo. In me ha prevalso la sensazione che lui volesse sottolineare proprio l'assurdità del tutto, l'ignoranza (ripeto) e la sconsideratezza anche di persone che avevano ruoli importanti all'interno dell'organizzazione. In ogni caso mi è venuta voglia di approfondire, e questo è sempre un bene.
 

Carcarlo

Nave russa, vaffanculo!
Non ho letto il libro, ma trascorrendo gran parte della mia vita in Spagna (per motivi personali e professionali) e a volte nei Paesi Baschi, provo a rispondere alla domanda di Alessandra come segue:

Mi spiego: dando per scontato che si tratta di un'organizzazione armata che ha provocato crimini e stragi e pertanto è - inutile dirlo - moralmente oltre che giuridicamente condannabile, era davvero gestita da giovani inconsapevoli e ignoranti che non avevano quasi nessuna nozione di storia o di politica? O sono io l'unica ingenua che pensa che dietro un'organizzazione rivoluzionaria, seppur criminale, debbano esserci delle teste pensanti (folli, ma pensanti) e magari qualche idea di base originariamente sana e poi portata avanti in modo sbagliato, distorto, atroce?
L’obiettivo dell’ETA era rendere i Paesi Baschi indipendenti e instaurarvi un regime socialista. Per capire quanto quell’ideologia potesse essere inizialmente sana o storicamente fondata, basta immaginarsi che i valdostani si mettano a piazzare bombe nei supermercati romani perché vogliono diventare indipendenti e instaurare il soviet della Fontina.
Per carità, mi rendo conto che il punto di vista degli anni 50, soprattutto sotto Franco, poteva essere diverso, e infatti possiamo discuterne, possiamo anche dire che quando fecero saltare per aria Carrero Blanco fecero il bene della futura democrazia spagnola e tante altre cose, ma poi quando la Spagna diventa una delle democrazie più evolute al mondo lasciandosi dietro USA, Italia e Francia (fonte Economist), potevano anche darci un taglio alle esecuzioni per strada e agli attentati. No?
Per portare avanti i loro progetti, soprattutto negli ultimi 40 anni di democrazia, non ci volevano persone particolarmente colte, intelligenti, con nozioni di storia o di politica, ma solo brave a manipolare le masse (di somari) e senza scrupoli, e infatti ai manipolatori, della storia interessa solo quella atta a giustificare le proprie follie, e quando la storia non c’è, la si inventa di sana pianta (di esempi se ne possono fare a bizzeffe a al limite del credibile), esattamente come stanno facendo adesso i catalanisti.
Se c’è mai stato qualcosa di sano, si è perso talmente tanto tempo fa che possiamo anche non tenerne più conto.

Leggendo questo libro si pensa proprio alla "banalità del male".
Questo mi stupisce perché il concetto di banalità del male è applicabile a coloro che, all’interno di una struttura organizzata e legittima come era il III reich, agendo come il dente di un ingranaggio, consentivano di far funzionare tutto il meccanismo sentendosi estranei alle conseguenze che questo comportava. Un esempio poteva essere il capo stazione che abbassava la sbarra per consentire il passaggio del treno di deportati, o quello che lavorava all’ufficio acquisti e ordinava i gas come se fossero state risme di carta… ma non all’SS che apriva il lanciafiamme nel ghetto di Varsavia: cavolo, quello vedeva cosa faceva e nelle SS c’era andato volontario! E se non vale per le SS, vale ancora meno per le SA che agivano contro le regole della Repubblica di Weimar che non sarà stata democratica come la Spagna del 2000, ma nemmeno la peggiore delle tirannie.
Le azioni dell’ETA erano per lo più estorsioni (alle aziende per ricavare denaro), rapimenti (soprattutto di chi non pagava), esecuzioni (dei rapiti o per strada di poliziotti, politici…) e attentati (supermercati, aeroporti…). Ora, chi commette anche uno solo di questi atti, non può dire di essere solo il dente di un ingranaggio… eh no! Quando impugni una pistola e freddi alla schiena qualcuno (ETA ha sempre fatto così), non sei vittima della banalità del male, sei il male e basta!
L’ETA, per assurdo, è stata più simile alla mafia che alle Brigate Rosse.

