Zilahy, Mirco - È così che si uccide

LettriceBlu

Non rinunciare mai
Trama:
La pioggia di fine estate è implacabile e lava via ogni traccia: ecco perché stavolta la scena del crimine è un enigma indecifrabile. Una sola cosa è chiara: chiunque abbia ucciso la donna, ancora non identificata, l’ha fatto con la cura meticolosa di un chirurgo, usando i propri affilati strumenti per mettere in scena una morte. Perché la morte è uno spettacolo. Lo sa bene, Enrico Mancini. Lui non è un commissario come gli altri. Lui sa nascondere perfettamente i suoi dolori, le sue fragilità. Si è specializzato a Quantico, lui, in crimini seriali. È un duro. Se non fosse per quella inconfessabile debolezza nel posare gli occhi sui poveri corpi vittime della cieca violenza altrui. È uno spettacolo a cui non riesce a riabituarsi. E quell’odore. L’odore dell’inferno, pensa ogni volta.
Così, Mancini rifiuta il caso. Rifiuta l’idea stessa che a colpire sia un killer seriale. Anche se il suo istinto, dopo un solo omicidio, ne è certo. E l’istinto di Mancini non sbaglia: è con il secondo omicidio che la città piomba nell’incubo. Messo alle strette, il commissario è costretto ad accettare l’indagine... E accettare anche l’idea che forse non riuscirà a fermare l’omicida prima che il suo disegno si compia. Prima che il killer mostri a tutti – soprattutto a lui – che è così che si uccide.


Commento:
L’impressione che mi ha dato questo tipo di narrazione è stata quella di leggere una scenografia più che un racconto. Le descrizioni così accurate sono certamente molto evocative, però specialmente nella prima metà del libro ho trovato che la loro presenza massiccia abbia tolto al racconto parecchia dinamicità, facendolo soffrire di una lentezza nel susseguirsi degli eventi che non aiuta in particolare i lettori più abituati a racconti veloci e costantemente adrenalinici.
Leggo spesso discussioni riguardanti il considerare o meno gialli e generi simili romanzi di spessore. Chiunque abbia letto “è così che si uccide” lo troverà un perfetto esempio di risposta affermativa. L’autore ha una profonda conoscenza delle parole e non si fa scrupoli a ricorrere a un vocabolario molto ricco, scegliendo spesso termini che purtroppo non si usano tutti i giorni (confesso che un paio ho dovuto cercarli nel dizionario).
Venendo più strettamente alla storia, ho percepito una netta divisione, che ha come linea di confine il trentunesimo capitolo. Nella prima parte il racconto procede abbastanza lentamente, con troppe descrizioni e pochissimi sviluppi del caso. La calamita che spinge il lettore a continuare sono le scene macabre, che fanno intuire quanto malata e perversa sia la mente di chi le ha architettate. Nella seconda invece le cose finalmente si movimentano, cominciano pian piano a spuntare gli indizi e alla fine tutto acquista un senso. Il mondo dei serial killer mi intriga parecchio e questo caso di Enrico Mancini ne ha portato alla nostra attenzione uno molto singolare. Mi è piaciuto come alla fine si siano concluse le cose, l’autore è anche riuscito a sorprendermi su fatti che ritenevo scontati e che poi non lo sono stati affatto.
Assassino escluso, i personaggi sono stati quelli che mi hanno messo più in difficoltà. Sono stati fumosi e difficili da comprendere per oltre metà del romanzo, forse conoscere prima qualche dettaglio in più su di loro avrebbe giovato. È stato un po’ come conoscerli tramite passaparola: c’era sempre qualche elemento che mancava non permettendo di comprenderli appieno. Fortunatamente anche la loro psicologia è stata molto più chiara con il procedere della vicenda; la scelta di rappresentarli con un “occhio” quasi esterno è stata azzardata, e magari per qualcun altro più gradita.
Concludendo, un noir interessante, anche se con qualche pecca. Sicuramente continuerò la serie.
 
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