Yehoshua, Abraham B. - Un divorzio tardivo

bouvard

Well-known member
Il sessantaseienne Yehudà Kaminka torna dall’America in Israele per divorziare dalla moglie chiusa in un ospedale psichiatrico da quando ha cercato di ucciderlo. Questo libro mi ha ricordato molto nella semplicità della trama e nella complessità dello stile narrativo Mentre morivo di Faulkner (però un po’ più semplice da leggere!).
Un divorzio tardivo è innanzitutto un romanzo corale con più voci narranti, ognuna con una sua peculiarità stilistica – flusso di coscienza, dialogo ad una sola voce – e ognuna con un diverso punto di vista. E proprio queste scelte stilistiche di Yehoshua costringono il lettore ad un ruolo “attivo”.
Sia perché proprio come in Faulkner i personaggi ci vengono presentati un po’ alla volta e all’inizio di ogni capitolo il lettore deve capire a chi appartenga la nuova voce narrante (tranquilli nel giro di una massimo due pagine si riesce sempre a capirlo).
Sia perché per la prima volta proprio in questo libro Yehoshua usa l’escamotage del “dialogo ad una sola voce”. A differenza di un dialogo normale in cui si ascoltano due voci, nel dialogo ad una sola voce lo scrittore scrive solo la parte della voce narrante, mentre risposte, obiezioni e domande dell’interlocutore il lettore deve ricostruirsele da sé. E devo dire che proprio questo capitolo è quello che ho preferito, per la sua maggiore fluidità e scorrevolezza.
Ma Un divorzio tardivo di contro alla semplicità della trama è anche un romanzo complesso nei contenuti, proprio come sono complessi i rapporti fra le persone nella vita. Tra padri e figli, tra marito e moglie. Rapporti fatti di silenzi, parole non dette, rancori, pregiudizi, bugie, paure. Soprattutto paure che ognuno cerca di esorcizzare a modo suo.
Consigliatissimo
 

Minerva6

Monkey *MOD*
Membro dello Staff
Se ricordo bene questo è stato il primo libro che ho letto di Yehoshua, o almeno il primo che ho comprato (e di ciò sono sicura) circa 25 anni fa, quindi prima dei miei 18 anni. Ricordo però bene le difficoltà iniziali per seguire il filo del discorso dato che lo stile di scrittura è come quello di Saramago, cioè con pochissima punteggiatura e a me questa cosa di solito destabilizza. Quindi molto probabilmente ne avrò letto prima un altro e poi, avendolo apprezzato, ho riprovato con questo traendone soddisfazione (Anobii me l'ha confermato con le sue 4 stelle) ed anche l'età maggiore avrà fatto sì che abbia potuto godere meglio della storia che però purtroppo ora non rammento più :W.
 

Spilla

Well-known member
Letto anche io moltissimi anni fa, ne ho un ottimo ricordo, mi aveva affascinato, ero rimasta incantata dalla scelta della narrazione a più voci e dalla indagine dei diversi personaggi.
Ricordo un senso di confusione nel finale. Che non avevo capito :)
 

ayuthaya

Moderator
Membro dello Staff
Mi piacerebbe trasmettervi quanto è bello questo libro, ma non è facile, sia perchè è uno di quei romanzi in cui la sola trama non ne esaurisce la bellezza, sia perchè accennandovi troppo rischio comunque di togliervi l’effetto sorpresa. E allora cosa dirvi?
Ad esempio che in questo libro (e non solo) l’eredità di Faulkner è innegabile: la scelta di dedicare ogni capitolo a un personaggio differente non è solo stilistica, ma strategica. Il concetto stesso di trama si dissolve poichè non è importante ciò che viene raccontato, ma come. È proprio questa la grande lezione faulkneriana: non esiste una realtà oggettiva, valida per tutti, ma tante realtà (soggettive) quanti sono i personaggi coinvolti. E questi personaggi sono tutti imparentati fra loro, a eccezione di uno solo che ci offre una visione “esterna” ma non per questo più obiettiva di quella degli altri, legato com’è da un affetto morboso verso uno di loro.
Le dinamiche famigliari sono un tema centrale in Yehoshua, che insiste con particolare insistenza sul rapporto genitori/figli e marito/moglie. Il protagonista de Il divorzio tardivo è infatti un padre e un marito molto prima di essere un uomo. Anzi, dell’uomo arriveremo a scoprire poco o nulla, poichè a svelarci la sua natura sarà di volta in volta il nipote, il figlio, il genero, la nuora, un altro figlio, un’altra figlia ancora, la moglie. Pezzo dopo pezzo, davanti ai nostri occhi prende forma l’immagine di un nonno, di un suocero, ma soprattutto di un padre e di un marito. E Yehudà Kaminka non è stato certamente un padre e un marito tradizionale, così come non lo è stata neppure la moglie, ricoverata da diversi anni in un ospedale psichiatrico per... lo scoprirete voi. Dopo il ricovero della donna e la separazione di fatto fra i due coniugi, l’uomo parte per gli Stati Uniti dove si rifà una vita. Adesso, dopo anni di indifferenza, è tornato in Israele per raggiungere un solo scopo: ottenere il divorzio dalla moglie per poter sposare la sua nuova compagna, dalla quale aspetta un bambino.
Questo ritorno sarà tuttavia l’occasione per entrambe le parti, padre e figli, di riscoprirsi, di conoscersi, di condividere, nel bene e nel male, un po’ di tempo insieme. Per poi lasciarsi di nuovo, forse per sempre, con un briciolo di rimpianto in più.
Tornando alla narrazione corale, Yehoshua fa gran uso di sperimentazione linguistiche per differenziare le voci e il punto di vista di ogni personaggio: si va dal monologo, al dialogo, al flusso di coscienza, fino al mio preferito: il dialogo a una sola voce, che, se non erro, è un’invenzione di questo autore. Ogni capitolo costituisce un livello di approfondimento in più, ma allo stesso tempo il punto di partenza per nuovi spunti che spesso restano irrisolti. Vi è quindi una forza centripeta, che ruota attorno al dramma della famiglia Kaminka, e una centrifuga: accenni alle vite, ai pensieri, ai sogni e alle paure del singolo individuo. Siamo insomma famiglia, inevitabilmente e forse anche nostro malgrado, ma siamo anche persone. Abbiamo relazioni ma non ci conosciamo mai fino in fondo. Crediamo che la vita ci prospetti qualcosa e invece ci troviamo fra le mani qualcosa di diverso...
E il modo in cui Yehoshua ci racconta tutto questo è appassionante, magnetico... indubbiamente è un autore che amo ma questo romanzo prende posto fra i suoi migliori, accanto a L’amante o Il signor Mani. Se un difetto gli devo trovare, purtroppo è il finale: ero carica di aspettative, soprattutto dal momento in cui l’epilogo era stato svelato, sul come sarebbe stato sviluppato... e invece sono rimasta delusa. Ma resta un libro splendido e magistralmente costruito. Lo consiglio senz’altro.
 
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