Bello il modo in cui è stata sottolineata l'assurdità della situazione: in un paese in cui quasi tutti fanno il "tifo" per i rivoluzionari in qualsiasi modo agiscano, sono le vittime a essere emarginate.
Non sono sicuro se ti riferisci all’emarginazione di chi è vittima dell’ETA o anche di altri tipi di attivisti, ma è così: Non parli il Vasco? Non compriamo nel tuo negozio.
Sei un cliente? Non ti serviamo.
Hai 8 anni, sei in 3 elementare e ne vieni da un’altra regione? Imparalo, se no sei fuori dal giro, tu e la tua famiglia… e per primi a ragionare così, i docenti pagati dallo Stato.
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Carcarlo, sono perfettamente d'accordo con te, soprattutto nella prima parte della tua risposta, e questo è - in parte - quanto emerge anche dal libro. Non ho mai avuto occasione di parlare con abitanti del Pais Vasco, ma sono arrivata alle tue stesse percezioni e convinzioni parlando con spagnoli nei primi anni 2000, quando, ad esempio, l'Eta fece scoppiare una bomba nel centro di Valencia alle 2 di un pomeriggio lavorativo... e Valencia è ben lontana dal mar Cantabrico o dal confine con la Francia.
Il fatto è che l'Eta agiva anche dall'interno, spaccava le famiglie, le amicizie... influenzava il pensiero delle persone: gente che era sempre stata ben vista in paese si ritrova ad essere isolata magari per mere dicerie. E poi sappiamo tutti quanto sono orgogliosi i baschi: presa una posizione è difficile che facciano marcia indietro. Tutto questo nel libro c'è e ti consiglio caldamente di leggerlo visto che sei ferrato sul tema: penso che lo apprezzeresti.
 

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
razie, Carcarlo, per la tua esaustiva risposta, che mi ha fatto vedere le cose da un più ampio punto di vista. E' vero che abbiamo tanti esempi di organizzazioni o movimenti basati soltanto sull'ignoranza condivisa (non so se riesco a spiegarmi) e non dobbiamo guardare tanto lontano per trovarli, ma nella mia ingenuità mi ha stupito non cogliere - mi riferisco sempre al libro e alle situazioni in esso descritte, così rispondo anche all'ultima parte del tuo post - alcun riferimento ad una possibile "ideologia" (chiamiamola così) che avrebbe determinato la nascita dell'ETA, seppur parecchio tempo prima e in circostanze storiche diverse.
Probabilmente l'autore, essendo nato e cresciuto nei Paesi Baschi e perciò conoscendo bene il contesto, voleva proprio sottolineare che ormai un'organizzazione simile (al di là dei metodi, mai condivisibili) non aveva, in ogni caso, più ragione di esistere (oltretutto il libro inizia con la dichiarazione della fine della lotta armata, per poi andare a ritroso).
Ho usato l’espressione “banalità del male” - espressione che, ovviamente, non sminuisce la gravità dei fatti - in modo forse improprio, o troppo personale, riferendomi al personaggio del libro e alla sua mancanza di strumenti intellettuali, che lo porta a commettere azioni atroci senza percepirne, secondo me, in pieno l’entità. Uccide perché gli viene ordinato, esegue e basta, non ricordo - e correggetemi se sbaglio, perché il mio ricordo potrebbe essere distorto dalle sensazioni - che l’autore gli abbia mai messo in bocca la minima argomentazione o il minimo, seppur assurdo e folle, discorso articolato. Per lui ciò che conta è imbracciare un’arma e così contribuire alla “rivoluzione” e al perseguimento della “libertà”, ma la mia impressione è che non capisca in che modo e nemmeno se lo chieda.
Mi associo al consiglio di estersable, mi piacerebbe leggere la tua recensione visto che conosci bene l'argomento:).
 

Carcarlo

Nave russa, vaffanculo!
Innanzi tutto GRAZIE per avermi convinto a leggerlo: non solo mi è piaciuto ma sono riuscito a rompere quasi 5 anni di lontananza dai libri.

Trama: originale, bella e ben articolata anche se verso i ¾ avrei apprezzato un approfondimento dell’aspetto politico (HB, PNV…) anziché solo terroristico (ma forse avrebbe reso il romanzo una pizza). Inoltre l’avrei fatto finire diversamente (non credo al pentimento della gente ignorante e maligna).
Personaggi: ben descritti e le ripetizioni delle scene non appesantiscono la lettura, anzi, la tengono viva; l’unico che potrebbe essere un po’ più rifinito è Guillermo, ma in fondo è secondario. Mi è simpatico, soprattutto verso la fine, Joxian.
Traduzione: molto ben fatta anche se mi sembra ci siano dei piccoli errori: il pacharàn è fatto con le endrinas (prunoli) non con le prugne e non può essere un errore di Aramburu; la padella dove si fa la paella si chiama paellero (in spagnolo) o paella (in valenciano), perciò era impossibile da tradurre dopo aver già citato la paella nella stessa frase; un paellero non può presentare una scheggiatura nello smalto perché è di acciaio e basta; a un certo punto – se ricordo bene - traduce l’espressione slang meterse en el sobre (testualmente infilarsi nella busta, cioè andare a letto) con infilarsi nel fodero… ma sono dettagli da maniaco. :wink: Bisognerebbe leggere la versione originale.

