Un giovane ufficiale dell'esercito austro-ungarico, Anton Hofmiller, accoglie la proposta di un suo compagno di andare a conoscere il signor von Kekesfalva, l'uomo più ricco del circondario e suo amico. La vita tranquilla e regolare di Anton sarà messa in discussione dal momento in cui farà la conoscenza di Edith, la figlia paralitica di von Kekesfalva.
Mentre prima di questo evento la vita del giovane ufficiale era andata avanti quasi per inerzia, senza prendere mai una vera decisione che fosse sua e senza mai sperimentare forti emozioni o sentimenti (mai un lutto, mai un vero amore, mai una vera amicizia), con la conoscenza dei Kekesfalva sperimenterà in prima persona un vortice di emozioni da cui si lascerà travolgere: dapprima inebriato, poi soggiogato e sopraffatto, Anton si renderà responsabile di un evolversi degli eventi che precipiteranno vertiginosamente in una morsa gravitazionale da cui sarà difficile uscire.
Tema forte del romanzo è la compassione, in questo caso rivolta alla povera Edith impossibilitata a camminare, a causa di una disgrazia non meglio specificata che l’ha profondamente segnata e resa una ragazza dall’animo molto sensibile. “Ci sono due tipi di compassione. L’una, debole e sentimentale, che è una semplice impazienza del cuore di liberarsi al più presto dalla pena per la sventura altrui, non consiste nel soffrire con l’altro, ma è un istintivo allontanare il dolore altrui dalla propria anima. L’altra, l’unica che conta, è la compassione non sentimentale ma creatrice, che sa quello che vuole ed è decisa pazientemente e condividendo il dolore a tener duro fino all’estremo delle proprie forze, e anche oltre.” Il romanzo, in particolare, fa luce sugli effetti distruttivi che provoca il primo tipo di compassione, rappresentata dall'ufficiale Hofmiller, in pieno contrasto la seconda tipologia, forte, viscerale e creatrice, che è impersonata dal medico dei Kekesfalva. In apparenza privo di qualsiasi qualità, persino della sua reputazione di medico, lui è in realtà l'unico personaggio dotato di solide qualità morali, professionali e umane. E' lui l'unico che non si dà per vinto nella cura di Edith e dei cosiddetti "incurabili" mentre tutti se ne lavano le mani, prodigandosi con tutto se stesso per ogni suo malato; è l'unico che riesce a comprendere davvero Anton; è l’unico che ha davvero sacrificato la sua vita per il bene di un’altra persona. Nonostante ciò, anche lui si rende in un certo modo corresponsabile della degenerazione degli eventi in casa Kekesfalva .
Nel romanzo emerge il contrasto di due mondi fra loro opposti, ma ugualmente estremi, che lo stesso protagonista tende a mantenere separati: quello severo, razionale, meccanico, ormai automatico della vita militare, radicato in lui, in cui si è sempre sottoposti a qualcuno senza mai essere veramente se stessi, e quello libero, ricco e passionale dei Kekesfalva in cui si ritrova improvvisamente catapultato.
Al contrario di alcuni commenti letti in rete, personalmente non ho trovato una rilevante maturazione di Anton. In un primo momento la compassione di Anton verso Edith fa germogliare in lui una sensibilità nuova e più matura verso le persone, con particolare attenzione verso i più deboli. Ma queste qualità emergenti non hanno il tempo di sedimentare e di temprare Anton fino a farne un uomo deciso, coerente, posato, lungimirante. E così, quando lui comincia ad essere il fulcro delle emozioni e dei sentimenti dei Kekesfalva che vedono in lui l’unica ancora di salvezza per la felicità e la sopravvivenza stessa di Edith, Anton non sarà mai in grado di gestire completamente le situazioni e di essere padrone delle sue azioni, ma si mostrerà sempre debole e molto volubile. Anche la sua ultima decisione verso Edith, per quanto possa sembrare davvero sua, ferma e consapevole, è alla fine solo un obbligo morale, un modo di sacrificare se stesso per porre rimedio a tutto ciò che di negativo ha provocato la sua compassione.
Zweig ci descrive con grande maestria il turbinio degli eventi e degli stati d'animo dei vari personaggi. Significativo, inoltre, è il potere simbolico che riescono ad esercitare certi gesti inaspettati e spontanei in diverse occasioni: una carezza, un inchino, una stretta di mano, un ringraziamento...
La sua scrittura è davvero molto coinvolgente e scorrevole sia nelle parti narrative sia nelle parti introspettive, e si fa via via più magnetica a mano a mano che si dipana la spirale degenerativa degli eventi e del turbamento interiore di tutti i personaggi. Così, più si va avanti nella lettura, più risulta difficile interromperla, fino alla rullata finale in cui il succedersi degli eventi si fa sempre più incalzante, intenso e imprevedibile.