La storia è verosimile perché la situazione è proprio quella dello scontro tra due società: quella moderna di tutti gli spagnoli (per primi i baschi) che trovano normale parlare una o più lingue e viaggiare per l’Europa, e quella dei vari gudari che vogliono parlare solo la loro lingua, non farsi capire da nessuno, non capire nulla loro stessi, isolarsi fino a sentirsi membri di una tribù (che loro confondono con un popolo che deve lottare per il proprio stato), farsi branco che come tutti i branchi serve a rendere coraggiosi i vigliacchi, e rendere la vita un inferno a tutti quanti.
Proprio per questo, Patria mi ha ricordato di più Il signore delle mosche che non con La banalità del male.

Se uno va a leggersi la loro storia scopre che:
• sarebbero i discendenti di un popolo non indoeuropeo stanziatosi in quella zona forse 6.000 anni fa, e che da allora sono vissuti separati in alcune aree geografiche abbastanza separate le une dalle altre al punto da generare dialetti tra loro diversi, che poi sono stati riunificati negli ultimi 100 anni nell'attuale neo-lingua basca, che sta insieme e riesce ad esprimere concetti legati agli ultimi 2.000 anni di storia proprio grazie a tutti i neologismi importati dallo spagnolo. Faccio un esempio che spero chiarisca i limiti del basco originale e di quanto sia stata manipolato per poter essere ancora parlato: indipendenza si traduce con independentzia, perché un vocabolo basco pre-manipolazione con questo significato non è mai esistito. :?? Ma è proprio il caso di istituire scuole (asili, elementari, medie, superiori, università...) dove si insegna solo in basco?
• se uno cerca una letteratura vasca, scopre che l’hanno fatta nascere qualche anno fa, perché i vaschi, da sempre, scrivono in spagnolo (Unamuno, Pìo Baroja…combinazione!).
• in 6.000 anni non si ha notizia che abbiano creato uno stato, si siano dati una forma di governo, delle leggi…cioè, sì, avevano tutto questo ma perché veniva da fuori: romani, barbari, franchi, spagnoli… ovvero, per essere più chiari: non era frutto dell'essere baschi in senso lato.
• se proprio scavi nella loro cultura, quella in cui identificarsi e che dovrebbe renderli diversi dagli altri spagnoli, ci trovi giusto gli sport locali tipo lo Aizkora proba o aizkol jokoa (taglio dei tronchi), Sega jokoa (taglio dell’erba), Ingude altxatzea (alzamento dell’incudine), Giza-abere probak (trascinamento dei massi), Harri zulatzaileak (foratura del masso), la corsa con le pietre, la corsa con le marmitte… insomma: Obelix in confronto a questi qui era un intellettuale!
Io vivo da 10 anni in una vallata dove – è assodato – in oltre 2.000 anni l’unica cosa che hanno fatto è stato tagliare la legna e cacciare cinghiali. Niente di male, non è che tutti possono essere nati ad Atene, Alessandria d’Egitto o a Firenze, ma evidentemente ne sono consci e non hanno complessi d’inferiorità, perciò sono comunque brava gente, e contenti loro contenti tutti.
Ma nei Paesi Baschi, da quando li hanno convinti di essere baschi e diversi dagli altri, è un inferno, per loro e per gli altri.
A me sembra che tutte queste rivendicazioni, più che essere legate ad una cultura e a un popolo diverso dagli altri e che con gli altri non può convivere, siano il frutto della sapiente manipolazione fatta dai gesuiti e dai marxisti leninisti (spesso gli uni e gli altri erano le stesse persone!) di gente ignorante e complessata dal vuoto pneumatico che ha alle spalle.

A chi volesse approfondire l’argomento consiglierei Patriotas adosados di Alfonso Ussìa e Antonio Mingote: un libro umoristico di un giornalista e un vignettista del ABC (giornale monarchico spagnolo) che racconta la storia degli anni 90, e il fatto che sia umoristico aiuta a capire l’assurdita dei fatti e della situazione.

Purtroppo una situazione simile si sta ripetendo oggi in Catalogna, con lo stesso cinismo, vigliaccheria e ignoranza.
 

IreneElle

Member
"Però un uomo può essere una nave. Un uomo può essere una nave con lo scafo d’acciaio. Poi passano gli anni e si formano delle incrinature. Di lì passa l’acqua della nostalgia, contaminata di solitudine, e l’acqua della consapevolezza di essersi sbagliato e di non poter rimediare all’errore, e quell’acqua che corrode tanto, quella del pentimento che si sente e non si dice per paura, per vergogna, per non fare brutta figura con i compagni. E così l’uomo, ormai nave incrinata, andrà a picco da un momento all’altro"

In Patria, la storia è ambientata in Spagna, ai tempi dell'ETA e ci viene raccontata da e attraverso nove personaggi che vivono sulla propria pelle questa fase storica. La vivono da madri, da sorelle, da fratelli, da figli, la vivono come terroristi e come vittime.
Aramburu ha saputo raccontare le storie nella Storia in modo sublime, con grande padronanza di stile e linguaggio; il lettore può trovarsi in poche pagine a dover gestire tecniche narrative diversissime tra di loro, ma che reputo non siano di ostacolo alla godibilità di tutto l'impianto. Le donne sono le vere protagoniste, ognuna, a suo modo, cresce durante il romanzo, ognuna viene delineata attraverso varie sfumature e sfaccettature che invece mancano nei personaggi maschili. Tant'è che quest'ultimi rimangono fino alla fine irrisolti.
E' un romanzo straordianario, un caleidoscopio di voci, un grandioso mosaico le cui tessere sono sparse lungo i capitoli.
Personalmente ho adorato Aranxata e il povero Taxto, personaggi tragici, quelli più genuini e sui quali la vita si è accanita di più; la figura che invece mi ha affascinato maggiormente è stata quella di Nerea.

E' un romanzo di denuncia sociale certamente, nelle ultime pagine difatti troviamo queste parole: “Ho scritto anche contro il delitto perpetrato con un pretesto politico, in nome di una patria dove una manciata di persone armate, con il vergognoso sostegno di un settore della società, decide chi appartenga a quella patria e chi debba lasciarla o scomparire. Ho scritto senza odio contro il linguaggio dell’odio e contro la smemoratezza e l’oblio tramati da chi cerca di inventarsi una storia al servizio del proprio progetto e delle proprie convinzioni totalitarie"; ma è anche un romanzo sulle relazioni umane, spesso difficili ed incomprensibili, un romanzo sulla solitudine e la disperazione. Un romanzo dove alla fine è vittima anche lo stesso terrorista.

Dovessi trovare il pelo nell'uovo direi solo che l'Autore non ci fa capire il come e il quando molti giovani decidono di aderire all'ETA ed il cambio di velocità narrattiva sul finale.
 

qweedy

Well-known member
L'ho iniziato un paio d'anni fa, l'ho finito solo ora dopo una pausa piuttosto lunga.
E' stata per me una lettura complessa, non nelle mie corde, anche se riconosco l'eccezionale abilità narrativa dell'autore, che affronta un tema attuale e importante mescolando i tempi, correndo avanti e indietro negli anni, dando diversi punti di vista sull'accaduto, affrontando temi universali come delitto, castigo e perdono.
Credo che la divisione tra le famiglie dovuta alla lotta indipendentista che si incarna nella violenza del terrorismo dell’ETA possa essere simile a quanto accaduto nella ex Jugoslavia, o in Ruwanda tra tutsi e hutu, dove vicini di casa profondamente amici si sono ritrovati su fronti opposti.
Aramburu scrive con equilibrio e pacatezza, denunciando, attraverso i suoi personaggi, l’inganno di ideologie che diffondono l’odio e combattono con la violenza, eppure non risparmia pagine che denunciano le vergognose torture alle quali lo stato democratico sottopone i sospetti.
Ho letto che si possono trarre lezioni civili e morali da questo romanzo, ed è verissimo, e lo si può anche godere. Ecco, io sono riuscita a trarne lezioni civili e morali, ma non a godermelo, se non forse sulla parte finale, che ho trovato più veloce e scorrevole.

“Chiedere perdono richiede più coraggio che sparare, che azionare una bomba. Quelle sono cose che possono fare tutti. Basta essere giovane, ingenuo e avere il sangue caldo.”
 
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