Un bel libro, che trascina, coinvolge e fa riflettere.
Mentre prima di questo evento la vita del giovane ufficiale era andata avanti quasi per inerzia, senza prendere mai una vera decisione che fosse sua e senza mai sperimentare forti emozioni o sentimenti (mai un lutto, mai un vero amore, mai una vera amicizia), con la conoscenza dei Kekesfalva sperimenterà in prima persona un vortice di emozioni da cui si lascerà travolgere: dapprima inebriato, poi soggiogato e sopraffatto, Anton si renderà responsabile di un evolversi degli eventi che precipiteranno vertiginosamente in una morsa gravitazionale da cui sarà difficile uscire.
Tema forte del romanzo è la compassione, in questo caso rivolta alla povera Edith impossibilitata a camminare, a causa di una disgrazia non meglio specificata che l’ha profondamente segnata e resa una ragazza dall’animo molto sensibile. “Ci sono due tipi di compassione. L’una, debole e sentimentale, che è una semplice impazienza del cuore di liberarsi al più presto dalla pena per la sventura altrui, non consiste nel soffrire con l’altro, ma è un istintivo allontanare il dolore altrui dalla propria anima. L’altra, l’unica che conta, è la compassione non sentimentale ma creatrice, che sa quello che vuole ed è decisa pazientemente e condividendo il dolore a tener duro fino all’estremo delle proprie forze, e anche oltre.” Il romanzo, in particolare, fa luce sugli effetti distruttivi che provoca il primo tipo di compassione, rappresentata dall'ufficiale Hofmiller, in pieno contrasto la seconda tipologia, forte, viscerale e creatrice, che è impersonata dal medico dei Kekesfalva. In apparenza privo di qualsiasi qualità, persino della sua reputazione di medico, lui è in realtà l'unico personaggio dotato di solide qualità morali, professionali e umane. E' lui l'unico che non si dà per vinto nella cura di Edith e dei cosiddetti "incurabili" mentre tutti se ne lavano le mani, prodigandosi con tutto se stesso per ogni suo malato; è l'unico che riesce a comprendere davvero Anton; è l’unico che ha davvero sacrificato la sua vita per il bene di un’altra persona. Nonostante ciò, anche lui si rende in un certo modo corresponsabile della degenerazione degli eventi in casa Kekesfalva .
Nel romanzo emerge il contrasto di due mondi fra loro opposti, ma ugualmente estremi, che lo stesso protagonista tende a mantenere separati: quello severo, razionale, meccanico, ormai automatico della vita militare, radicato in lui, in cui si è sempre sottoposti a qualcuno senza mai essere veramente se stessi, e quello libero, ricco e passionale dei Kekesfalva in cui si ritrova improvvisamente catapultato.
Al contrario di alcuni commenti letti in rete, personalmente non ho trovato una rilevante maturazione di Anton. In un primo momento la compassione di Anton verso Edith fa germogliare in lui una sensibilità nuova e più matura verso le persone, con particolare attenzione verso i più deboli. Ma queste qualità emergenti non hanno il tempo di sedimentare e di temprare Anton fino a farne un uomo deciso, coerente, posato, lungimirante. E così, quando lui comincia ad essere il fulcro delle emozioni e dei sentimenti dei Kekesfalva che vedono in lui l’unica ancora di salvezza per la felicità e la sopravvivenza stessa di Edith, Anton non sarà mai in grado di gestire completamente le situazioni e di essere padrone delle sue azioni, ma si mostrerà sempre debole e molto volubile. Anche la sua ultima decisione verso Edith, per quanto possa sembrare davvero sua, ferma e consapevole, è alla fine solo un obbligo morale, un modo di sacrificare se stesso per porre rimedio a tutto ciò che di negativo ha provocato la sua compassione.
Zweig ci descrive con grande maestria il turbinio degli eventi e degli stati d'animo dei vari personaggi. Significativo, inoltre, è il potere simbolico che riescono ad esercitare certi gesti inaspettati e spontanei in diverse occasioni: una carezza, un inchino, una stretta di mano, un ringraziamento...
La sua scrittura è davvero molto coinvolgente e scorrevole sia nelle parti narrative sia nelle parti introspettive, e si fa via via più magnetica a mano a mano che si dipana la spirale degenerativa degli eventi e del turbamento interiore di tutti i personaggi. Così, più si va avanti nella lettura, più risulta difficile interromperla, fino alla rullata finale in cui il succedersi degli eventi si fa sempre più incalzante, intenso e imprevedibile.
Un bel libro, che trascina, coinvolge e fa riflettere.